Varie, 20 aprile 2004
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GANDHI Rahul Nuova Delhi (India) 19 giugno 1970. Politico • «Tutti pensano che il destino abbia già scelto per lui: sarà un grande leader della più grande democrazia del pianeta
GANDHI Rahul Nuova Delhi (India) 19 giugno 1970. Politico • «Tutti pensano che il destino abbia già scelto per lui: sarà un grande leader della più grande democrazia del pianeta. Come d’altra parte lo furono il padre, la nonna, il bisnonno. Come per certi versi lo è la madre, la tenace Sonia. [...] è giovane [...] in un Paese di giovani; è moderno e informatizzato in una società innamorata della tecnologia; viene dalla dinastia più potente di un sistema politico dove poche famiglie fanno e disfano il potere. E in quale futuro? Non lontano, se l’essere giovane dovrà tradursi in risultato concreto: forse, già tra cinque anni, quando avrà ricostruito il Congresso, il partito di famiglia, un tempo onnipotente guida di hindu e musulmani. [...] dal 1991, dalla morte del padre di Rahul, Rajiv – assassinato con una bomba nascosta in un cesto di fiori – che l’India aspetta un nuovo Gandhi. Sonia, la vedova, ci ha provato [...] Ma è italiana, straniera, parla hindi con un accento pesante e questo non le porterà mai i consensi necessari a guidare il governo. Per anni, le speranze dei ”fedeli” sono state allora spostate su Priyanca, la sorella di Rahul: bella, determinata, simpatica, sorriso da classe dirigente, più giovane di un anno del fratello ma più estroversa, quasi una reincarnazione della nonna Indira, primo ministro dal ”66 al ”77 e poi dall’80 all’84, quando fu assassinata da due guardie del corpo sikh. Alla fine – non si sa se per calcolo politico o di clan – famiglia e partito hanno però scelto Rahul: timido ma gentile, anch’egli bello, indiano senza ombra di dubbio ma che ha studiato in America, come vorrebbero fare milioni di giovani del Paese. [...] Strappato ai computer e ai campus di Harvard e spedito nell’India profonda, Rahul sembra accettare la strada che altri hanno tracciato per lui, una strada che, probabilmente, non avrebbe scelto, come suo padre, pilota di aerei, non aveva scelto la politica. Ma, se in India il nome Gandhi è un privilegio, è soprattutto un destino. Così, d’improvviso, Rahul si trova a viaggiare per ore sotto i 40 gradi, si ferma nei tempietti hindu lungo la strada, si inchina a un altarino, congiunge le mani, sorride e saluta tutti. [...] Rahul, ogni volta, ringrazia, ricorda la madre Sonia, si inchina a un altare di fiori sotto le fotografie del padre Rajiv, della nonna Indira, del bisnonno Jawaharlal Nehru, primo ministro dall’Indipendenza del 1947 alla morte nel 1964. [...] Dice di non essere ”nessuno”, in questo momento, per offrire una sua ”visione dell’India”. Aggiunge però che i partiti al governo sono dominati da anziani, gente oltre i settanta. ”Io penso invece che il 60% dei nostri membri del Parlamento debba avere meno di 40 anni”, dice. Nega che il nepotismo e le scelte dinastiche siano dominanti nella politica indiana: ”La gente non è stupida, quando vota”. E dice che l’economia [...] per la parte che va bene deve ringraziare il Congresso che iniziò le riforme negli Anni Novanta e per il resto è ancora fondata su grandi ingiustizie» (Danilo Taino, ”Corriere della Sera” 13/4/2004).