L’Indipendente 25/04/2004, 25 aprile 2004
gli inglesi Le condizioni di partenza (la miseria) e quelle dell’arrivo (sacrifici inenarrabili) formano il substrato su cui doveva poi formarsi il cosiddetto spirito americano
gli inglesi Le condizioni di partenza (la miseria) e quelle dell’arrivo (sacrifici inenarrabili) formano il substrato su cui doveva poi formarsi il cosiddetto spirito americano. Il quale in primo luogo consiste in questo: dobbiamo migliorare la nostra condizione, costi quel che costi, e tutto il resto non conta. Arrivava in America anche gente che scappava dall’Europa per le persecuzioni: gli ebrei, gli ugonotti, i repubblicani, i nemici dei re a qualunque titolo. In America di tutto questo (le idee, la religione) non importava niente a nessuno. Gli americani inizialmente si sistemarono sulla fascia orientale del Paese. Immaginiamo che l’America sia un rettangolo. Coloriamo uno strisciolina sul lato destro del rettangolo. Questa è l’America degli inizi, frazionata in tredici stati che non erano affatto uniti tra di loro. Gli inglesi li dirigevano attraverso dei governatori. Quelli che stavano nella parte bassa della strisciolina (i sudisti) facevano soldi col tabacco. Non facevano rotazioni dei campi, non permettevano al suolo di riposare e perciò, dopo tre-quattro anni, dovevano impossessarsi di altre terre da coltivare. Avevano bisogno di manodopera e importavano negri dall’Africa come schiavi. Quelli che occupavano la parte superiore della strisciolina (i nordisti) facevano soldi con le navi. Costruivano navi e portavano merci da tutte le parti. Erano sempre colonie e c’era una regola da rispettare: tutte le vendite dovevano essere fatte all’Inghilterra (ci pensava lei a diffondere poi i prodotti americani nel mondo, guadagnandoci), tutti gli acquisti pure. L’Inghilterra era la madrepatria, avere vestiti inglesi, mobili inglesi e modi di fare inglesi era assai chic, ma gli americani avevano mangiato topi e sparato agli indiani per stare meglio: facevano perciò contrabbando a tutto spiano. Persino quando gli inglesi erano in guerra con i francesi o gli spagnoli, gli americani non si facevano scrupoli: rifornivano ufficialmente la madrepatria e di nascosto vendevano armi, farina e quant’altro sia agli spagnoli che ai francesi. La questione dell’indipendenza ha pochissimo di ideale, e molto di pratico. In Inghilterra vi era una grande e potente azienda, la Compagnia delle Indie Orientali, che si trovava sull’orlo del fallimento. Aveva in magazzino 17 milioni di libbre di tè e poteva uscir fuori dai guai vendendole. Dove venderle, però? Gli inglesi sapevano che il contrabbando di tè in America era assai fiorente. Si potevano prendere due piccioni con una fava: salvare la Compagnia delle Indie e colpire il contrabbando americano di tè. A Londra venne fatta una legge (Tea Act) che permetteva alla Compagnia delle Indie di aprire magazzini in America e di vendere direttamente il tè agli americani, senza passare per nessuna intermediazione. Il tè sarebbe costato molto meno di quello che lo facevano pagare i mercanti americani. Era il 1773: quando le navi inglesi cariche di tè arrivarono nei porti americani, gli americani presero il tè che stava nelle stive e lo buttarono a mare. Seguirono, nei tre anni successivi, la pubblicazione del Common sense di Thomas Paine dove si proclamava la necessità di separarsi dall’Inghilterra con la frase «Dalla Gran Bretagna non possiamo aspettarci altro che rovina», la Dichiarazione d’Indipendenza di Thomas Jefferson (4 luglio 1776) e l’inizio della guerra che terminò, con la vittoria americana, nel 1783.