18 aprile 2004
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Dadamaino EduardaMaino
• Nata a Milano il 2 ottobre 1935, morta a Milano il 14 aprile 2004. Artista. «Grande figura della Milano cosmopolita, sperimentale, vivida, che negli anni Cinquanta e Sessanta era autorevole nel mondo. Nata alla metà degli anni Trenta, Eduarda Maino, questo il suo nome, da subito si affianca alla compagine dei giovani che attorniano Lucio Fontana, maestro e patrono di molti. Sono Piero Manzoni, Enrico Castellani, Agostino Bonalumi, Gianni Colombo e portano la loro carica provocatoria fatta di quadri monocromi, di tele forate e sagomate, nelle acque stagnanti del bon ton pittorico. Notata sin dal debutto per quelle tele grezze, oppure bianche o nere, nelle quali si aprono grandi fori ovali, ha l’onore di un titolo malevolo su un quotidiano, Anche le donne bucano i quadri giusto il 31 dicembre 1959, che vale la consacrazione, come di una Fontana in gonnella. il tempo della galleria Azimut, dove Manzoni espone le proprie provocazioni estreme e dove circola l’avanguardia nuova. Sempre in prima linea, Dadamaino vi si presenta con una serie di veli di plastica translucida, marcati da fori regolari e sovrapposti con lieve asimmetria: proprio il compagno d’avventura Manzoni la celebra con un motto, ”non dire diversamente: dire cose nuove”, che vale per una generazione intera. Da quella prima stagione Dadamaino muove per il suo lungo, solitario percorso, che si dipana nei decenni, con rare folgoranti apparizioni. Minuziosa, operosa sino alla maniacalità, presenta la vastissima ”Ricerca del colore”, un intero ambiente riempito di tavolette in cui tutta la scala cromatica si interseca in giochi ottici ai limiti della percezione. Sono poi due Biennali di Venezia, nel 1980 e giusto un decennio dopo, a raccontare meglio di ogni altra mostra i passi successivi. Alla prima presenta la serie dei ”Fatti della vita”, migliaia di fogli di varie dimensioni riempiti dai segni regolari di un alfabeto indecifrabile, declinato come in un diario lussureggiante. Alla seconda, ecco il ”Movimento delle cose”, un lunghissimo telo di plastica trasparente marcato da segni minuti che si espandono e concentrano come in una sorta di trascrizione della vita dell’universo, come atomi di una nuova, privatissima cosmogonia. Sono, questi, i suoi lavori finali» (Flaminio Gualdoni, ”Corriere della Sera” 15/4/2004).