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 2004  aprile 21 Mercoledì calendario

HOOVER J

Edgar. «[...] Nacque nella capitale che dominò in maniera occulta il giorno di Capodanno del 1895, da un tipografo con gravi disturbi mentali ed una donna alla quale fu legato da un sentimento morboso. Fu lei a trovargli un lavoro presso la «Library of Congress», e quindi presso il Ministero di Giustizia, dove studiò di notte pur di procacciarsi una laurea, e riuscì a guadagnarsi la stima del ministro Alexander Palmer, che nel 1917 lo nominò suo assistente personale e gli diede l´incarico di dirigere un centro specializzato nello studio dei gruppi rivoluzionari. Hoover identificò immediatamente nel comunismo il nemico più grande per tutto ciò che rappresentava l´ideale americano di libertà, e consegnò a Palmer oltre 60.000 schede dettagliate di potenziali sospetti, rivoluzionando i metodi di investigazione allora in corso. Nella settimana in cui si celebrava il secondo anniversario della rivoluzione d´ottobre ottenne che venissero fermate ed interrogate ben diecimila persone schedate. Hack racconta che Hoover si consolò schedando gli avvocati ed i giornalisti che avevano difeso i «commies». Scatenò quindi una vera e propria guerra contro il Ku Klux Klan, che in quegli stessi giorni si era reso responsabile del brutale linciaggio di due uomini di colore, e sfruttò la mancanza di risolutezza del presidente Harding, che a suo avviso aveva più di un motivo di complicità con i leader degli uomini incappucciati. A detta del biografo è questo primo ricatto che cominciò a renderlo intoccabile, e lo portò alla nomina di direttore dell´FBI il 10 Maggio del 1924. Hoover rivendicò pubblicamente la diminuzione da 80.000 a 6.000 degli appartenenti al partito comunista, e visse come un trionfo l´espulsione in Russia di Emma Goldman, che riuscì a far condannare insieme ad altri 246 «commies» con la motivazione che i suoi scritti avevano armato la mano di Leon Czolgosz, l´assassino del presidente McKinley.
Ridusse sensibilmente il numero di agenti alle sue dipendenze per poterne controllare direttamente le azioni; diventò una star dei media con il caso Lindbergh, ma mostrò il volto implacabile quando aggirò la mancanza di reati federali per far condannare a 50 anni di galera un ladro di macchine che aveva ucciso un suo agente «per aver esportato illegalmente un automobile». La sua fama cresceva come il timore che incuteva nelle persone che lo circondavano, e nessuno aveva accesso ai suoi dossier se non Clyde Tilson, il suo devotissimo vice e fedelissimo amante, che rimase accanto a lui fino alla morte. Nacque il quel periodo la leggenda delle orge tenute in una villa alla periferia di Washington, ma anche la celebrazione pubblica di un personaggio che esaltava l´integrità del proprio paese a prescindere della linea politica scelta dai politici che lo governavano: era un fanatico della specie più pericolosa, che esorcizzava i propri tormenti più intimi nel culto della legalità ad ogni costo. Fu Tilson ad individuare in John Dillinger il «mostro» che avrebbe consacrato per sempre la sua carriera, e lo accompagnò ad Hollywood quando convinse Jack Warner a realizzare G-Men, un film ispirato direttamente alle sue azioni. Fu in quella occasione che conobbe Dorothy Lamour, l´unica donna per cui provò un sincero sentimento di amore. Strinse un´alleanza di ferro con Walter Winchell, il più potente giornalista americano a cui passava informazioni privilegiate: i due erano legati dall´odio viscerale nei confronti dei gay e dei comunisti, e Winchell, che conduceva un programma radiofonico con 60 milioni di ascoltatori, fu felice di diventare il suo microfono.
L´arresto di Louis «Lepke» Buchalter venne celebrato come un nuovo trionfo, ma nello stesso periodo cominciarono le voci di dissenso: fu il premio Pulitzer Westbrok Pegler a denunciare su New Republic l´esistenza di dossier segreti di giornalisti e politici, e paragonò l´FBI alla Ogpu sovietica. Il senatore democratico Norris chiese un´indagine governativa, ma Roosevelt intervenne di persona per esprimergli la propria solidarietà e garantire perfino un rifinanziamento dell´FBI. C´è probabilmente molta dietrologia nel legare questa difesa inaspettata al comportamento dei due protagonisti durante l´attacco di Pearl Harbour (Roosevelt avrebbe ignorato l´allarme lanciato da Hoover, che da quel momento lo tenne sotto scacco), ma è certo che la decisione sconvolse molti liberal, a cominciare dalla first Lady Eleanor, che sapeva di essere spiata. La morte improvvisa di Roosevelt segna il momento di massima crisi per Hoover: Truman fu il presidente che lo osteggiò più apertamente. Più volte Hoover lo definì pubblicamente l´«allevatore di maiali del Missouri» e lo costrinse a chinare la testa quando fece esplodere il caso Alger Hiss e dei coniugi Rosenberg, facendo trapelare sulla stampa che il presidente non era in grado di combattere il «pericolo rosso». Attraverso un altro ambiziosissimo e spregiudicato compagno di orge chiamato Roy Cohn diventò quindi l´informatore privilegiato di Joseph McCarthy sin dal discorso di Wheeling, nel quale il senatore del Montana denunciò la presenza di decine di infiltrati nei gradini più alti dell´establishment. Fu insieme Cohn e McCarthy che costruì la campagna denigratoria contro il candidato democratico Adlai Stevenson, utilizzando anche la carta dell´omosessualità: fu lui a preparare la dichiarazione di McCarthy sul Daily News in cui chiamava Stevenson «Adeline». La brutalità delle sue tattiche ingigantirono il numero dei nemici, specie nella comunità gay: quando Truman Capote parlò pubblicamente dell´omosessualità di Hoover, quest´ultimo cercò appoggio in campo liberal, stringendo una alleanza con Joe Kennedy. Hack pubblica una sua lettera inedita che rivela una stima a dir poco imbarazzante, ed enumera parallelamente le azioni contro i «sexual deviates» ed i rapporti che Hoover intratteneva con gangster come Sam Giancana e Santos Traficante.
I documenti pubblicati da Hack dimostrano che le relazioni con i malviventi erano ritenute un strumento necessario per «ripulire» il paese, ma continua a lasciare sgomenti l´energia dedicata all´«Obscene file» con cui ricattò politici, intellettuali ed artisti. Per tutta la vita considerò l´America un luogo ideale per il quale era felice di sporcarsi le mani. Nonostante l´amicizia con il padre non ebbe mai un buon rapporto con John Kennedy, ma l´acerrimo nemico degli ultimi anni fu Martin Luther King, «un pericoloso sovversivo». Riuscì ad ottenere da Johnson il permesso di mettere delle cimici in ogni luogo che frequentava, grazie alle quali scoprì una sua relazione adulterina. Nulla di politicamente compromettente, ma sufficiente per definire King come «il più grande bugiardo d´America». Nessuno volle seguirlo in questa ennesima campagna diffamatoria, ma Hoover scoprì in una delle registrazioni dei commenti su Jackie Kennedy, con descrizioni esplicite di tutti i tradimenti del presidente. Quando minacciò di rendere pubbliche queste rivelazioni, Johnson accettò di confermarlo nel suo ruolo di direttore, nonostante avesse ormai compiuto settanta anni. Il giorno in cui King venne assassinato a Menphis, Hoover decise di festeggiare andando all´ippodromo di Filadelfia. Seguì l´identico cerimoniale quando venne ucciso Bob Kennedy, poi si mise a disposizione di Nixon, al quale suggerì di mettere delle cimici anche all´interno della Casa Bianca, spiegandogli che anche il precedente inquilino aveva fatto lo stesso. La morte lo colse imbattuto quando il mondo ancora non aveva sentito parlare del Watergate.