Varie, 18 aprile 2004
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AL SISTANI Al Sayyid Ali al-Hussani (السيد ... علی حسینی سیستانی) Mashhad (Iran) 4 agosto 1930
AL SISTANI Al Sayyid Ali al-Hussani (السيد ... علی حسینی سیستانی) Mashhad (Iran) 4 agosto 1930. Ayatollah. Sciita. Iraqeno. «[…] Thomas Friedman lo ha paragonato a un Gorbaciov o a un Mandela iracheno. Grazie a lui, alla sua immensa autorità morale, teologica e dunque politica sugli sciiti iracheni, l’invasione americana dell¢’Iraq e il rovesciamento del regime dei sunniti Baathisti non sono diventati – e sperabilmente non diverranno mai – una guerra civile aperta. A lui, che manovra sapientemente i burattini della politica irachena e impose agli occupanti americani le elezioni subito, è affidata la speranza che il nuovo Iraq non si trasformi in una teocrazia islamica, in un altro governo di preti. Lo Ayat Allah, o ayatollah come si scrive in Occidente, cioè il ”segno di Dio” Ali Mohammed al Sistani è […] il signore indiscusso e invisibile di quel nuovo Iraq che tanto sangue è costato a noi e a loro […] Ali Mohammed, il venerabile venuto dalla provincia iraniana del Sistan (da cui il nome, al Sistani) è un moderato, un grande leader religioso che esercita, soprattutto sugli sciiti iracheni, una funzione di controllo e di garanzia sociale e politica, in un ruolo sigillato dalla sua dottrina e dalle persecuzioni e del regime del sunnita Saddam Hussein. Non è un Khomeini, un Moqtada Sadr, un Hezbollah, un fanatico deciso a imporre la Sharia, il codice islamico, alla società che con tanto dolore l’Iraq sta partorendo. E se è azzardato definirlo un Gorbaciov (definizione che difficilmente gli corrisponde, vista la nota impopolarità interna del riformista russo) o addirittura un De Gasperi iracheno come fece avventatamente un quotidiano italiano, la sua posizione di ”vicario del 12esimo Imam” gli conferisce un’autorità assoluta. E lui, come vicario del discendente segreto del cognato e cugino di Maometto, è quanto di meglio l’America e l’Occidente possano sperare. Davanti alle continue e truculente provocazioni del terrorismo e della guerriglia, la figura ascetica e severa di al Sistani è tutto ciò che si erge come diga contro il bagno di sangue. Lui, scrive ancora Thomas Friedman, è stato il ”colpo di fortuna” che ha salvato dal disastro Bush, la avventura militare dell’America e dei suoi satelliti. […]» (Vittorio Zucconi, ”la Repubblica” 24/3/2005). « curioso: il Grande Ayatollah Ali Sistani è spesso raffigurato come un uomo alto e magro, torreggiante su consiglieri e visitatori. Invece egli è piuttosto basso, intorno al metro e sessanta, ma l’errore è comprensibile. Il religioso vive pressoché segregato da [...] anni in una semplice dimora nel quartiere povero di Najaf. Non parla in pubblico, non partecipa mai alla preghiera del venerdì nella vicina moschea dell’Imam Ali, il luogo più sacro all’Islam sciita. Riceve però visitatori, e li accoglie seduto su un sottile cuscino poggiato sul pavimento. D’abitudine indossa una tunica grigia, spesso logora, e un grande turbante nero. Non desidera essere fotografato e non rilascia interviste. l’incarnazione del prelato islamico ascetico, simile ai religiosi di cinque secoli fa. Chi gli fa visita descrive Ali Sistani in termini mistici. Non stupisce dunque che lo si ricordi alto. Questa è l´immagine che Ali Sistani ha messo a punto nel corso degli anni, ma non è l’unica. Anche se vive in povertà, il grande Ayatollah presiede una rete multimiliardaria di associazioni religiose e enti di carità situati in tutto il mondo, dal Pakistan all’India. Il suo potere è in parte finanziario: gli sciiti versano un quinto dell’introito al loro Marja, la ”persona che essi devono emulare”. Eppure la sua austerità è proverbiale: quando il condizionatore si è rotto, ne ha rifiutato uno nuovo: riparato il vecchio ha regalato il nuovo a una famiglia povera. Anche se non esce di casa, ha una rete di rappresentanti in ogni quartiere sciita iracheno. Uno dei suoi generi dirige una società Internet [...] nella città iraniana di Qom, ed egli stesso ha uno degli uffici meglio cablati del paese. E anche se Sistani non desidera essere fotografato, il suo volto è apparso sui manifesti elettorali affissi nelle città e nelle moschee. Logico: Al Sayid al-Husseini al-Sistani oggi è l’uomo più potente in Iraq. Le elezioni che egli ha richiesto a gran voce, ottenute nei termini che egli ha imposto, si sono rivelate un successo inatteso. Il partito che egli ha congegnato e benedetto ha vinto con un enorme margine. L’Alleanza degli iracheni uniti, più nota come il raggruppamento sciita, ha raccolto oltre il 65 per cento [...]. Un risultato più che sufficiente per scegliere i leader del nuovo governo [...] Ma chi è davvero Ali Sistani? solo un ayatollah che può vantare una bibliografia di oltre venti pagine di arcana teologia sciita, o si tratta forse di un grande modernizzatore? [...] Chi nutre sospetti sulle reali intenzioni di Sistani sottolinea che l’uomo più potente dell’Iraq non è iracheno, bensì iraniano: arrivò a Najaf [...] al seguito dell’allora Grand Ayatollah Abul Qasim al-Khoei. I suoi seguaci lo ritengono al di sopra di ogni nazionalità, tanto quanto lo è il papa della Chiesa Cattolica romana. Sistani segue una filosofia quietista, che vede i religiosi tenersi a distanza dalla politica. [...]» (Babak Dehghanpisheh, ”la Repubblica” 7/2/2005). «Ha il titolo di ”Grande ayatollah”, si esprime nella lingua dei dotti, è nato in Iran ed è più interessato alla religione che alla politica. [...] Nelle casse della Fondazione Al Sistani ci sono milioni di dollari, ma lui preferisce vivere in una casa spartana a due piani, il barrani. Pochi tappeti, uno scaffale con i libri. Il frigorifero, dicono i sostenitori per distinguerlo da chi si è arricchito sulla pelle del popolo, lo ha comprato appena dieci anni fa. Rifiuta il culto della personalità, malgrado sia venerato come un leader. Raccontano che provi quasi imbarazzo quando i fedeli cercano di baciargli la mano e si infastidisca davanti ai tradizionali salamelecchi arabi. E facendogli il complimento più bello per un musulmano, i sostenitori sostengono che Al Sistani vive allo stesso modo di Maometto. La sua biografia ufficiale ha le note del santino. Nato nella città sacra di Mashad (Iran), a cinque anni già studia con profitto il Corano, a dieci passa sui testi di filosofia e legge islamiche, a 19 entra nella scuola di Qom, altro santuario delle fede sciita. A 21 si trasferisce a Najaf, in Iraq, da dove non si è più mosso. La giornata del leader inizia, immutabile, alle 17 con la preghiera. Seguono gli incontri, poi una cena frugale a base di pane, olive, formaggio. Durante la notte di nuovo preghiere e studi. All’alba, quando altri si svegliano, Sistani va a dormire. Quattro-cinque ore, non di più. Quindi l’ayatollah torna ai suoi impegni fino alla preghiera di mezzogiorno. Nel pomeriggio un siesta di due ore. Quindi ricomincia alle 17. Utilizza la clausura come mezzo di pressione. Se i suoi seguaci osano disobbedire, si chiude in casa senza ricevere nessuno» (Guido Olimpio, ”Corriere della Sera” 7/4/2004). «La persona più silenziosa dell’Iraq, eppure la più ascoltata. [...] La regione dove viveva la famiglia si chiama Sistan, e da lì viene l’appellativo. Il padre, Sayyid Muhammad Baqir, era uno studioso dell’Islam e discendava da una lunga tradizione di rispettati religiosi. Ali, che aveva ereditato il nome dal nonno, aveva cominciato a studiare il Corano a cinque anni, e poi era entrato nelle prestigiose scuole di Qom e poi di Najaf. Qui, dove si era ritrovato a frequentare le stesse lezioni del futuro ayatollah iraniano Khomeini, aveva deciso di stabilirsi. Era diventato il discepolo preferito del Grande Ayatollah Abul Qassim al-Khu’i, capo della scuola di Najaf, in competizione con Mohammad Sadiq Sadr, padre del giovane ribelle Moqtada. Abul Qassim al-Khu’i professava una fede molto tradizionalista secondo la quale gli uomini non devono socializzare con le donne e tutti i precetti del Corano vanno rispettati alla lettera. Sul piano politico, però, credeva fermamente nella separazione tra religione e Stato. Al Sistani aveva assorbito tutti questi principi, e quindi si era dedicato a una vita molto ritirata di studi giurisprudenziali e di preghiera. Non si impicciava mai di politica e questo lo aveva salvato dalle attenzioni del regime di Saddam, nonostante fosse finito agli arresti domiciliari dopo la rivolta sciita del 1991, seguita alla Prima guerra del Golfo. Nel 1992 Al Khu’i era stato ucciso, e Al Sistani era diventato il suo erede naturale a Najaf. Poi la morte di altri colleghi, tra cui lo stesso Mohammad Sadiq Sadr, eliminato dai sicari del regime, lo aveva fatto emergere come uno dei soli cinque Grandi Ayatollah viventi, e come leader religioso indiscusso degli sciiti iracheni. Ayatollah significa segno di Dio, e in pratica questi uomini sono i suoi portavoce sulla Terra. Secondo la tradizione sciita, fondata dall’Imam Ali la cui tomba a Najaf è al centro della rivolta di questi giorni, dodici Imam infallibili possiedono tutta la conoscenza. Ma il dodicesimo è scomparso e, in attesa del suo ritorno, personalità come Al Sistani guidano i fedeli. Il suo potere, quindi, è enorme, anche perché gestisce milioni di dollari utilizzati per finanziare le scuole coraniche e le attività religiose e caritatevoli degli sciiti in tutto l’Iraq. Dopo la guerra del 2003 Al Sistani ha preso una posizione moderata, sollecitando i fedeli a non opporsi all’occupazione. Il motivo di questa scelta sta tanto nella tradizione culturale cui appartiene, quanto nei suoi interessi. Il Grande Ayatollah vuole che la maggioranza sciita, dopo la repressione patita sotto Saddam, governi l’Iraq, e crede che l’alleanza con gli americani sia la strada migliore per raggiungere questo obiettivo senza altri spargimenti di sangue. Nello stesso tempo, però, ha sempre cercato di sottolineare la sua indipendenza, evitando di incontrare Paul Bremer o altri emissari di Washington, e criticando duramente il piano che prevedeva la creazione del governo provvisorio senza elezioni. Alla fine si è piegato, ma solo perché l’Onu è intervenuta a convincerlo e a coprire la sua ritirata. Il giovane Sadr contesta Al Sistani sia per le vecchie ruggini di famiglia, perché pensa che come suo padre avrebbe dovuto alzare di più la voce contro Saddam, sia per la strategia attuale, perché non si fida degli americani. La sua influenza religiosa, però, non è nemmeno paragonabile a quella del vecchio ayatollah. Al Sistani forse non vuole eliminarlo, perché poi dovrebbe fare i conti con la memoria di un martire [...]» (Paolo Mastrolilli, ”La Stampa” 26/8/2004).