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 2004  aprile 22 Giovedì calendario

Lee ChangRae

• Nato a Seul (Corea del Sud) il 29 luglio 1965. Scrittore. « qualcosa più del maggiore romanziere coreano-americano. una delle voci più originali e introspettive della nuova letteratura americana. Qualcuno lo paragona addirittura a Jonathan Franzen per la sua capacità di trasformare in dramma, episodi in apparenza banali della classe media. Tanto entusiasmo della critica è dovuto soprattutto al [...] romanzo [...] Aloft (Riverhead Books). Un libro che trascende le tematiche legate all’esperienza degli immigrati negli Usa, per affrontare temi universali: l’isolamento, l’alienazione, la crisi di identità. Il protagonista di Aloft, Jerry Battaglia, è un italo-americano che ha cambiato il nome in Battle: un personaggio complesso e intrigante che ricorda Harry in Corri Coniglio di John Updike. Jerry Battle ha dunque 60 anni e abita a Long Island. Non ha amici e tutti i suoi legami affettivi stanno disintegrandosi. La moglie coreana, mai del tutto assimilata negli Usa, si è tolta la vita con una dose di Valium e un tuffo in piscina. La sua amante ispanica lo ha lasciato per un ricco avvocato. Il padre, dongiovanni ottantacinquenne, rimasto solo, si sta inacidendo. Sua figlia, professoressa di inglese, è incinta e gli è stato diagnosticato un grave tumore. Alla luce di tutta questa catastrofe, narrata in elegante equilibrio fra tragedia e umorismo nero, Jerry, si stacca dai suoi stessi sentimenti. Trova rifugio nella solitudine e nel pilotare il suo piccolo aereo privato. Alzarsi in volo è come lasciarsi alle spalle i problemi che non ha più la forza di contemplare. Ma attenzione, Lee non porta il lettore nel deserto emotivo dei sobborghi narrati da John Cheever, bensì in un isolamento dovuto al ”troppo pieno”, all’eccesso di dramma, che il protagonista deve affrontare. Il nocciolo del romanzo è la simultanea incapacità di assorbire i problemi di Jerry, e l’empatia con cui l’autore presenta il rapporto tra i drammi familiari e la mentalità dei sobborghi. Non a caso la critica ha definito Aloft un ritratto impietoso e rivelatore della famiglia multietnica della midd class americana, che dopo aver raggiunto la soglia del benessere si sgretola. Leggendo i libri di Lee [...] molti se lo immaginano come un intellettuale tormentato tutto genio e sregolatezza. Un tipico intellettuale nevrotico di Manhattan. Invece, lo scrittore è un uomo pacato che ama il golf e la noiosa vita nei sobborghi. Scrivere per lui è un’attività spontanea, ”come pensare ad alta voce”. Non il momento catartico delle ansie esistenziali. Eppure, rilevano i critici, il contrasto tra la serenità dell’autore e la turbolenza emotiva dei suoi personaggi non potrebbe essere più acceso. Così, a qualcuno è sorto il dubbio che il suo temperamento impeccabilmente calmo sia un residuo delle maschere caratteriali con cui generazioni di immigrati coreani reprimevano emozioni e difficoltà nell’impatto con il mondo anglosassone. Ma lui dice di essere perfettamente integrato. Come dimostra la sua biografia. Laureato a Yale, si è trasferito a New York dove ha lavorato in una banca d’affari e dove curava le sue passioni: i vini e il cibo. Poi, durante la lunga malattia della madre, inizia a scrivere. Non ha fatto gavetta. Con il primo romanzo, Native Speaker (Infiltrato 1995), vinse diversi premi: Pen/Hemingway, the American Book and the ALA Book of the Year. Un successo grazie al quale ha avuto l’incarico di direttore del programma di scrittura creativa all’Hunter College. Con il secondo romanzo, A Gesture Life (Una vita formale 1999), ha ottenuto una cattedra a Princeton, dove vive. I suoi racconti vengono pubblicati su Granta. Il New Yorker lo segnala tra i più promettenti romanzieri under forty. Il lavoro di Lee è tenuto d’occhio non solo da editori e riviste: dopo la prima stesura di Aloft, Hollywood si è subito procurata i diritti per farne un film da produrre nel 2005» (Alessandro Cassin, ”L’espresso” 22/4/2004).