Carlo Bonini, Giuseppe D’Avanzo,La Repubblica, venerdi 26 marzo 2004, 26 marzo 2004
Una fonte qualificata della piazza finanziaria milanese dice: «Sicuramente il conto Bonlat è un falso
Una fonte qualificata della piazza finanziaria milanese dice: «Sicuramente il conto Bonlat è un falso. Ma magari c’è un motivo per cui il falso portava il logo di Bank of America. Forse perché esisteva davvero una provvista liquida di Parmalat presso Bank of America. Una provvista vincolata a garanzia di finanziamenti erogati nel tempo dalla banca a Parmalat e non dichiarabili. Una provvista che è stata incassata nei giorni immediatamente precedenti il crac e di cui nessuno ha interesse a parlare. Provate a chiedere in giro?». Non sembra essere troppo lontana dal vero l’indicazione del banchiere milanese. Come documenta uno scambio di e-mail (oggi agli atti dell’inchiesta della Procura di Milano) tra la sede italiana e quella americana di Bank of America, almeno dal 12 dicembre 2003, dunque sette giorni prima che ne venisse data comunicazione al mercato, la banca americana era consapevole non solo dello stato di dissesto del gruppo, ma che il conto Bonlat era un falso, dunque del crac. Ebbene, quei sette giorni verranno utilizzati da Bank of America per trattenere le liquidità Parmalat depositate presso la banca a garanzia di un collocamento di obbligazioni. Girata ad un pubblico ministero di Parma, la questione non sembra allora suscitare alcuno stupore. Al contrario. «Sì, è possibile che esistesse una provvista di cui ancora non sappiamo». La Sec e l’Fbi sono per il momento molto più curiosi dei magistrati italiani. Che hanno fretta di chiudere con i processi la prima parte dell’affare Parmalat. Sarà una prima conclusione utile a proteggere i risparmiatori, necessaria a individuare le mosse colpevoli delle banche. A illuminare le torsioni di un sistema che ha dimostrato la sua inadeguatezza ordinamentale. Sarà solo la fine del primo capitolo della storia scritta da Calisto Tanzi, lattaio di Collecchio, Parma.