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 2004  aprile 22 Giovedì calendario

Quattrocchi Fabrizio

• Catania 9 maggio 1968, Iraq 14 aprile 2004. Fornaio. Poi body-guard. Giustiziato dai ribelli iracheni che lo avevano rapito insieme a tre connazionali, passerà alla storia per le ultime parole dette al boia che lo stava per ammazzare: «Ti faccio vedere come muore un italiano». «Era considerato tra i migliori e più addestrati nel settore. Nel gruppo delle guardie del corpo era considerato un ”veterano”. E in Iraq, Fabrizio era arrivato in novembre, prima degli altri sequestrati. L’anziana madre, Agata Raimondo, di 74 anni, non sapeva che il figlio fosse finito a lavorare in uno dei Paesi più pericolosi del momento. ”Un periodo come guardia del corpo in Kosovo”, questa era stata la versione per lei. Solo il fratello Davide, la sorella Graziella e la fidanzata Alice sapevano che era in Iraq. Ma tacevano per non farla preoccupare. ”Mio fratello - aveva raccontato Davide Quattrocchi, tracciando un ritratto di Fabrizio - ha fatto un normalissimo servizio militare in fanteria, con il grado di caporal maggiore, a Como. Non ha mai partecipato a missioni all’estero. Una volta congedatosi ha continuato a lavorare nel panificio di nostro padre continuando a coltivare la sua passione sportiva delle arti marziali. Quando nel 2000 abbiamo ceduto il forno, ha scelto di lavorare saltuariamente nella sicurezza anche a causa della sua allergia al contatto con la farina. Poi, quella che era cominciata come una passione, è diventata una professione vera e propria”. ”Ha seguito dei corsi di addestramento specifici - aveva invece ricordato la fidanzata Alice - si è preparato con scrupolo ed ha cominciato a collaborare con agenzie specializzate a Genova come addetto alla sicurezza nei locali notturni o come guardia del corpo. Ma sempre con grande rettitudine e con la bontà che lo contraddistingue. Non ha mai picchiato nessuno, anzi interviene sempre per dividere le persone. A lui, così grande e grosso, non è mai piaciuto fare a botte”. ”Era stato contattato per questo lavoro in Iraq - aveva proseguito il fratello Davide - ed era stato convinto della necessità di partire anche per le buone prospettive di guadagno”. ”Ma soprattutto perchè amava il suo lavoro, per il quale si era preparato con scrupolo - avevano insistito Alice e la sorella Graziella - e poi anche perchè pensava di sistemarsi, di comprarsi una casa e di mettere su famiglia. Di certo non è partito per spirito di avventura o per provare emozioni”. [...] Un passato nell’esercito in fanteria, alcuni incarichi come guardia del corpo - uno perfino per il ministro Claudio Scajola - Fabrizio Quattrocchi lavorava da due anni per la Ibsa, un’agenzia di investigazioni, bonifica, servizi di sicurezza e allarmi» (’La Stampa” 15/4/2004). «L´Italia, la sua patria, lui l´aveva nel cuore. Senza fanatismi politici, con convinzione, naturalezza. L´aveva nel cuore da sempre. Da quando, ragazzino esile, magro, di diciassette anni, imparava a fare il pane e faticava nel negozio di Mario, parente alla lontana, che in via San Vincenzo, nel centro di Genova, dove Fabrizio abitava, ha una panetteria. Diceva allora di amare la patria, con il suo modo di fare tranquillo, riservato. Gentile, ma determinato. Ha continuato a pensarlo fino agli ultimi istanti di vita. Fino a quella sfida. Che forse si spiega così, non solo con il coraggio o la disperazione. O la rabbia. Quel ragazzino esile, era figlio di gente altrettanto semplice e perbene, arrivata a Genova, da Catania, quando lui, nato il 9 maggio del 1968, era bambino. Una famiglia di grandi lavoratori: il padre Santo, scomparso nel 2000, la madre Agata, il fratello Davide, la sorella Graziella. Tutti a lavorare il pane, nel negozio, aperto a San Martino, quartiere a levante della città, dal padre, nel 1994. Tutti, compreso Fabrizio. Lui inforna panini, finché ce la fa, finché un´allergia alla farina non lo costringe prima a rallentare il ritmo, poi a smettere. A inventarsi un altro lavoro: body-guard in discoteca, dove dà sicurezza perché non perde mai la testa, non è violento, sa valutare le situazioni. Nel 1987 va a militare in fanteria a Como, finisce la ferma, col grado di caporal maggiore, decide di diventare riservista. Forse sente anche quello come un dovere verso l´Italia. Forse è la sua natura che lo porta a essere disciplinato e mai ribelle, a frenare gli istinti, a tenere a posto i nervi. Con gli anni Fabrizio non cambia. Resta un ragazzo di poche parole, serio, gentile, calmo, puntuale sul lavoro, con pochi amici, sempre gli stessi. Come le sue passioni: le arti marziali, la moto, il cinema. Ama soprattutto i film d´azione, di avventura. E poi le moto. Appena può si compera una potente Yamaha, e per imparare i segreti dei motori, va spesso nell´officina del suo amico meccanico a San Martino: in cambio gli insegna come si fa il pane. Ecco chi era Fabrizio Quattrocchi. Un tipo silenzioso, ma non musone, anzi, allegro con gli amici e con il suo amore [...] Studia fino alle medie, Fabrizio, poi si iscrive a una scuola serale, perché, confida: ”Non è bello essere ignoranti, la cultura è importante nella vita”. Lavora e va in palestra, a imparare le arti marziali che lo affascinano. Diventa cintura nera di Tae-kwon-do, e il ragazzino esile e magrino si trasforma in un uomo robusto, che quasi dimostra più dei suoi trentasei anni. Non cambia carattere. Non attacca briga, ha i nervi saldi. [...] Una sera d´estate, lui e Alice, passeggiano in riviera, a Albissola, vicino a Savona. Un gruppetto li importuna, vogliono la rissa, Fabrizio protesta, quelli rispondono a calci e pugni. Lui viene colpito in faccia, ma non si ribella, preferisce sporgere denuncia ai Carabinieri. ”Se avessi reagito sarebbe stato un massacro”, spiega, calmo come sempre. Quando il padre muore, [...] la panetteria di via San Martino viene ceduta. La madre resta a casa, come la sorella, la più grande, che ha figli da crescere. Davide, il fratello, diventa militare, Fabrizio trasforma il lavoro di body-guard in un´attività a tempo pieno. Conosce così molti degli amici che dall´altra notte presidiano la casa della sorella, a San Martino, dove si è rifugiata la madre» (Wanda Valli, ”la Repubblica” 16/4/2004).