Federico Ferrazza, Macchina del Tempo, aprile 2004 (n.4), 17 aprile 2004
Venticinque vetture con un solo obiettivo: un milione di dollari. Questa infatti la cifra messa in palio dal Darpa (sigla che significa Defense Advanced Research Projects Agency, ovvero Organizzazione di ricerca e sviluppo per il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti) per la prima edizione del ”Darpa Grand Challenge – Autonomous Ground Vehicles”, gara che si è svolta lo scorso13 marzo negli Stati Uniti, unica nel suo genere perché rivolta esclusivamente a veicoli senza pilota
Venticinque vetture con un solo obiettivo: un milione di dollari. Questa infatti la cifra messa in palio dal Darpa (sigla che significa Defense Advanced Research Projects Agency, ovvero Organizzazione di ricerca e sviluppo per il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti) per la prima edizione del ”Darpa Grand Challenge – Autonomous Ground Vehicles”, gara che si è svolta lo scorso13 marzo negli Stati Uniti, unica nel suo genere perché rivolta esclusivamente a veicoli senza pilota. Il tracciato (circa 400 chilometri da Los Angeles a Las Vegas), che si divide tra strade asfaltate (20 per cento del totale) e fuoristrada con tanto di deserto e guadi, andava percorso in un massimo di dieci ore. Per i concorrenti non era prevista proprio nessuna facilitazione: il percorso (che come se non bastasse aveva anche degli ostacoli ”artificiali”, creati ad arte per mettere alla prova i veicoli nelle peggiori circostanze ambientali possibili), è rimasto top secret fino a 20 ore prima della partenza, ovvero quando la Darpa ha reso note le coordinate di alcuni punti che i veicoli dovevano attraversare obbligatoriamente. Non solo. Al minimo intervento dei giudici, per esempio quando la vettura andava fuori percorso, si usciva dalla competizione. Nessuna pietà. Alla gara ha concorso anche un team in parte italiano: si chiama ”Terramax”. Un’équipe dell’Università di Parma guidata da Alberto Broggi, professore di Visione artificiale, sistemi operativi e fondamenti di informatica, ha infatti messo a punto per il Darpa Grand Challenge un veicolo in collaborazione con l’Università dell’Ohio e l’azienda statunitense Oshkosh che ha fornito il mezzo. «In particolare» spiega Broggi «abbiamo sviluppato i sensori ”passivi”, ovvero le tre telecamere montate davanti e le tre installate dietro di cui è provvista la vettura. Queste telecamere sono servite a catturare immagini e a inviarle al cervello della macchina: un normale computer portatile che, come un pilota in carne e ossa, ha guidato il veicolo fino al traguardo». Il computer, d’altra parte, non riceveva informazioni solo dalle telecamere. Il pc era in contatto anche con altri sensori (detti ”attivi” e realizzati dall’Università dell’Ohio): radar per individuare ostacoli, laser per capire l’inclinazione latitudinale e longitudinale della strada, un sistema Gps per la localizzazione del veicolo e i sensori inerziali per comprendere accelerazione e velocità della vettura. Tutti questi strumenti inviavano dati al computer di bordo che, dopo averli analizzati, calcolava la giusta traiettoria e velocità della vettura. Ma nei prossimi anni vedremo auto con il pilota automatico anche nelle nostre città? «Il Darpa Grand Challenge è solo una gara» risponde Broggi «e forse vetture di questo tipo potrebbero aggirarsi per le nostre strade fra vent’anni. Prima delle auto senza pilota arriveranno i veicoli ”supervisionati”, in grado cioè di dare una mano al pilota nella guida». Le grandi aziende stanno investendo molto in questo settore. il caso della Fiat, che sta mettendo a punto, insieme al team di Broggi, un sistema per rallentare una vettura quando dietro una curva si trova un’altra macchina ferma o che sta rallentando. Sulla stessa scia la Volkswagen, che sta sviluppando un progetto per rallentare un’automobile quando si trova di fronte a un pedone. Chi vuole saperne di più sulla gara, può cliccare sull’indirizzo Internet www.darpa.mil/grandchallenge.