Federico Ferrazza, Macchina del Tempo, aprile 2004 (n.4), 17 aprile 2004
«Entro il 2008 un nostro mezzo aerospaziale toccherà il suolo lunare. E tra il 2015 e il 2020 l’essere umano rimetterà piede sulla Luna»
«Entro il 2008 un nostro mezzo aerospaziale toccherà il suolo lunare. E tra il 2015 e il 2020 l’essere umano rimetterà piede sulla Luna». Parola del presidente degli Stati Uniti George W. Bush, le cui dichiarazioni dello scorso gennaio hanno annunciato al mondo la strategia della Nasa per i prossimi 25 anni. Bush ha infatti parlato anche di Marte, dichiarando che sul pianeta rosso l’uomo potrebbe arrivare nel 2030. Per raggiungere questi obiettivi, la Casa Bianca chiederà al Congresso di finanziare la Nasa con un extra di circa dodici miliardi di dollari per i prossimi cinque anni, rispetto a quello che finora si era già stanziato. Non solo. Per tornare sul nostro satellite e toccare il suolo marziano il prima possibile, l’amministrazione guidata da Bush vorrebbe deviare su questi progetti undici miliardi di dollari che ora sono destinati ad altri programmi sviluppati dall’Ente spaziale americano. Insomma, dopo un periodo di stallo dovuto all’esplosione dello shuttle Columbia nel febbraio 2003, per dirla come in un film di fantascienza, la conquista dello spazio è ricominciata. Prima tappa, quindi, la Luna. Su cui gli scienziati della Nasa vogliono costruire una colonia abitata e autosufficiente. «Anche perché» afferma Simona Di Pippo, responsabile Osservazioni dell’Universo dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), «l’idea è quella di usare la Luna come avamposto per portare l’uomo su Marte». La base lunare, infatti, costituirà un vero e proprio trampolino di lancio verso il pianeta rosso, perché il campo gravitazionale più debole del nostro satellite richiederà meno energia, e quindi meno denaro, per lanciare veicoli verso il suolo marziano. Il primo passo per le prossime missioni sarà quello di sostituire l’ormai vetusto Space Shuttle, il mezzo di trasporto spaziale abitato in servizio dal 1981 (e con circa cento missioni sulle spalle) che è diventato uno dei simboli dei voli della Nasa. A rimpiazzarlo sarà il Crew Exploration Vehicle (Cev) che, testato e sviluppato entro il 2008, effettuerà la prima missione abitata non oltre il 2014. Il Cev, però, è quasi tutto da costruire, tanto che la Nasa non rilascia ancora alcun dettaglio sulle caratteristiche del veicolo. Una volta arrivati (o meglio ritornati) sulla Luna, bisognerà iniziare a costruire la colonia. Che girerà intorno agli strumenti scientifici e alle attività di ricerca degli astronauti. Si testeranno, infatti, in condizione di gravità parziale (un sesto di quella terrestre) apparecchi e prodotti da utilizzare poi sul nostro pianeta. Inoltre, si potranno effettuare osservazioni astronomiche. Sia con telescopi ottici, per l’assenza dell’atmosfera, che con radiotelescopi grazie all’assoluta mancanza di interferenze. Per assicurarsi una permanenza più lunga possibile, gli astronauti dovranno sfruttare e riciclare al massimo le risorse a loro disposizione. Tra queste l’elio-3, presente in grosse quantità sulla Luna. Questo isotopo potrebbe essere usato, per esempio, come combustibile sia per razzi che per possibili reattori (magari anche sulla Terra) a fusione nucleare per produrre energia. Da sfruttare ci saranno poi i depositi di acqua presenti ai poli lunari. «Da questi» spiega Franco Ongaro, manager per l’Agenzia Spaziale Europea (Esa) del programma ”Aurora”, che ha l’obiettivo di portare l’uomo sulla Luna entro il 2025 e su Marte nel 2030, «gli astronauti potrebbero ricavare l’ossigeno (ottenibile anche sfruttando il regolite lunare) per respirare nei loro rifugi. L’acqua sarà anche utile per una serie di eventuali serre. «Già, perché per creare una colonia più o meno fissa sulla Luna non si può pensare di portare tutti gli alimenti dalla Terra. Per questo motivo si sta pensando proprio a serre che potrebbero essere messe a punto sfruttando esperimenti di colture idroponiche (che consentono di usare l’acqua al posto della terra ndr)». D’altra parte, uno dei problemi che bisognerà risolvere prima di fondare una colonia lunare sarà proprio quello dell’energia necessaria a mandare avanti tutte le attività degli astronauti. «Si potrebbe ricorrere all’energia nucleare come fonte di discreta durata» continua Ongaro. «Più dura, invece, la strada per l’energia solare: sulla Luna, infatti, la notte dura 14 giorni ed è quindi impensabile impiantare pannelli solari in un punto che non sia il Polo Sud, l’unica zona quasi sempre illuminata». Oppure? «In alternativa» spiega Di Pippo «si stanno studiando pannelli solari da mettere in quota, in modo tale che siano continuamente esposti al Sole e in grado, quindi, di portare energia sul satellite». Oltre a tutti gli aspetti tecnici, poi, sarà necessario pensare alle reazioni dell’organismo umano a vivere settimane sulla Luna. « uno dei grossi punti interrogativi» sostiene Ongaro. «Sappiamo con certezza quello che succede al nostro corpo dopo un anno e mezzo senza gravità: perdita di massa muscolare e di tessuto osseo con conseguente difficoltà nel deambulare. Ancora però non abbiamo sperimentato che cosa succede all’organismo in una situazione di gravità parziale come quella che si presenta sulla Luna» continua Ongaro. «Senza dimenticare che c’è da capire anche come si possa reagire alla quantità di radiazioni che verrebbe assorbita in un viaggio interplanetario. Inoltre si dovranno condurre esperimenti a terra per valutare possibili problemi psicologici che si potrebbero incontrare se si rimanesse per un tempo così prolungato nello spazio». Difficile, quindi, immaginare la possibilità di vedere turisti, o comunque non professionisti, nella colonia lunare (anche perché il prezzo del biglietto di sola andata si aggirerebbe intorno ai 20 milioni di dollari), come immaginato per anni da numerosi cineasti e scrittori. Ma nonostante queste difficoltà, vedere nei prossimi anni l’essere umano di nuovo sulla Luna sarà possibile. A patto che, come dicono molti ricercatori, si continui a investire nelle missioni, varando una ”concorrenza tecnologica” per scoprire i segreti della nostra galassia. Oltre alla Nasa e all’Esa, infatti, anche Cina, Giappone e India hanno intenzione di diventare delle potenze spaziali. Federico Ferrazza