Il Sole-24 Ore, lunedì 15 marzo, 25 aprile 2004
Il Sole-24 Ore, lunedì 15 marzo Come ragionano i terroristi, quali sono i loro obiettivi? E, soprattutto, che ruolo hanno al-Qaida e bin Laden? L’ultimo interrogativo, paradossalmente, è il più semplice, forse il meno complesso
Il Sole-24 Ore, lunedì 15 marzo Come ragionano i terroristi, quali sono i loro obiettivi? E, soprattutto, che ruolo hanno al-Qaida e bin Laden? L’ultimo interrogativo, paradossalmente, è il più semplice, forse il meno complesso. L’islamista Valeria Piacentini, professoressa alla Cattolica di Milano, incontra Osama nel 1998 ai confini tra Afghanistan e Iran, in un’area remota e arida del Balucistan. «Fu molto gentile - racconta - ci aiutò a rimettere in marcia la nostra jeep in panne e mi offri un tè. Fu il mio ”tè nel deserto” con bin Laden. Conversava in inglese con accento oxfordiano. Si informò sulla mia attività ma soprattutto ebbi modo di comprendere quanto la popolazione locale lo rispettasse e nutrisse per lui una gratitudine infinita: aveva costruito ospedali e dispensari in una regione abbandonata da tutti». Bin Laden non è l’ideatore e neppure il capo della Jihad, la guerra santa islamica. , come sottolineano anche le parole della Piacentini, soprattutto un imprenditore efficiente. Un imprenditore della Jihad diretta contro l’Occidente e alcuni regimi musulmani che ha creato un’’azienda” basata sulla sua immagine, attentamente coltivata negli anni. Il compito che gli assegnarono i servizi segreti sauditi e il principe della casa reale Bin Turki negli anni 80 era relativamente limitato: costruire un ospedale a Peshawar per i mujaheddin che lottavano contro i sovietici. Osama è un emissario saudita e qui incrocia il palestinese Yusuf Azzam e il capo afghano Rasul Sayaf: entrambi diventeranno referenti di Riad. Sullo scacchiere afghano si saldano gli interessi dei sauditi, che finanziano la guerra a colpi di petrodollari, e quelli del Pakistan, interessato all’Afghanistan come retrovia del suo sistema di sicurezza. II ruolo di Osama è quello di grande esperto di logistica. lui a organizzare ospedali, scuole, assistenza sociale e anche il reclutamento dei volontari. Dall’armamento, all’addestramento, ai trasporti, tutto passa da bin Laden: si tratta di un ciclo completo di servizi ai quali aggiunge la specialità di famiglia nel settore costruzioni. In Afghanistan Osama invia i bulldozer che servono a scavare complessi reticoli di tunnel nelle montagne: sono i rifugi imprendibili dei mujaheddin, bunker completi di ospedali da campo per resistere all’Armata Rossa. Fin qui Osama è buon alleato degli americani. Con il ritiro sovietico dall’Afghanistan e la prima guerra contro l’Iraq, dove Osama avrebbe voluto partecipare alla coalizione contro l’’empio” Saddam, si consuma la rottura. Emerge Ayman al-Zawahiri, medico egiziano considerato la vera mente della Jihad, che vuole allargare la guerra santa dai sovietici a tutti gli infedeli puntando ai regimi corrotti e apostati del mondo musulmano. Tra questi anche Pakistan, Egitto e pure Arabia Saudita: da questi Paesi è venuta la grande massa dei militanti di al-Qaida ma quegli Stati sono rimasti alleati degli Usa. Nell’asse del male di Bush sono finiti l’Iraq di Saddam, che non aveva un ruolo nella Jihad, e l’Iran da cui non è mai venuto neppure un militante della rete del terrore. Zawahiri definisce ideologia e strategia, Osama organizza l’holding della Jihad. Non solo mette a disposizione il suo patrimonio ma attiva un network di relazioni nel mondo economico arabo. Secondo fonti citate recentemente da ”Limes”, il circuito finanziario di al-Qaida, che si appoggia alle Organizzazioni non governative islamiche, coinvolge oltre 400 uomini d’affari, in gran parte arabi ma anche pakistani e asiatici, con centinaia di società, dalla penisola arabica fino all’Estremo Oriente, oltre che sulle piazze di Londra, New York, Zurigo, Hong Kong. Questo è il vero tangibile network della guerra santa che si approvvigiona, oltre che con finanziamenti e donazioni religiose, con gli affari, legali e non: dall’immobiliare al narcotraffico, e un circuito di riciclaggio al quale non sono estranee alcune banche islamiche, un settore che oggi gestisce 150 miliardi di dollari l’anno ben inserito nel sistema creditizio occidentale. La sopravvivenza di al-Qaida dipende in gran parte da questa holding globale creata dall’imprenditore bin Laden e dalla capacità d’attrazione della sua ideologia radicale: in mancanza di una contro-propaganda convincente, molti musulmani, istruiti o analfabeti, considerano l’organizzazione e i suoi imitatori compatibili con teologia e principi islamici. Oggi però al-Qaida non si alimenta soltanto di una certa interpretazione dell’Islam o dei conflitti del Medio Oriente ma soprattutto di un contestazione anti-imperialista esasperata, amplificata dalla globalizzazione: per questo altri gruppi terroristici potrebbero incrociare tatticamente la rete di Osama. Eppure più si allargano le interpretazioni legate all’11 settembre e agli attentati successivi, per arrivare fino all’ultimo di Madrid, più l’obiettivo del terrorismo, figlio o meno della Jihad, diventa indefinito. Secondo il filosofo tedesco Jürgen Habermas - citato in uno studio di Giovanna Borradori sull’11 settembre - «non c’è più scopo alcuno in questo terrorismo, l’unico effetto è diffondere tra le popolazioni e i governi un sentimento di shock e inquietudine. Si tratta di gesti terrificanti che non possono neppure essere trasformati in atti politici. Ecco perché anche una loro rivendicazione diventa difficile». La speranza è che il prodotto dell’’azienda bin Laden” e dei suoi epigoni diventi sempre più costoso e invendibile sul mercato della paura. Alberto Negri