Il Sole-24 Ore, mercoledì 10 marzo, 3 maggio 2004
Il tema non sarebbe così caldo negli Usa (e non sarebbe al centro della campagna elettorale) se il Paese non uscisse da una crisi che è costata milioni di posti di lavoro
Il tema non sarebbe così caldo negli Usa (e non sarebbe al centro della campagna elettorale) se il Paese non uscisse da una crisi che è costata milioni di posti di lavoro. Come conferma Jerry Rao, fondatore di MphasiS e futuro numero uno di Nasscol: «Perché le acque si calmino - avverte - bisogna dare alla ripresa economica Usa il tempo di consolidarsi». Tutti vincono. Nel lungo periodo - sottolinea la Nasscom - la riallocazione dei posti di lavoro è un gioco win-win, ovvero in cui tutti guadagnano. La presentazione cita - con tanto di grafico - l’ormai classico studio della McKinsey, secondo il quale per ogni dollaro di attività trasferite nei Paesi in via di sviluppo, il guadagno complessivo per il sistema è di oltre un dollaro e mezzo - di cui oltre un dollaro rimane nel Paese ”esportatore”. Anche negli Stati Uniti, del resto, c’è ancora chi sostiene che la globalizzazione ha effetti positivi per tutti. Ma per ora resta una vox clamans in deserto. Karnik cerca di mettere in evidenza le contraddizioni dell’atteggiamento Usa. E introduce un argomento che nel lungo periodo potrebbe essere decisivo: «Proprio mentre infuria la polemica sulla fuga dei posti di lavoro, gli Stati Uniti mettono un tetto ai visti di ingresso per i lavoratori stranieri. Ma l’Occidente deve decidersi: o importate lavoratori o esportate i posti di lavoro». Tanto più nel lungo periodo: «Se le attuali tendenze demografiche proseguiranno - ricorda - gli Stati Uniti e Paesi europei avranno sempre più bisogno di immigrati».