Varie, 26 aprile 2004
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Chalabi Ahmed
• Baghdad (Iraq) 30 ottobre 1944. Finanziere. Politico • «Era la primavera del 1992 e i curdi tenevano le prime elezioni democratiche, dentro al fazzoletto di terra che controllavano nel Nord dell’Iraq grazie agli americani. Hoshyar Zebari, futuro ministro degli Esteri dopo la caduta di Saddam, era portavoce di Massoud Barzani, capo del Partito democratico del Kurdistan, e avvicinandosi a un signore pelato piuttosto in carne, sussurrava ai giornalisti: ”Questa è una persona importante, meglio farsela amica”. Era Ahmed Chalabi [...] Proprio in quel periodo i giudici giordani lo stavano condannando a 22 anni di lavori forzati per il fallimento della sua banca, la Petra Bank. Ma lui era in territorio iracheno, a preparare una delle più clamorose rivincite politiche nella storia del Medio Oriente. Se il mito della Fenice ha qualche collegamento con la realtà, Chalabi lo impersona. nato [...] da una delle famiglie sciite più in vista dell’Iraq, ma l’avvento al potere di Saddam lo aveva obbligato a fare le valige. Come tutti i rampolli delle dinastie ricche del Medio Oriente aveva studiato in giro per il mondo, laureandosi in matematica alla Chicago University e al prestigio Mit di Boston. La matematica l’aveva pure insegnata, all’American University di Beirut, ma poi si era dedicato ai soldi, fondando la Petra Bank ad Amman. Nel 1992, però, la sua banca era fallita, lasciando debiti per oltre 300 milioni di dollari. I giudici lo avevano destinato ai lavori forzati, condanna ancora vigente in Giordania, ma lui era riuscito a fuggire sopra una macchina fornita dal principe Hassan, fratello del re. Chalabi sostiene che è innocente e l’intero processo era un complotto ordito da Saddam con re Hussein, per eliminarlo dalla scena politica. Se l’obiettivo ere questo è miseramente fallito. A Londra Ahmed aveva fondato l’Iraqi National Congress, organizzazione ombrello dell’opposizione irachena all’estero. Nel 1992, quando lo avevamo incontrato a Salahuddin, stava creando la sua rete nel Kurdistan. Da lì, nel 1995, aveva cercato di organizzare un colpo di stato, fallito quando la Cia si era tirata fuori. Chalabi aveva tenuto duro, nonostante i rivali lo sfottessero chiamandolo ”il rivoluzionario del Rolex”. Aveva costruito amicizie importanti, come quella col futuro consigliere del Pentagono Richard Perle, che l’avrebbero rilanciato nell’amministrazione di Bush figlio. stato lui a fornire la maggior parte delle informazioni sulle armi di Saddam, mai trovate, e lui era candidato premier di Rumsfeld, dopo l’invasione. Nel maggio 2004, però, i soldati americani avevano fatto irruzione nella sua casa di Baghdad. L’idillio con Washington era finito: era accusato di aver passato segreti all’Iran, dove era stato ricevuto con grandi onori, e di frodi monetarie. Ma è risorto. Si è alleato con l’ayatollah al Sistani, ha evitato l’arresto e si è candidato per la lista vincente. Gli amanti dei complotti leggono la sua parabola come un piano della Cia per ricostruire la sua credibilità fra gli iracheni scaricandolo in pubblico. Lui è più modesto: ”Gli americani mi hanno trattato come fecero con De Gaulle, cioè male. Ma restiamo amici”» (’La Stampa” 18/2/2005). «Leader d’una formazione - un partito, comunque - assai più nota con il proprio nome in inglese (l’Iraqi National Congress) piuttosto che in arabo; e già questo la dice lunga [...] una laurea in Matematica a Chicago e studi presso l’Mit di Boston, il ”dottor Chalabi” (come amano chiamarlo i suoi, ma qualcuno anche ”il Presidente”) ha vissuto larga parte della propria vita fuori dall’Iraq, che abbandonò nel ”56. Viene da una ricca famiglia di finanzieri, e lui stesso ha fondato in Giordania la Petra Bank, con esiti però che non sembrano disegnargli un profilo molto commendevole: lasciò Amman ”in circostanze misteriose” (la frase è ufficiale, dei tribunali giordani) nel 1989, giusto in tempo per sfuggire alla cattura e poi alla condanna a 22 anni di galera, in contumacia, per truffe e raggiri finanziari. Questo passato piuttosto problematico non gli ha però nociuto agli occhi dei responsabili del Pentagono, che lo considerano da sempre ”un grande amico del popolo americano”. Come scrisse il ”Washington Post” qualche mese prima dell’inizio della guerra irachena, ”l’Amministrazione e il ministro Rumsfeld preferiscono di gran lunga le analisi e le previsioni sull’Iraq offerte dall’Inc piuttosto che quelle costruite con solida esperienza professionale dalla Cia”. E ancora, più duramente: ”Chi sa molto di Iraq e della politica di quel Paese considera le informazioni che l’Inc passa al Pentagono assai vicine al nulla assoluto”. Apprezzato e sostenuto dai ”falchi”, Chalabi è invece disprezzato da Fort Langley e dallo staff di Powell. Ancora il ”Washington Post”, senza mezze misure: ”Alla Cia, e al Dipartimento di Stato, Chalabi è considerato l’inaffidabile capo d’una organizzazione corrotta e autopromozionale, interessata a far pubbliche relazioni su se stessa, ma non molto di più”. E sul ”New Yorker”, Seymour Hersh ha scritto che le pressioni - e le informazioni - dell’Inc hanno avuto un peso decisivo nelle scelte di Bush. Tant’è che, appena una settimana dopo l’inizio dell’attacco contro Saddam, Chalabi fu portato con un volo speciale in Iraq, accompagnato da 700 uomini in uniforme e armi. Quello che doveva essere il primo contingente della nuova presidenza irachena è rimasto però un corpo militare senza legittimazione reale. Forte a Washington, Chalabi conta poco o nulla a Baghdad; è stato uno dei presidenti a rotazione, ha piazzato il nipote alla direzione del tribunale che dovrà giudicare il Raìss, ha anche avuto l’incarico di presiedere le pratiche dell’epurazione del vecchio regime. Ma poco più. E anzi, su questo problema, delicato, dell’epurazione ha commesso una gaffe che ha irritato molto Washington: ha detto che - perdonando alcuni dei vecchi capibastone di Saddam - l’America è come se avesse perdonato i gerarchi nazisti di Hitler. Bush se n’è adontato; e quando poi ha saputo che Chalabi - nel tentativo di guadagnarsi simpatie irachene - stava criticando pubblicamente l’attacco lanciato a Falluja per vendicare gli americani bruciati e impiccati, ha deciso che era l’ora di sospendere quei 340 mila dollari che Washington passa ogni mese all’Inc» (Mimmo Candito, ”La Stampa” 25/4/2004).