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 2004  aprile 22 Giovedì calendario

Pizzinato Armando

• Nato a Maniago (Pordenone) il 7 ottobre 1910, morto a Venezia il 17 aprile 2004. Pittore. "Uno dei padri fondatori del ”Fronte nuovo delle arti” (Guttuso, Morlotti, Leoncillo, Santomaso, Vedova, Corpora, Turcato, Fazzini, ecc.) presente, nel ’ 48, alla Biennale veneziana, da cui, nel ’ 52, si formò il Gruppo degli Otto. [...] D’accordo con La Rochefoucauld, il quale diceva che ”chi ha carattere ha un cattivo carattere”, Armando ne aveva uno pessimo. Polemico. Ostinato. Sempre pronto alla rissa. Ma, anche, con un ossimoro, dolcissimo. Di origini friulane, dopo il suicidio del padre, per vivere, a 15 anni aveva cominciato a lavorare dipingendo ceramiche. Falso gotico e neoclassico. A 20 anni, da Pordenone, faceva il pendolare con Venezia, dove seguiva i corsi di nudo di Virgilio Guidi. Dopo una breve parentesi romana (Cagli, Mafai, Mirko, Capogrossi) era tornato a Venezia definitivamente. I suoi amici? Martini, Afro, Viani e quelli del ”Fronte nuovo delle arti”. Con Vedova, invece, l’amicizia si ruppe nel ’51, quando, smembratosi il ”Fronte”, Pizzinato era tornato al figurativo. Vedova lo bollò come traditore e gli tolse il saluto. Da allora, quando si incontravano per le calli, ognuno si girava dal lato opposto. Pizzinato è stato un pittore di impegno civile. Figurativo, inizialmente, l’artista ha cominciato a scomporre l’immagine, a catturarla per tratti, a sintetizzarla. Poi è tornato alla figura intera, corposa, modificata e trasformata in ritmo, strutture geometriche in movimento, simili a colpi di sciabola. Spesso, erano ali di gabbiani (forme volanti, comunque) che si intersecavano, si scontravano, si confondevano e si fondevano in una musicalità straordinaria. E il colore diventava canto" (Sebastiano Grasso, ”Corriere della Sera” 18/4/2004). "Uno dei grandi protagonisti della pittura italiana del ventesimo secolo, e in particolare di quel tempo - gli anni dell´immediato dopoguerra - in cui la nostra cultura artistica si confrontò, dopo il lungo isolamento cui l´aveva condotta la vocazione autarchica del regime fascista, con quella europea. Allora Pizzinato (che era nato in Friuli nel 1910, e che aveva compiuto a Venezia la prima formazione), partecipando a tutte le battaglie, a tutte le polemiche di quegli anni non facili, fu fra gli interpreti principali del rinnovamento della pittura italiana, ed uno dei pochi a godere tempestivamente di un riconoscimento anche internazionale (tanto che un suo quadro del ’48, Primo Maggio, fu acquistato da Peggy Guggenheim che ne fece dono al Museum of Modern Art di New York). Poi, proprio al chiudersi del decennio, il suo passaggio al ”nuovo realismo”, appoggiato dal partito comunista, aprì una lunga stagione in cui la ricerca formale tanto felicemente sino allora condotta, cede il passo a preoccupazioni di ”contenuto”, d´impegno sociale e politico. ”La prima pelle che perdemmo fu dunque quella picassiana. Volutamente la perdemmo”, diceva a Marcello Venturoli nel ’59, alludendo a sé stesso e a Vedova, allora il suo più stretto sodale di vita e di ricerca, ”perché allora ci interessava la vita in senso positivo, l´uomo come essere umano ed anche come eroe, la vitalità come forza. In Picasso riconoscevamo l´urlo, la rivolta, mescolati a un senso del male, con la sfiducia nell´uomo sentito come mostro. Come non ci interessava la visione del mondo picassiano e il suo rapporto con la realtà, così non ci interessava più il suo linguaggio figurativo”. bella e importante questa sua testimonianza, di recente riportata alla memoria da Marco Goldin, perché, accanto a talune parole che erano allora vulgata comune in seno alla coinè artistica milanese di ”Corrente” (l´urlo e la rivolta di Picasso, per prime), altre Pizzinato ne pronuncia, interamente sue, e che tanto spiegano di lui: quel ”senso del male”, in particolare, letto in Picasso, e quella sua "sfiducia", dalla quale sin da allora egli volle prendere le distanze. Prima, aveva molto vagato, negli anni Trenta e nei primi Quaranta, sostando a meditare su Afro, su Mafai e su certo Guttuso (tra ´41 e ´42), su Birolli, infine su Morlotti e Cassinari. Al culmine di quel suo lungo e faticoso laboratorio vennero, nel marzo del ´43 alla galleria del Milione di Milano, poi al Cavallino di Venezia nell´estate dello stesso anno, le personali che ne sancirono una prima maturità, toccata entro l´alveo delle esperienze del tempo ultimo di ”Corrente”. Poco dopo la Liberazione, s´intensifica il rapporto con Vedova, con il quale Pizzinato giunge al traguardo della ”Nuova Secessione”, e subito appresso del ”Fronte Nuovo delle Arti”: formazione di sentimenti e propositi molteplicemente indirizzati, buona per molti degli aderenti a fini soprattutto strategici; ma per Pizzinato, come forse per nessun altro, luogo autentico di crescita di pensieri e propositi. E davvero Pizzinato fu, degli uomini che fecero il ”Fronte”, colui che più d´ogni altro ebbe fede che la ricerca linguistica in corso (seppur ”veramente durissima” come ricorderà: perché non era facile per nessuno, allora, liberarsi dell´ossessione di Guernica) non avrebbe cozzato - ed anzi avrebbe comportato di necessità una convergenza - con l´istanza di dar conto dell´immanenza della realtà, che sin da quel tempo era l´assillo suo prevalente. Da ciò deriva l´assoluto nitore della sua pittura nel biennio, davvero magico, 1947-´48, quando le forme spezzate, violentemente cozzanti, ricche d´un colore acceso e clamante s´inseguono e s´incastrano nello spazio costipato, ansioso delle sue tele. I titoli stanno a testimoniare come all´interno d´una idea di ”realtà” stia, già allora, la vera scaturigine dell´intenzione creativa: che, tramite la suggestione, pur vaga e volontaristica, d´un ”futurismo” scoperto attraverso l´avanguardia russa e Majakowskij, si libera infine dell´influenza francese, post-cubista, che era assillo di quasi tutti i compagni di strada. Solo apparentemente per paradosso si dirà allora che il successivo poggiare di Pizzinato verso quel che si prende a nominare come il ”realismo socialista”, e che ha pieno riscontro nella sua pittura già nel 1951, preannunciato da opere di forte intenzione simbolica come Un fantasma percorre l´Europa, presentato alla Biennale del ’50, appare come un precipitare della felice nozione di una ”realtà” non mimetica delle opere del ’47-´48 verso un´intenzione illustrativa che culminerà nel grande telero della Liberazione di Venezia, bandiera del nuovo realismo alla Biennale del ´52. Passano gli anni, e il sogno di un´arte ”al servizio dell´uomo”, come s´usava dire, infine svanisce. Anche per Pizzinato, che cerca allora un nuovo contatto con la natura (nel ciclo ad esempio - dedicato alla memoria della prima moglie - del Giardino di Zaira, del ´63). Poi, mentre la sua statura viene riconosciuta soprattutto nell´est d´Europa (grandi mostre gli vengono dedicate a Mosca e a Leningrado nel 1967) e in Germania, prosegue, sino a tempi recenti, una pittura di puro colore, memore sovente, nei temi come nei valori formali, della sua grande maturità della fine degli anni Quaranta (Festa popolare, 1974, o - dello stesso anno - Libertad para Chile)" (Fabrizio D’Amico, ”la Repubblica” 19/4/2004).