Varie, 19 aprile 2004
DI PAOLA Giampaolo
DI PAOLA Giampaolo Torre Annunziata (Napoli) 15 agosto 1944. Ammiraglio. Ministro della Difesa nel governo Monti (2011-). Dal giugno 2008 presidente del Comitato militare della Nato, che riunisce e coordina i capi di Stato maggiore dei ventisei Paesi dell’Alleanza (secondo italiano dopo Guido Venturoni): si tratta della più alta carica militare dell’organizzazione atlantica, insieme con quella del comandante operativo delle forze in Europa (Saceur, che però è tradizionalmente occupata da un generale americano nominato direttamente da Washington), il massimo delle aspirazioni di qualunque ufficiale. Dal 10 marzo 2004 Capo di Stato Maggiore della Difesa • «[…] Sommergibilista di lunga esperienza internazionale, comandante di unità prestigiose e coordinatore delle missioni militari italiane nel mondo [...]» (“Corriere della Sera” 15/11/2007) • «[...] ha gestito con successo le missioni italiane, dall’Iraq, all’Afghanistan, dai Balcani al Libano guadagnandosi unanime rispetto da parte dei colleghi dell´Alleanza [...]» (Andrea Bonanni, “la Repubblica 15/11/2007) • «[...] detto “il tecnocrate” per la sua spiccata ansia di ammodernamento della Difesa [...] Per ammissione generale viene definito “un gran professionista”, anche se non manca chi fa notare come, accanto a innegabili doti organizzative, l’ammiraglio si distingua per la sua proverbiale attitudine alle relazioni, sociali ed anche politiche. Particolare attenzione, Di Paola, ha posto nel coltivare il rapporto coi diplomatici e con i vertici militari americani. Gran frequentatore delle ambasciate, di lui si mitizza la capacità di affabulatore: non c’è diplomatico che non abbia conservato un ottimo ricordo di una serata trascorsa con l’ammiraglio “molto poco formale, ma anche padrone della materia che maneggia”. [...] ha fatto tutta la trafila necessaria alla scalata del vertice: in Accademia a 19 anni, guardiamarina a 22. Poi la Scuola sommergibili e la specializzazione e, quindi, una serie di promozioni fino al “privilegio” del comando della portaerei Garibaldi, nel 1989 e ’90. Ma sembra proprio il rapporto privilegiato con gli americani ad assicurargli gli anticorpi necessari per districarsi nell’accidentato percorso disseminato di “mine” politiche. Un legame, quello con gli Usa, probabilmente nato all’epoca della sua permanenza a Saclant (Virginia) presso il settore Long Term Planning come ufficiale Asw (guerra antisommergibile) e addetto al Programma di guerra Subacquea, ma consolidato al momento dell’intervento italiano in Kosovo e poi in Afghanistan. Il lavoro svolto dall’ammiraglio a Pristina fu destinatario di calorosi consensi del governo americano. Ma la fortuna di Di Paola non sembra legata a una specifica cordata politica: basti pensare come la sua ascesa attraversi placidamente le mareggiate dell’alternanza fra centrodestra e centrosinistra. Dal 1994 al 1998 è Capo del Reparto Politica Militare dello Stato maggiore Difesa. Poi lo troviamo Capo di Gabinetto del ministro di centrosinistra Sergio Mattarella e ancora Segretario Generale della Difesa e Direttore nazionale degli Armamenti dal 2001 al 2004, quando il nuovo governo, Berlusconi 2, Antonio Martino ministro, lo nomina Capo di Stato maggiore. Chi non lo ama - alcuni “colleghi e concorrenti” gli rimproverano un eccesso di predilizione per la Marina a scapito di Esercito e Aeronautica - sottolinea soprattutto la sua “facilità nel riuscire simpatico”, aiutato dal “naturale fascino della divisa bianca”. Uno dei suoi nemici più accesi, il Presidente emerito Francesco Cossiga, non gli risparmia ironicamente il soprannome di “Nelson italiano”. Ma persino i suoi detrattori sono costretti ad ammettere la competenza di Di Paola nell’opera di trasformazione della nostra Difesa da “esercito statico di leva a dinamico di professionisti”, seppure tra difficoltà legate soprattutto alla mannaia delle finanziarie che, di anno in anno, hanno ridotto le risorse. L’opera di ammodernamento non è ancora conclusa, ma non sfugge il radicale cambiamento di militari ormai approdati alle tecnologie avanzate, alla conoscenza delle lingue e sempre più abituati ad una valutazione anche politica delle diverse situazioni nelle quali vanno a calarsi. E questo è il progetto del “tecnocrate”, incurante delle critiche - più o meno sotterranee - che gli vengono rivolte a proposito, per esempio, dell’aver trasformato i soldati in un esercito di precari destinati a rimanere tali per l’eccessivo costo della “professionalità”. [...]» (Francesco La Licata, “La Stampa” 15/11/2007).