Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2004  maggio 03 Lunedì calendario

Quante volte l’hanno dato per morto. Quante volte se l’è cavata. Per certi versi la vita pubblica di un paese finisce per affezionarsi ai suoi protagonisti più bizzarri

Quante volte l’hanno dato per morto. Quante volte se l’è cavata. Per certi versi la vita pubblica di un paese finisce per affezionarsi ai suoi protagonisti più bizzarri. E fra questi, indubbiamente, il Senatùr si conferma il più sperimentato. Una risorsa narrativa che a partire dalla metà degli Anni Ottanta non solo ha conquistato la scena e se l’è tenuta, ma soprattutto l’ha trasformata e anzi l’ha stravolta, fino a renderla irriconoscibile. Chi l’avrebbe detto vent’anni orsono. Ma forse il vero mistero, la ragione di questa sorpresa che tanto ha contribuito a renderlo pericoloso, è il Bossi sconosciuto, il Bossi di prima. Politicamente, un figlio di nessuno. Un autodidatta. Un capopopolo, come ne nascono certe volte in Italia di furbi e spietati. Un populista da XXI secolo. Nato e cresciuto tra la pianura brianzola e le colline del Varesotto, una specie di Far West negli anni degli sconvolgimenti sociali, della campagna che si fa industria.