Varie, 28 aprile 2004
COPPOLA
COPPOLA Danilo Roma 25 maggio 1967. Finanziere. Costruttore. Arrestato l’1 marzo 2007 (bancarotta, associazione per delinquere e riciclaggio) • «’Passerò il resto della mia vita a smontare quest’ordinanza”. Erano le sei e mezza del mattino quando Danilo Coppola, dopo qualche istante di silenzio, ha aperto la porta alla guardia di finanza. L’arresto nella villa di Grottaferrata, ai Castelli romani, sotto gli occhi della moglie, mentre la figlia dormiva. Accuse gravissime, quella di bancarotta [...] che ha aperto le porte del carcere, associazione per delinquere, reimpiego di capitali di provenienza illecita (una variante del riciclaggio), evasione di imposte per 72 milioni. E ancora per lui e sette dei suoi collaboratori raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Roma, i reati di appropriazione indebita aggravata e falso ideologico. All’alba Danilo Coppola si è sbarbato, ha indossato un vestito scuro, curato il nodo della cravatta, si è fatto preparare una borsa ed è salito sull’auto dei finanzieri che, priva di insegne, lo ha portato a Regina Coeli. Lui che dalla Borgata Finocchio è arrivato a Mediobanca, davanti al vecchio carcere ha avuto una crisi di panico. Che si è acuita in cella. Il suo avvocato Fabio Lattanzi lo ha lasciato soltanto a sera, raccomandando di sorvegliarlo nella notte. I pm Lucia Lotti e Giuseppe Cascini hanno scoperto un meccanismo di compravendita di immobili tra società dello stesso gruppo. ”Scatole vuote” le hanno chiamate. Diventate ”bare fiscali”. L’inchiesta fa riferimento a un buco di bilancio di 130 milioni di euro. A essere svuotate la Micop Immobiliare, che è già fallita, e altre sei società. Secondo la ricostruzione dei finanzieri del ”valutario” e del ”provinciale”, guidati dai colonnelli Bruno Buratti e Giuseppe Zafarana, Coppola non ha fatto tutto da solo. Gli indagati sono 13, in carcere ne sono finiti sei. Con l’immobiliarista i più stretti collaboratori: l’ex cognato di Stefano Ricucci, Francesco Bellocchi, Giancarlo Tunino, Gaetano Bolognese, Luca Necci, Daniela Candeloro e Alfonso Ciccaglione. ”Complici” secondo la procura. Non si trova Andrea Raccis, pare all’estero. Indagati a piede libero Ernesto Cannone, Samuele Caraccioli, Silvia Defraia, Antonio Baldassarre e Fabrizio Spirito. ”Coppola è il dominus”, scrive il gip Maurizio Caivano. Che narra di prestanome persino cingalesi, romeni e lituani. C’è il portiere dell’Hotel Daniel’s a Roma, che in un interrogatorio ha riconosciuto come sua la firma ma ha giurato di non amministrare niente. Ci sono una domestica e il marito. Addirittura nel caso del prestanome titolare della Micop Immobiliare, per indicarne le generalità è stato esibito alla Camera di commercio un permesso di soggiorno falso. Lo schema messo in piedi prevedeva due tipologie di società, quelle definite ”filtro” che acquistavano immobili a basso costo per rivenderli a prezzi tre volte superiori ”a quelle reali, destinatarie dei beni”. Sei sono state perquisite, come alcune abitazioni. Sono state sequestrate quote azionarie per un valore complessivo di 67 milioni di As Roma, Banca Intermobiliare, Hotel Cicerone, Immobiliare Valadier, Ipi, Mediobanca. [...]» (e.v., ”la Repubblica” 2/3/2007) • « solo l’inizio. L’accusa di bancarotta per il fallimento della società Micop, intestata a un prestanome di Danilo Coppola, fa da apripista. Nell’ordinanza di custodia cautelare contro l’immobiliarista romano, il gip Maurizio Caivano scrive: ”Con riferimento alle società Assa srl, Gen 5 srl, Phoenix Real Estate e Spica.Ca. Immobiliare, il pubblico ministero in data 13 febbraio 2007 ha formulato istanza di fallimento”. Non soltanto. ”Analoga procedura verrà attivata per le società Spazio 91 srl e Gabbiano immobiliare 2003 non appena perverrà comunicazione dell’emissione di avviso di irregolarità da parte dell’Agenzia delle Entrate”. ”Ne discende, come correttamente osservato dal pm, che trattandosi di situazioni identiche a quella della Micop srl, i fatti contestati assumono in prospettiva i caratteri di bancarotta patrimoniale”. Il castello sta per crollare. Il giudice Caivano spiega perché nelle 61 pagine dell’ordinanza, dove traccia un inedito profilo dell’imprenditore accolto nel salotto buono della finanza italiana con la partecipazione in Mediobanca. Coppola viene descritto come ”il capo di un gruppo organizzato per attuare un programma criminoso”. Programma ”avviato a partire dal 2002 e che perdura fino a oggi”. Dunque inevitabile l’arresto. ”L’attuale operatività del sodalizio rivela una spiccata propensione a delinquere degli indagati”, con rischio di ”reiterazione dei reati e inquinamento delle prove”. Inoltre, scrive il giudice, Coppola ha soldi e conoscenze per fuggire all’estero. Le indagini della guardia di finanza e della procura di Roma hanno trovato riscontro e forza nelle rivelazioni di Mauro Messina, che ha lavorato per Coppola dal primo ottobre al 22 novembre 2005 come direttore responsabile della contabilità e dell’amministrazione. Nell’interrogatorio dell’11 maggio 2006, Messina ha spiegato lo schema con cui agivano l’imprenditore e i suoi amici, adesso accusati di associazione per delinquere: ”Il gruppo includeva anche società che non conoscevo e che anzi il signor Bellocchi (braccio destro di Coppola) in più occasioni mi aveva detto essere società terze. Posso ipotizzare che le transazioni tra le società del gruppo e queste altre che sembravano artatamente terze erano solo fittizie, perché spostavano immobili non trasferendo l’effettiva disponibilità del bene, che passava da una mano all’altra dello stesso imprenditore. Le transazioni però potevano essere fatte a valori gonfiati e essere finanziate dalle banche di fiducia. In questo modo si potevano erogare finanziamenti più elevati all’imprenditore ed essere destinati ad altri scopi, ad esempio l’acquisto di titoli azionari quotati o di altri immobili, innescando quindi un meccanismo moltiplicatore della liquidità”. Il gip scrive che molte delle operazioni sotto inchiesta sono state realizzate da Coppola grazie ”ai finanziamenti ricevuti da Unicredit”. Ma ci sono altri istituti. Il supertestimone ha spiegato: ”Tra le banche di fiducia del gruppo ricopre un ruolo particolare la Banca Intermobiliare. L’amministratore delegato, Pietro D’Aguì, era legato da rapporti di strettissima amicizia con Danilo Coppola, facendo anche da testimone al battesimo della figlia”. Mauro Messina ha detto di non essere riuscito a capire ”le fonti della provvista estera”. Ma aveva dei sospetti: ”Una volta Coppola disse a Bellocchi in mia presenza che se il gruppo avesse avuto bisogno di denaro bastava che glielo avesse chiesto con qualche giorno d’anticipo, di modo che lui ne potesse ”far scendere giù’ un po’. Immagino che questo significasse farsi arrivare la provvista dal Lussemburgo e da Montecarlo, dove Danilo andava per affari spessissimo servendosi del suo aereo personale”. C’è un versante di indagine che riguarda gli istituti di credito. Mediobanca. Il giudice Caivano scrive che ”gli acquisti di azioni di Mediobanca, Bnl, Bim, Ipi e As Roma sono stati finanziati con risorse provenienti dai reati”. [...]» (Elsa Vinci, ”la Repubblica” 2/3/2007) • «[...] palazzinaro d’assalto [...] romano come Ricucci, e come il suo collega noto alle cronache [...] un outsider privo di storia e di pedigree finanziario [...] sbarcava il lunario come uno dei tanti piccoli immobiliaristi della periferia di Roma. Una crescita tanto veloce da sollevare dubbi e interrogativi. ”Chi c’è dietro?”, si chiede da tempo la Borsa. [...] i Coppola, siciliani trapiantati a Roma. La strada dove risiede anagraficamente il finanziere è via Bolognetta: si apre con i vecchietti del bar Billi e si chiude con il cemento armato della ferrovia abbandonata. Al centro c’è la villetta bifamiliare dei Coppola dove abita [...] mamma Francesca. Che è nata a Cosenza [...] e un tempo chiamava a raccolta le signore della zona per inscatolare le alici e arrotondare le entrate. Papà Coppola, classe 1929, nato a Casablanca ma con parenti a Trapani, era un impiegato statale. Solo alla fine degli anni Ottanta Paolo Coppola si dà alle costruzioni. Poi muore nel 1995 colpito da un infarto in Sicilia. ”Mi ha lasciato un patrimonio di 20 miliardi di lire”, ha sempre dichiarato Danilo Coppola. I vicini ricordano diversamente. Nel primo palazzo venduto da Paolo Coppola nel 1989, sulla parallela di via Bolognetta, fino al 2004 viveva la moglie di Danilo Coppola, Silvia Necci, con la sua bambina. Si resta stupiti a vedere le dimore della famiglia Coppola. A parte il villone con piscina di Danilo a Grottaferrata, i familiari vivono in case piccolo-borghesi. [...] Il bar della comitiva di Coppola è sempre stato il Duilio. [...] La storia della comitiva del Duilio sembra quella dei quattro amici al bar della canzone di Gino Paoli. Andrea Raccis, Silvio Sciabbarrassi ed Ernesto Cannone, tutti di Finocchio, facevano le ore piccole davanti a una birra. Dieci anni dopo stanno scalando Mediobanca. Danilo è il capo, ma i suoi compagni di infanzia sono soci o amministratori delle società del gruppo. A dire il vero nella squadra di Finocchio si sono inseriti, proprio quando Coppola è decollato, alcuni ”stranieri”. Come Giancarlo Tumino di Ragusa [...] O come Francesco Bellocchi, già stretto collaboratore (e cognato) di Stefano Ricucci, descritto come un campione del trading di Borsa. Con questa squadra Coppola si è mosso per qualche anno lontano dai riflettori. I bilanci delle sue aziende, prima del 2003, descrivono attività limitate. In totale pochi milioni di euro sparsi in diverse iniziative immobiliari attorno a Roma. Le quote di maggioranza delle società del gruppo risultano intestate a finanziarie lussemburghesi dai nomi esotici: Sfinge, Keope, Tikal. [...] la svolta, con il rastrellamento di Bnl [...] Sul piano operativo Coppola vanta stretti rapporti con la torinese Banca Intermobiliare, piccolo istituto di cui Coppola diventa anche socio. La sortita su Mediobanca segna il salto di qualità. Il diretto interessato si schermisce. Parla di ”investimento di lungo periodo”, accenna a una ”strategia di diversificazione degli investimenti”. In Borsa, però, pochi si accontentano di queste spiegazioni. [...]» (Marco Lillo e Vittorio Malagutti, ”L’Espresso” 7/7/2005) • «[...] Un’ascesa che parte dalle intraprese del padre Paolo che, a 18 anni, da Casablanca si trasferì a Roma avviando le sue prime attività edilizie nella zona sud-est, dove cominciò anche ad acquistare terreni: ”Quando si trattava di comprare aree in zone in via di sviluppo”, racconta, ”papà non stava lì a tirare sul prezzo”. Casilina, Tuscolana, Appia, Romanina, in questi quartieri Paolo Coppola costruì fino al ’95 quando, a 65 anni morì per un ictus. Cosa lasciò al figlio allora ventiseienne? ”Anzitutto, l’esperienza accumulata lavorando al suo fianco sin dai tempi del liceo scientifico”, racconta Danilo, che si è iscritto poi a giurisprudenza senza mai prendere la laurea. Poi, un discreto patrimonio (’Una ventina di miliardi”, quantifica l’interessato) che, oltre ai cantieri aperti, allineava 50 appartamenti, una sessantina di negozi e due centri commerciali: ”Tutto affittato”, spiega Coppola, ”con introiti allora ammontanti a oltre un miliardo di lire l’anno”. Alla base di questa accumulazione c’è una regola aurea del vecchio Coppola: terminata la costruzione, si può anche vendere tutta la parte residenziale, mai quella commerciale di pregio. Così, continuando ad edificare, Danilo Coppola ha allungato la lista degli immobili in affitto che oggi, parola sua, contano 140 appartamenti; 120 tra negozi e uffici locati soprattutto a istituti bancari (Credito cooperativo e Banca popolare di Milano, tra gli altri); vari centri commerciali. Un polmone finanziario (’Grazie ai canoni incasso ogni anno 20 milioni di euro”) che ha consentito a Coppola di allargare i suoi orizzonti. Prima, investendo nel centro di Roma dove ha rilevato vari immobili, uno dei quali - in via Frattina - è stato trasformato in albergo (Daniel’s Hotel). Poi, all’insegna della diversificazione, acquistando azioni di un paio di banche: il 2 per cento di Bin e, a partire dal 2002, circa il 5 per cento della Bnl, un investimento (’Ho speso 110 milioni di euro, oggi ne vale 250”) nel quale, spiega Coppola, si sarebbero riversati anche i guadagni della vendita di un migliaio di appartamenti operata nei due anni precedenti. ”Ecco dove ho preso i soldi per l’acquisto di Bnl”, puntualizza il costruttore: ”Dietro Coppola c’è solo Danilo”. Che su questo punto non ammette dubbi. Dopo una complicata ristrutturazione societaria la lunga lista delle sue immobiliari e finanziarie (Finpaco, Pacop, Corecop, Pablo, Pegaso, Altair, eccetera) fanno capo a due società lussemburghesi, Tikal e Sfinge, di cui Coppola afferma di essere proprietario al 99 per cento tramite un contratto fiduciario stipulato con la banca Dexia: ”Niente di anomalo”, assicura, ”solo un modo per sfruttare i vantaggi fiscali offerti da quel paese”.E quanto vale oggi il suo gruppo? ”550 milioni di euro di immobili e quasi 300 milioni di titoli azionari”, afferma l’imprenditore. Senza debiti a breve: ”Da pagare abbiamo solo i mutui accesi per le costruzioni in corso”. Quasi mille appartamenti, pari a circa 300 milioni, che saranno messi sul mercato in un paio d’anni, e con il cui ricavato Coppola vuole investire ancora sul core business immobiliare e altre diversificazioni» (Primo Di Nicola, ”L’espresso” 29/4/2004) • «[...] capelli lunghi, Coppola non ha il tipico aspetto austero del finanziere o del banchiere. Ha iniziato a lavorare giovanissimo a 17 anni con il padre, dal 1995 è al timone di un gruppo che ”tra immobili e partecipazioni vale attualmente circa 900 milioni” e ha quattro grandi passioni: il calcio (è azionista della Roma con il 2,5%, ma è pronto a partecipare all’aumento di capitale e ad aumentare considerevolmente questa quota); le barche (’non ci riesco mai ad andare, ma ho un Pershing 88”, cabinato a motore di 30 metri); gli aerei (’possiedo un Cessna”); e, naturalmente, le auto, velocissime e costosissime (’ho un’Aston Martin Vanquish, una Ferrari Enzo e una Mercedes SLR”)» (Fabio Massimo Signoretti, ”la Repubblica” 9/6/2004) • «Dalla borgata Finocchio, via della Bolognetta, periferia degradata a sud di Roma, a piazzetta Cuccia, nel palazzo secentesco di Mediobanca, tempio milanese dell’alta finanza italica; dall’istituto privato per scolari un po’ testoni ”Pio XII” di Torpignattara, al Lingotto, santuario torinese della Fiat, accanto ai Canaletto e ai Gustav Klimt collezionati in una vita da Gianni e Marella Agnelli. Dalle palazzine giallonerastre della Tuscolana e della Romanina, al felliniano Grand Hotel di Rimini. Breve ma intenso, assai poco felliniano, è l’Amarcord di Danilo Coppola, azionista di Mediobanca, proprietario, tra l’altro, di un pezzo di Lingotto e del Grand Hotel riminese, detto ”Er Cash” per lo smodato uso di contanti, o ”Palazzinaro con la pistola” per il disinvolto maneggiare delle armi da fuoco, da quando sparò per spaventare degli zingari che lo disturbavano in un ghetto di periferia. Danilo, dagli altari, è finito [...] in una cella di Regina Coeli - forse nei pressi di quella che ha ospitato a lungo il suo collega furbetto Stefano Ricucci - con l’accusa di bancarotta, associazione per delinquere e riciclaggio. Sic transeat gloria mundi, per dirla con San Paolo. Così la gloria, scema per un ragazzo di borgata neanche quarantenne, ”tricologicamente scorretto”, come è stato definito, peccato francamente alquanto veniale rispetto a quelli più seri che gli vengono addebitati per la criniera lunga e liscia che gli copre le spalle. Il giovanotto è riuscito per un po’ a far credere alle banche, della cui ingenuità fortissimamente dubitiamo, e a questa Italia abituata in ogni dove alle scorrerie dei lanzichenecchi della finanza, della politica, della cultura e anche dello spettacolo, di essere diventato in un battibaleno uno degli uomini più ricchi d’Italia, con un patrimonio di tre miliardi e mezzo di euro, diconsi settemila miliardi di vecchie lire. Può un figlio di borgata, col papà Paolo impiegato morto di ictus poco più che sessantenne e con la mamma Francesca che non più di vent’anni fa vicino al bar ”Billi” inscatolava le alici per arrotondare il bilancio di casa, aver scalato la ricchezza e il potere nell’arco di tempo in cui i figli della borghesia benestante impiegano a studiare e a trovare, forse, un posto da 1500 euro al mese? Può darsi che per realizzare il ”sogno americano” serva nascere intelligenti e determinati alla borgata Finocchio. Ma, se vogliamo, è più probabile che in borgata si trovino con meno difficoltà le ”pudenda” di un capitalismo prima asfittico e un po’ ottuso, oggi, per molti versi, di speculazione, d’avventura, di collusione, quando non di riciclaggio. Niente di nuovo, per la verità. Trent’anni fa a salvare l’Italia dal disastro sindoniano, che era cominciato con la Generale Immobiliare, fu chiamato dal potere democristiano incarnato allora da Ferdinando Ventriglia, un manipolo di palazzinari romani di cui oggi neanche si ricordano i nomi. E Salvatore Ligresti, che mai incarnò la lucentezza di un capitalismo delle regole e delle responsabilità, fu per anni la sponda di Enrico Cuccia, che familiarmente chiamava il suo corregionale siciliano ”don Salvatore”. Nel caso Ambrosiano-Calvi, che finì con l’impiccagione del banchiere sotto il Ponte dei Frati neri a Londra, erano coinvolti insieme il Vaticano, lo Ior, e la banda della Magliana, con faccendieri che sono ancora attivamente sulla piazza. Con ”Er Cash” è stato arrestato Luca Necci, ex cognato di Ricucci, un dettaglio che ”ad abundantiam” ricongiunge i fili del capitalismo delinquenziale che negli anni del berlusconismo – per carità, non che anche prima non fosse capitato - ha spadroneggiato, nella convinzione di poter violare tutti i santuari del potere, compresa la ”magnifica preda” del Corriere della Sera. Ma tra i ”bad boys” di borgata che hanno messo a ferro e fuoco la finanza negli ultimi anni non sono state sempre rose e fiori. Chi ha assistito o avuto eco diretta di qualche riunione dei ”concertisti” durante la scalata fallita dei furbetti alla Banca Nazionale del Lavoro, racconta del crinierato della borgata Finocchio che attacca il collega ex odontotecnico di Zagarolo definendolo – pensate un po´ – ”inaffidabile”, mentre quello inveiva contro chi voleva ”fa’er frocio col culo degli altri”. A Danilo Coppola, che pare nulla abbia a che fare col parzialmente omonimo Frank Coppola detto ”Tre dita”, il mafioso che per anni fu in soggiorno obbligato a Pomezia e che di lì pilotò molti affari immobiliari a Roma e nel Lazio, di carattere non ne manca. Quando compra 170 milioni di azioni della Bnl, Diego Della Valle lo invita a prendere un tè all’Hotel Eden di Roma e più o meno gli dice: caro signore, quello che lei ha speso per la Bnl oggi vale il doppio, per cui si è fatto un bel gruzzolo, perciò lo monetizzi, per favore, se ne vada, perché uno come lei nel consiglio d’amministrazione della banca non entrerà mai. ”E che sono io, uno straccione ? Lei è sicuro di essere più ricco di me ?”, gli risponde il crinierato e, preso dall’indignazione del parvenu rifiutato, un sentimento che tanti guai ha procurato a questo paese determinando persino la ”scesa” in politica di Silvio Berlusconi, si compra il 4 per cento di Mediobanca, di cui [...] ha ceduto la metà per 50 milioni di euro. Il suo faro di vita, come spesso confida, è Francesco Gaetano Caltagirone, che nelle stanze del potere è entrato, eccome, per ricchezza, per abilità e per parentele politiche acquisite. Ma soprattutto per gli investimenti nei giornali: Il Messaggero, Il Mattino, Il Gazzettino. Quello è il modo per rifarsi una verginità. Ma il Corriere è il boccone impossibile di quel velleitario spaccone di Ricucci e di tutti quelli che lo proteggevano nel giro stretto berlusconiano e della Casa della libertà, che dal banchiere di Lodi Gianpiero Fiorani hanno succhiato, a quanto pare ai magistrati, tangenti per una cinquantina di milioni di euro: non solo il povero Luigi Grillo, l’ex democristiano ligure organizzatore della lobby pro Antonio Fazio durante la partita Antonveneta, ma anche i ruspanti leghisti e il ricco bibliofilo siculo Marcello Dell’Utri, l’inventore di Forza Italia, che nelle vicende dei ”bad boys” del capitalismo straccione ha un suo ruolo non di secondo piano. I figli non hanno le colpe dei padri, per carità. Ma sapete chi distribuì il film da Oscar della signora Ricucci, alias Anna Falchi ? Un certo Jacopo Dell’Utri, figlio del sullodato. Allora – si dice Coppola – se il Corriere è impossibile cominciamo dal basso: da quell’accrocco editoriale messo insieme da Osvaldo De Paolini, giornalista noto soprattutto per la personale esperienza borsistica, e dai suoi soci, compreso il direttore editoriale Gianni Locatelli, ex direttore del Sole 24 Ore ed ex direttore generale della Rai, incorso qualche anno fa, con alcuni suoi colleghi, nell’increscioso incidente Lombardfin. Così ”Er Cash” sborsa 12 milioni o giù di lì per acquisire il 18 per cento di un’impresa editoriale semiclandestina. Licenzia i commercialisti di borgata e si affida al superstudio torinese dei Segre. Ma non bastano i Segre, il Lingotto, Mediobanca, la Roma Calcio, il piccolo scudo di stampa con i giornaletti finanziari, il palazzo affittato all’Antitrust, a esorcizzare il turbillon inquietante di società nazionali o esterovestite governate spesso da baristi e studenti ignari, la contiguità antica con il commercialista della cosca Piromalli, Roberto Repaci, i trascorsi affari con Giampaolo Lucarelli, l’ombra di Enrico Nicoletti, boss della banda della Magliana. L’impero di cartone forse è al capolinea. [...]» (Alberto Statera, ”la Repubblica” 2/3/2007) • «Tante ne hanno dette sulla sua capigliatura, che alla fine Danilo Coppola non ci faceva nemmeno più caso. ”In passato sono stato più volte attaccato per i miei capelli. Che debbo pensare? C’è gente che ogni mattina si fa la doccia ma non lo shampoo”, aveva risposto a una domanda di Prima comunicazione sullo scontro allora in atto con l’editore di Milano Finanza, Paolo Panerai. Le battute sul barbiere e su quei ”lunghi capelli à revers sulle spalle”, li definì un fosseo una specie di ”lombrosiana discriminazione”, si sprecavano. Ma gli rimbalzavano. Gli rimbalzò anche un’inchiesta del Sole 24ore sui suoi affari che gli levò letteralmente la pelle. Reazione comprensibile per uno che come lui viene dalla borgata Finocchio, a Roma, ed è diventato a 40 anni proprietario di una fortuna dichiarata in 3,5 miliardi di euro e del 1% di Mediobanca. Come sia riuscito ad accumulare tanti soldi, per molti rimane un mistero. Anche se un pezzettino di quella fortuna, per la verità, si spiega eccome: comprando e rivendendo all’Unipol le sue azioni Bnl si è messo in tasca 230 (duecentotrenta) milioni di euro. Un mistero per certi versi simile a quello che ha avvolto il suo ex compagno di scalate bancarie Stefano Ricucci, immobiliarista che voleva conquistare il Corriere, edi cui Coppola ha assunto il cognato: Francesco Bellocchi. ”Sono stato molto fortunato, perché ho operato in un momento nel quale il mercato immobiliare è esploso. Non si può farmene una colpa”, ha dichiarato un giorno senza infingimenti. Portando come esempio alcune operazioni. Come l’acquisto del Grand Hotel di Rimini (’ci sono entrato una volta, l’ho visto e l’ho comprato”), o quello del palazzo ai Parioli che ha poi affittato all’Antitrust (’l’ho pagato 67 milioni, due mesi dopo ho avuto richieste per 90 milioni”). Abilissimo a cavalcare la bolla del mattone insieme agli altri spericolati immobiliaristi scalatori di banche che infiammarono l’estate del 2005, facendo persino giudicare al segretario dei Ds Piero Fassino ”incomprensibile la puzza sotto il naso che circonda chi si occupa di costruzioni” (avesse potuto, in seguito si sarebbe morso le labbra), lo era pure nelle operazioni finanziarie. Senza limiti di ambizione. [...] ha comprato il giornale Finanza e Mercati. Alla prima riunione con il comitato di redazione ha proclamato: ”Voglio un giornale autorevole, come quello inglese, quello colorato...”, indicando il Financial times. ”Preferisco fare che parlare”, ripeteva, incurante di essere considerato un parvenu. Il che spiega le rarissime apparizioni pubbliche. C’è una sua foto con la modella argentina Valeria Mazza. Per il resto, le occasioni mondane sono le partite della Roma in tribuna d’onore. Anche quello, però, è lavoro. Coppola è azionista della Roma e ha comprato l’hotel Cicerone da Franco Sensi. Lui e sua moglie Silvia Necci hanno pure messo 25 mila euro a testa nel quotidiano il Romanista, come hanno fatto anche Antonello Venditti, Francesco Storace, Maurizio Costanzo e Gaetano Bellavista Caltagirone. Dice Riccardo Luna, fondatore e direttore del giornale. ”Stavo cercando finanziatori per il giornale e mi dissero che forse Coppola, tifoso romanista, sarebbe stato disponibile. Lo andai a trovare e sottoscrisse due quote, una per sé e una per la moglie, senza battere ciglio”. Il suo nome l’aveva fatto un altro dei ”Romanisti”, Giovanni Malagò, concessionario della Ferrari a Roma. Che dice di conoscere Coppola come cliente: ”Ha acquistato delle automobili e si è sempre comportato in modo irreprensibile. Detto questo, non ho mai avuto particolari frequentazioni”. Se non una. Perché Coppola, prima di entrare nel salotto buono della finanza milanese, aveva messo nella cucina romana. Pardon, la Grande cucina: la società che gestisce il ristorante della Casina Valadier. E poco importa se in due anni quella impresa ha perso più di 2 milioni e mezzo di euro. Fra gli azionisti ci sono Carlo Caracciolo, Carlo De Benedetti, Cesare Romiti, la famiglia Perrone, l’immobiliarista Domenico Statuto, Giampaolo Letta (il figlio di Gianni Letta), Vittorio Ripa di Meana e anche Giovanni Malagò con Matteo Cordero di Montezemolo. Proprio lui, il figlio di Luca, socio e amico di Diego Della Valle, che di Coppola, Statuto e Ricucci era il nemico giurato. Ma gli affari sono affari, e le scarpe sono scarpe. Ricorda uno che l’ha conosciuto all’epoca delle scalate: ”Coppola sparava sempre a zero su Diego. Poi gli guardavi i piedi e portava sempre le Hogan, le scarpe fabbricate da Della Valle”» (Sergio Rizzo, ”Corriere della Sera” 4/3/2007).