la Repubblica, giovedi 26 febbraio, 3 maggio 2004
Nessuna meraviglia quindi che alle elezioni politiche del 14 marzo la maggioranza degli spagnoli - così dicono i sondaggi - voterà per la terza volta consecutiva a favore del partito di Aznar
Nessuna meraviglia quindi che alle elezioni politiche del 14 marzo la maggioranza degli spagnoli - così dicono i sondaggi - voterà per la terza volta consecutiva a favore del partito di Aznar. Voterà per il Partido popular, ma non potrà votare per Aznar: perché questi non si ripresenta. Si fa da parte, rinuncia al potere. L’aveva annunciato dopo la vittoria alle elezioni del 2000, come una necessaria, salutare misura d’avvicendamento al vertice del partito e del governo. E dopo aver insediato con un rituale quasi monarchico il successore, che è Mariano Rajoy, uno dei suoi fedelissimi, adesso mantiene l’impegno. Credo che il gesto piaccia agli spagnoli, sempre sensibili a quel che essi chiamano il «porte digno» - l’atteggiamento severo, dignitoso - dell’uomo pubblico. L’altra sera a cena, persino i miei amici anti-aznariani hanno dovuto ammettere d’esserne impressionati. E anche lo storico Javier Tusell nel suo libro L’Aznarato, un libro molto critico nei riguardi dell’era Aznar, vede in quest’uscita di scena una specie di «grandeza»: qualcosa che era difficile attendersi da un personaggio giunto al governo del paese, otto anni fa, privo del minimo carisma, l’aspetto scolorito, l’eloquio impacciato. «Don nadie» (il signor nessuno), lo scherniva allora il leader socialista Felipe Gonzàlez. E ancor oggi, Tusell lo definisce nel suo libro con un aggettivo sferzante: ”grigiastro”.