la Repubblica, mercoledì 10 marzo, 3 maggio 2004
Per una crudele ironia, uno degli studiosi più citati sul declino della Silicon Valley è Ashok Deo Bardhan: economista indiano, una laurea a New Delhi e un curriculum che include la Banca centrale indiana e il centro di ricerche nucleari di Bombay
Per una crudele ironia, uno degli studiosi più citati sul declino della Silicon Valley è Ashok Deo Bardhan: economista indiano, una laurea a New Delhi e un curriculum che include la Banca centrale indiana e il centro di ricerche nucleari di Bombay. Oggi lavora alla Business School di Berkeley e dipinge uno scenario crudele per la terra che lo ha accolto: «Nell’ondata precedente della globalizzazione, quando toccava agli operai dell’automobile perdere i posti che venivano trasferiti dall’America all’Asia, la ricetta era: riqualificare, riaddestrare i lavoratori per indirizzarli verso le attività del futuro. Ma oggi per cosa li si può riqualificare? Mi guardo attorno e non vedo un’attività del futuro che assuma qui e non in Asia». Michael Anderson, 55enne ingegnere informatico di Berkeley, ex consulente tecnologico dell’Ibm oggi sopravvive con l’assegno di disoccupazione di 600 dollari al mese: «Eccomi, io sono la nuova middle class americana che sta evaporando sotto i vostri occhi». L’emergenza offshoring irrompe nell’agenda dei politici. La marea del riflusso protezionista sale a vista d’occhio. Ha cominciato dalla periferia: l’Indiana (non è uno scherzo) fu il primo Stato Usa a escludere una società indiana (la Tata) che aveva vinto un appalto pubblico per fornire servizi informatici. L’esempio è stato contagioso: dal Connecticut al New Jersey, dalla Florida alla California, le proposte di legge anti-offshoring dilagano.