18 aprile 2004
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Botti Ettore
• Nato a Napoli il 4 ottobre 1948, morto a Milano il 6 aprile 2004. Giornalista. Sposato con Isabella Bossi Fedrigotti. «Freddo, preciso, determinato, era entrato giovanissimo nella parte, quando la cronaca d’assalto la facevano i giornali del pomeriggio e i reporter dovevano arrivare in redazione con la notizia tra i denti. Maturò in quegli anni, nella Milano grigia del ’69, la sua vocazione di giornalista, tra le sirene della celere e i cortei degli operai, quando Turatello gestiva le bische clandestine e i clan malavitosi seminavano di cadaveri le periferie cittadine. Un precoce battesimo alla ”Notte”, con la firma in prima pagina sulla bomba di piazza Fontana, concessa dal mitico direttore Nino Nutrizio per essere stato tra i primi a entrare nella Banca nazionale dell’Agricoltura, 16 morti, una strage. Poi il passaggio al ”Corriere d’Informazione”, straordinaria palestra di talenti e anticamera per quello che era l’obiettivo finale: il ”Corriere della Sera”. Ci arrivò da inviato speciale sul finire degli anni Settanta, con i galloni conquistati sul campo per capacità di scrittura e cura dei pezzi, un pedigree da cronista di razza con incursioni nella letteratura e con un romanzo che sintetizzava le sue passioni: Portiere uno rosso dispari, calcio, azzardo e fantasia. Passò alla redazione degli ”Interni”, seduto al tavolone della sala Albertini a dividere agenzie e passare pezzi dei colleghi. Fu un esercizio di rigore e umiltà che anticipò una futura vocazione, ma consumò anche un imprevisto divorzio: nel 1983 Indro Montanelli lo chiamò alla cronaca del ”Giornale”, per mettere carica ed energia alle sue pagine milanesi. Gli piacevano le caratteristiche di quel giornalista napoletano trapiantato a Milano che aveva lasciato la carriera da avvocato ai primi esami di giurisprudenza e si segnalava per il suo carattere deciso e severo, da ufficiale di un esercito che non indietreggia mai. Fu un passaggio importante, e diventò la scorciatoia per quella che era una destinazione quasi naturale: la cronaca di via Solferino. Nel 1987 Milano era quella da bere, frizzantina e leggera come un aperitivo alla moda, spavaldamente rampante e ingenuamente incosciente, corrosa da una politica litigiosa e arrogante che navigava a vista tra i problemi. Era la città degli appalti agli amici degli amici, che usava la politica come scorciatoia per fulminanti carriere o ricchezze esagerate. Toccò proprio ad Ettore, dalle pagine del ”Corriere”, lanciare il primo segnale d’allarme a Palazzo Marino, sede di un’amministrazione che in passato era stata ”laboratorio” e adesso sconfinava nell’illecito: ”Bisogna sbarrare il passo ai faccendieri, e sicuramente non ne mancano nella folla di imprenditori e mediatori d’affari, burocrati e politici di seconda fila, rappresentanti della cultura e delle professioni che premono alle porte del Comune...”, scriveva, anticipando i magistrati della Procura. Moralità, indipendenza e integrità diventarono il distintivo della sua cronaca, una cronaca scomoda per il palazzo ma attenta ai diritti dei cittadini. Avvertì i sinistri scricchiolii di Tangentopoli quando le prime mazzette sfiorarono gli assessorati all’Edilizia e all’Urbanistica, cavalcò la protesta antiRoma del prefetto Caruso con un’intervista a tutta pagina: ”Roma frena la Milano Europea” e ottenne l’impegno del governo a snellire la burocrazia soffocante che paralizzava il modello ambrosiano. Ma fu con via Bianchi che trovò la sintesi del miglior giornalismo d’inchiesta: una battaglia ingaggiata dalla cronaca del ”Corriere” per salvare una strada divenuta ostaggio dei banditi, per dare una speranza ai cittadini onesti delle case popolari che da anni vivevano nella paura e nel terrore. Fu una scossa per tutti, politici, forze dell’ordine, sindacati e imprenditori, rivelò l’esistenza a Milano di un Bronx da abbattere e portò alla rivincita della legalità» (Giangiacomo Schiavi, ”Corriere della Sera” 7/4/2004).