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 2004  aprile 18 Domenica calendario

Emmott Bill

• 6 agosto 1956. Giornalista. Direttore dell’“Economist” (dal 1993 al 2006). È stato corrispondente da Tokyo (1983-86), direttore per la finanza (1986-89) e poi per gli affari economici (1989-93). È autore o co-autore di sei libri di cui quattro sul Giappone. «Silvio Berlusconi lo aveva ribattezzato “Lenin”, divertendosi a storpiare il nome del giornale da lui diretto in “E-comunist”: sebbene Bill Emmott possa vantare solo una vaga rassomiglianza fisica con l’artefice della rivoluzione d’Ottobre, e nonostante il suo giornale, The Economist, sia da un secolo e mezzo un tenace avversario del comunismo, a cui preferisce la democrazia liberista. L’antipatia di Berlusconi per Emmott e l’Economist, d’altra parte, è comprensibile: il prestigioso settimanale britannico ha dedicato una sfilza di copertine al leader di Forza Italia, la più nota delle quali lo proclamò “unfit to govern Italy”, indegno di governare il nostro paese. [...] È stato uno dei direttori più longevi nei 163 anni di storia dell’Economist: tra i quattordici che lo hanno preceduto, soltanto uno, all’epoca della seconda guerra mondiale, ha superato il record dei suoi tredici anni di direzione. Un’altra ragione di orgoglio è che, in questi tredici anni, Emmott ha raddoppiato la tiratura: l’Economist è passato da cinquecentomila a oltre un milione di copie, la maggior parte delle quali vendute negli Stati Uniti e all’estero, facendo del settimanale con base londinese uno dei pochi giornali veramente “globali” del pianeta. Se non l’unico. La formula di un simile successo? “Sempre più gente vuole un’analisi concisa e autorevole, e noi la offriamo”», spiega lui nel giorno delle dimissioni. “Più gente di prima fa affari che hanno un’esposizione mondiale, più gente di prima è influenzata da avvenimenti internazionali, più gente di prima ha una laurea e un´istruzione superiore: dunque esiste, più di prima, un mercato per analisi ben scritte di alta qualità”. [...]» (Enrico Franceschini, “la Repubblica” 21/2/2006). «Bill Emmott non ha mai sopportato Silvio Berlusconi, lo ha sempre considerato l’oltraggio vivente al capitalismo liberale. Una convinzione che [...] ha indotto il direttore dell’“Economist” [...] a rovesciare sul capo del governo italiano una sesquipedale mole di accuse, ma secondo lo stile del giornalismo britannico: spulciando, documentando, provando a dimostrare i capi di accusa. Una ferocia giornalistica che, nell’occasione più eclatante, ha concesso qualcosa anche all’autocompiacimento: era il 30 luglio del 2003 e l’“Economist” fece precedere una lunga inchiesta sul Cavaliere da una finta lettera. L’indirizzo era: Silvio Berlusconi, Presidenza del Consiglio dei ministri, Palazzo Chigi, 370 piazza Colonna, Rome, 00187. La firma era quella di Bill Emmott che si produceva in questo incipit:“«Le scrivo per porle delle domande, le cui risposte, credo, l’opinione pubblica italiana ha il diritto di ascoltare. Dal momento che questo non è più possibile nei tribunali italiani, queste domande devono essere poste in pubblico”. Seguiva una raffica di domande - ben 28 - che riguardavano l’atteggiamento di Berlusconi nei confronti della magistratura, le pendenze giudiziarie del premier, l’origine dell’impero finanziario berlusconiano. [...] Ovviamente Silvio Berlusconi non ha mai gradito la speciale cura che gli ha dedicato il settimanale guidato da Emmott, arrivando sia pure scherzosamente, a storpiarne il nome, che da “Economist” è diventato “Ecomunist”. Un gioco di parole che non ha mai divertito Emmott[...] Tormentatissimo il rapporto tra il premier e il settimanale: per difendersi dall’assedio, il presidente del Consiglio non si è limitato ai giochi di parole: è arrivato persino a querelare il settimanale, protagonista di una lunga “campagna”. Perché “Economist” [...] non ha dedicato a Berlusconi soltanto quelle 28 domande (con tanto di copertina): il primo affondo risale al 28 aprile del 2001, quando mancavano pochi giorni alle elezioni Politiche. In copertina compare una tenebrosa foto del Cavaliere, con il titolo: “Perché Silvio Berlusconi non è adatto a governare l’Italia”. Un’inchiesta di quattro pagine che costa ad Emmott una querela per diffamazione. Il bis arriva nell’estate del 2003 con la lettera e le 28 domande. Anche in questo caso Berlusconi guadagna la foto in copertina con un titolo già eloquente: “Caro signor Berlusconi... La nostra sfida al primo ministro italiano”. Le domande sono documentate e circostanziate ma Emmott non si limita a quelle, arrivando a definire Berlusconi “il peggio della vecchia Italia”. E da allora la morsa non si è più allentata. Alla fine del 2005 l’Economist ha prodotto un’inchiesta sull’Italia titolata “Addio, Dolce Vita”, nella quale pur salvando alcuni ministri - la Moratti, Roberto Maroni, Gianfranco Fini (“un uomo da tenere d’occhio”) l’obiettivo è ancora il berlusconismo. E Prodi? Il settimanale britannico non ha mai fatto sconti al Professore e quando era a Bruxelles lo ha duramente criticato. [...]» (Fabio Martini, “La Stampa” 21/2/2006). «La nostra autorevolezza si basa su un accertamento rigoroso dei fatti. Sull´idea che quando diamo un´informazione è esatta. Non pretendiamo di possedere la verità assoluta, ma quando prendiamo una posizione sappiamo di avere raccolto con obiettività tutti i dati possibili sull´argomento. E´ una ricetta di buon giornalismo che suggerisco a chiunque, oltre a essere l´unica che conosco[...] Ben Bradlee, direttore del Washington Post all´epoca dello scandalo Watergate, negli anni Settanta. Allora io ero soltanto uno studente, ma la lezione di indipendenza e accuratezza del quotidiano americano, e del suo direttore, mi lasciò un´impronta indelebile [...] L´Italia è l´unico paese del mondo in cui qualcuno crede che l´Economist sia un giornale di sinistra. Purtroppo quel qualcuno è il presidente del Consiglio» (Enrico Franceschini, “la Repubblica” 7/4/2004).