Varie, 26 aprile 2004
PETRINI
PETRINI Carlo Bra (Cuneo) 22 giugno 1949. Fondatore di Slow Food. «In Italia [...] ha una fama abbastanza stereotipata e in fondo limitata, quella del ghiottone di sinistra, figura lievemente decadente. ”Ma per carità, va benissimo anche quello. Non rinnego, anzi rivendico: il diritto al piacere non è ideologico, è fisiologico, ed è schifosamente classista pensare che solo le classi abbienti debbano godere. Solo che io, parallelamente a questo, e insieme a questo...”. Solo che lui, partendo dalla cultura del cibo, ha messo in piedi, dall’84 a oggi, non solo un’associazione internazionale come Slow Food, in prima linea nella difesa delle colture in via d’estinzione e delle biodiversità; non solo la prima università al mondo di Scienze dell’alimentazione, a Pollenzo (di fianco a Bra, naturalmente); ma anche una rete mondiale di contadini che non ha eguali, probabilmente, nella storia. [...] ”io non sono mica un politico. Pessimo mediatore, non sarei capace. Sono un organizzatore, ecco, questo sì. Mi piace mettere in contatto le persone, dare vita a flussi di conoscenze, collegare esperienze che poi si contaminano tra loro, germinano, danno frutti. Terra Madre nasce dai Premi Slow Food: venivano contadini da ogni parte del mondo, parlavano lingue diverse ma dopo mezz’ora, magari a gesti, cominciavano a comunicare, mettevano a confronto le loro culture materiali, erano felici. Erano un centinaio, i loro nomi e le loro storie, assolutamente straordinarie, erano segnalati da una giuria di ottocento giornalisti sparsi nei vari continenti. Al Premio venivano anche loro, gli ottocento giornalisti, tutti grandi amici, per carità. Però mi sono chiesto se invece di invitare ottocento giornalisti e cento contadini non fosse il caso di invertire le proporzioni [...] faccio parte di una generazione fortunata. Non avendo conosciuto la fame e la guerra, le privazioni che per i nostri nonni erano pratica quotidiana, abbiamo avuto tutto il tempo di pensare e di sognare. Abbiamo sognato anche molte cazzate, per carità. Ma lo abbiamo fatto in tutta onestà, io dico, e senza vendere l’anima al diavolo [...] forse avrei potuto farmi una famiglia, ma la mia vita è così piena, e gratificante, che non ho neanche il tempo per eventuali rimpianti. Ho inseguito una vocazione che era, al tempo stesso, un puro piacere. Io sono figlio di un’ortolana cattolica e di un ferroviere comunista, la terra e il viaggio evidentemente ce li ho nel sangue. E poi la mia levatrice si chiamava Gola, madama Gola, e dunque, in fondo, non ho fatto altro che dare retta al destino” [...]» (Michele Serra, ”la Repubblica” 6/10/2004). «Sopporta allegramente la sua fama prevalente, che è quella del ghiottone, o peggio del gastro-filologo snob, maniaco del formaggio di fossa e dell’ortaggio in via di estinzione. [...] La sfida di Slow Food va intesa [...] in tutta la sua ostinata (ed eversiva) sostanza: mettere la qualità al centro di ogni intenzione e di ogni azione, e soprattutto credere fermamente che la qualità possa e debba diventare ”democratica”. E´ l´esatto rovesciamento della logica dei consumi omologati e della cultura di massa, il cui paradigma (pensate alla televisione, pensate all´edilizia popolare, pensate all´industria del turismo) è che la qualità sia escludente e dunque vada esclusa, che la qualità sia nemica della penetrazione diffusa dei prodotti e delle idee. E´ totalmente paradossale, in questo senso, che Petrini sia, presso i suoi detrattori, in fama di snobismo elitario. Veramente snob ed elitaria, veramente classista, a ben vedere, è la rassegnata e/o sprezzante idea che alla ”gente”, massa indistinta, spetti solo mediocrità e bruttezza. Non per caso la prima ”battaglia” di Petrini fu contro il livello scadente della ristorazione alle popolarissime Feste dell´Unità: in Italia, soprattutto in Italia, si può fare cucina popolare ad alto livello e a prezzi contenutissimi, dunque è un delitto non farla. Pareva solo un´amena discussione con il tovagliolo allacciato, era (e lo è a maggior ragione adesso) una discussione nevralgica sul significato stesso del termine ”popolare”. E una sinistra che, in larga parte, ha perduto il popolo, e lo vede con diffidenza come audience addomesticata, dovrebbe riflettere sulla parabola vincente di Carlo Petrini, uomo di territorio e uomo del popolo (parla spesso e volentieri in dialetto) che delle sue radici contadine ha saputo fare, come si diceva una volta, contro-cultura, oggi vale la pena dire cultura tout-court, perché il solo fatto di fare cultura è ”contro”. Incapace di accettare che si debba, per sopravvivere, imitare i modi e le intenzioni degli ”altri”, amico di contadini e di artisti, alieno alla televisione (dove va di rado e con grande sacrificio), politicamente rosso antico ma molto socievole nella prassi (ha rapporti con quasi tutti, parla parecchio bene del ministro Alemanno), Carlo Petrini ha dimostrato che su un´idea radicale (il buon vivere, e un vivere gentile, dev´essere il vero obiettivo della politica) si può fondare una prassi vincente» (Michele Serra, ”la Repubblica” 25/4/2004).