Nicola Nosengo, Macchina del Tempo, aprile 2004 (n.4), 17 aprile 2004
Qual è il peggior nemico dell’Homo sapiens? Se fate la domanda a un medico, non stupitevi se vi sentirete rispondere senza esitazione che in cima a quella lista va messo il mal di schiena
Qual è il peggior nemico dell’Homo sapiens? Se fate la domanda a un medico, non stupitevi se vi sentirete rispondere senza esitazione che in cima a quella lista va messo il mal di schiena. «Nessun’altra malattia ha colpito l’essere umano con tanta costanza», conferma Pier Giorgio Marchetti, direttore dell’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna, che definisce il mal di schiena una vera e propria ”malattia sociale”. Dati alla mano, non si può dargli torto. Almeno una volta nella vita la lombalgia, ovvero il dolore localizzato nella regione lombare, la parte della schiena proprio sopra al bacino, colpisce tra l’80 e il 90 per cento della popolazione. Insieme al mal di testa e all’influenza è una delle ragioni più frequenti per cui si va dal medico, e si calcola che il 30 per cento delle assenze dal lavoro siano dovute proprio a questo problema. In molti casi si tratta di lombalgia acuta, a volte molto dolorosa (si pensi al classico ”colpo della strega”, che blocca i movimenti all’altezza delle reni), ma che si risolve da sé nel giro di qualche giorno: ogni anno il 30-40 per cento della popolazione ha almeno un episodio di questo tipo. Ma spesso il dolore ha la tendenza a ritornare periodicamente e, se trascurato, a diventare cronico (i medici considerano cronico un dolore continuo che prosegue per almeno sei mesi), cosa che accade almeno al 7-8 per cento della popolazione, con effetti spesso disastrosi sulla possibilità di lavorare e vivere normalmente, perché il dolore può diventare intollerabile e impedire i più normali movimenti. Una vera e propria epidemia, insomma. Dovuta in egual misura, spiegano gli esperti, alla nostra storia naturale e ai nostri stili di vita. «Camminiamo da qualche centinaio di migliaia di anni, ma sembra che non sia bastato ad abituarci» commenta scherzosamente, ma neanche troppo, Marchetti. A non essersi abituata, in realtà, è la nostra colonna vertebrale: una pila di mattoncini ossei, le vertebre, separati da cuscinetti elastici e gelatinosi formati da un nucleo ricco d’acqua in una tunica fibrosa, i dischi intervertebrali. I dischi permettono alle vertebre di muoversi una sull’altra durante le torsioni del busto e funzionano come ammortizzatori, distribuendo e assorbendo le sollecitazioni provocate dai nostri movimenti. A causa della posizione eretta, la maggior parte del peso e del movimento è sopportata dalle cinque massicce vertebre lombari, poste sopra l’osso sacro. Ma poiché l’uomo è in piedi da un tempo relativamente breve, la colonna non ha ancora trovato un assetto ideale per fare fronte a tutto quel peso, che in un quadrupede viene invece scaricato sulle ossa dei quattro arti. A complicare il quadro, poi, ci sono gli stili di vita oggi più comuni, che ci portano a fare per ore e ore una cosa per cui siamo ancora meno adattati: sederci. Quando siamo seduti costringiamo le vertebre lombari a invertire la loro curvatura naturale e scarichiamo per lungo tempo il peso sullo stesso punto, mentre quando stiamo in piedi siamo costretti a spostare il peso con frequenza. Se questo spiega la spietata diffusione della lombalgia, le cause specifiche del dolore possono essere molte: e ciò che rende subdolo il mal di schiena è che ben di rado il medico può individuarle con un semplice esame. «Prima di tutto ci sono casi in cui la fonte del dolore alla schiena può in realtà essere fuori dalla colonna vertebrale» spiega Marchetti. «Calcoli o altri disturbi ai reni o al pancreas possono proiettare il dolore sulla colonna, a causa della prossimità delle terminazioni nervose». Una volta esclusa questa possibilità, rimangono comunque molte spiegazioni possibili. Un episodio acuto e improvviso è di solito la conseguenza di strappi o stiramenti muscolari dovuti a uno sforzo, a un peso eccessivo sollevato in modo sbagliato per esempio. Ma se il dolore ritorna più volte senza che ci sia stato un evento scatenante, ha probabilmente altre cause, che generalmente cambiano con l’età. «In una persona di vent’anni il mal di schiena è una conseguenza della crescita» spiega Paolo Marchettini, responsabile del centro di medicina del dolore dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Il corpo si allunga, il peso aumenta e spesso si fa più attività fisica: se la colonna vertebrale non riesce a ”seguire” questi cambiamenti possono crearsi deformazioni come la scoliosi, una curvatura laterale della colonna, e cedimenti delle articolazioni. In questo caso il problema si può facilmente diagnosticare con una radiografia e curare, a seconda della gravità, con la fisioterapia, con corsetti e busti ortopedici o addirittura con l’intervento chirurgico. Ma questi, tutto sommato, sono casi rari, che interessano lo 0,5 per cento della popolazione. La grande maggioranza dei mal di schiena riguarda solitamente persone fra i trenta e i cinquant’anni, ed è molto improbabile che la causa sia una deformazione della colonna, perché questa sarebbe già stata individuata da tempo. «Il problema», spiega Marchettini, «è in quei dischi elastici tra le vertebre». Per uno sforzo improvviso, o una postura scorretta, un disco può tendere a sfuggire dalla sua sede verso la parte posteriore della colonna. In questo modo preme su un legamento che riveste le vertebre come una tenda, proprio per tenere il disco al suo posto. Poiché il legamento è sensibile, si avverte dolore. «Questa volta, la radiografia non serve a nulla, perché disco e legamenti sono tessuti molli che non vengono ”fotografati” dai raggi X» evidenzia Marchettini. Qualcosa in più possono mostrare la risonanza magnetica, che vede i tessuti molli, e la Tac, una sorta di radiografia tridimensionale elaborata al computer, che può evidenziare se il legamento si calcifica per effetto delle lesioni e se si restringe il canale spinale. Ma spesso in questa fase lo spostamento del disco non è abbastanza evidente e gli esami non aiutano il medico a fare una diagnosi. A un certo punto quel legamento può rompersi e il disco inizia a sporgere tra le vertebre. uno dei momenti in cui il mal di schiena si mostra più subdolo: perché proprio quando l’ernia (appunto, la fuoriuscita del disco) diventa visibile con la risonanza magnetica, il dolore può passare da un giorno all’altro: rotto il legamento, è scomparsa anche la fonte del dolore. «Ma è solo una tregua temporanea» avverte Marchettini. Una volta uscito dalla sua sede il disco inizia infatti a premere sulle strutture nervose che corrono all’interno del canale vertebrale, nei fori interni delle vertebre. I nervi non sono altro che fili elettrici rivestiti da una pellicola protettiva, la meninge. Quest’ultima è molto sensibile, e quando è schiacciata dal disco provoca dolore. Man mano che la pressione aumenta, il disco comprime anche il nervo, il filo elettrico all’interno della meninge. A questo punto il dolore si estende alla gamba, perché da lì provengono i nervi che passano nella colonna e il cervello ”riconosce” l’arto come fonte del dolore. la sciatalgia, o sciatica. La pressione del disco può anche danneggiare il nervo, che non conduce più l’elettricità: se non si interviene, questo causa prima formicolii e perdite di sensibilità alla gamba, poi perdite di forza, fino alla paresi dell’arto. A queste cause di mal di schiena, tuttavia, si può aggiungere anche l’infiammazione: la meninge, sottoposta a tensione, si gonfia liberando le citochine, proteine che fanno da messaggeri dell’infiammazione e che provocano un dolore di tipo diverso, che va a sommarsi a quello neurologico. «Anche in questo caso, non esiste un esame specifico che faccia capire al medico cosa sta succedendo» dice Marchettini. Ancora diverso è il mal di schiena che arriva intorno a 60/70 anni. Ora la fase dell’ernia può dirsi superata, perché con l’età il disco si disidrata e si sgonfia, e non tende più a uscire. Però anni di pressione del disco sul legamento possono aver causato la calcificazione di quest’ultimo: il canale all’interno della colonna si restringe, i vasi sanguigni sono compressi e nervi e meninge non ricevono abbastanza sangue. Questo è un mal di schiena particolare: «Il dolore può essere a tratti insopportabile, poi passare dopo un breve riposo perché ai tessuti arriva di nuovo ossigeno, e ricomparire quando ci si rimette in moto» spiega sempre Marchettini. Ci sono però diverse cose che ognuno di noi può fare per evitarlo. Controllare il peso, perché l’obesità aumenta il carico sulla colonna vertebrale. Non fumare, perché il fumo contribuisce a ridurre l’ossigenazione dei tessuti. Per tenere alla larga gli episodi acuti come il classico ”colpo della strega”, poi, è fondamentale sollevare sempre i pesi in modo corretto, cioè piegando le gambe e affidando lo sforzo alle ginocchia più che alla colonna. Il principale nemico della schiena è l’immobilità, tutti gli sport sono utili per prevenire il mal di schiena: «Anche quelli spesso accusati ingiustamente di favorirlo, come il tennis, il jogging o il basket» dice Stefano Negrini, fisioterapista e direttore dell’Istituto italiano colonna vertebrale. Particolarmente importante è tenere allenati i muscoli addominali, che aiutano a tenere la colonna vertebrale sempre allineata. Per chi proprio non ha il tempo di fare sport, e sono in tanti, ci sono comunque alcuni semplici esercizi, da fare anche seduti alla scrivania, che possono limitare i danni. Per esempio poggiare le mani sul piano della scrivania ed esercitare delle pressioni verso il basso per cinque secondi, che aiuta a mantenere la colonna vertebrale allineata. Fare torsioni della testa e del tronco con le braccia conserte al petto. O portare i gomiti dietro la schiena facendoli convergere in un punto, per estendere la colonna e rinforzare i muscoli posteriori del tronco. E le sedie ergonomiche? «Possono essere molto utili» concede Paolo Marchettini «ma alzarsi per 10 minuti ogni ora è molto più utile di qualunque sedia ergonomica». Certo, tutto questo lo si dice con il senno di poi: una volta che il mal di schiena c’è, e che non si decide a passare, che fare? Prima di tutto andare dalle persone giuste. Nel campo dei trattamenti per il mal di schiena c’è un po’ di tutto, avvertono gli specialisti, compresi molti interventi senza alcuna garanzia scientifica di efficacia. Che prosperano più che in altri campi perché il mal di schiena, per i motivi che abbiamo visto, spesso passa da solo, ed è facile attribuirsi il merito di un miglioramento che sarebbe avvenuto comunque. « un grande settore per i guaritori» secondo Marchettini «chiunque, insomma, può fare bella figura». Meglio allora affidarsi al consiglio del proprio medico di famiglia, che saprà indicare uno specialista o un centro in grado di affrontare il problema. E, ormai lo abbiamo capito, non fidarsi di chi ordina subito radiografie ed esami su esami. «Per la diagnosi non c’è nulla che possa sostituire la visita e il colloquio con il paziente» ribadisce Marchetti. «Radiografie e Tac si fanno dopo la visita per integrare le informazioni, o per escludere altre cause come un tumore» avverte Marchettini. Una volta che il medico avrà capito se la causa del dolore è neurologica, muscolare o infiammatoria, potrà indirizzare il paziente verso il rimedio più indicato. Naturalmente, per tenere duro durante gli episodi più acuti, ci sono i farmaci: tutti gli antidolorifici e anti infiammatori come l’aspirina o il voltaren, o il cortisone, utilizzato con iniezioni epidurali nei casi più gravi. «Ma è importante non abusare di questi trattamenti e ricordarsi che non ci si cura con gli antinfiammatori» avverte Marchetti. «I farmaci sono solo un aiuto temporaneo per i momenti in cui il dolore è insopportabile». Poi ci sono gli ausili ortopedici come fasce, busti e corsetti di vario tipo, che possono alleviare il dolore aiutando a scaricare le sollecitazioni che gravano sulla parte posteriore della colonna vertebrale: in sostanza, fanno quello che farebbero dei muscoli addominali ben allenati. I trattamenti più efficaci si sono dimostrati in realtà, a detta della maggior parte degli specialisti, quelli fisici. Esistono diverse scuole di terapia manuale che puntano a eliminare le contratture muscolari e i blocchi articolari, dando così più spazio alla radice nervosa e favorendo l’afflusso di sangue. Tra i più popolari la chiropratica, un metodo per ”sbloccare” le articolazioni, e l’osteopatia, caratterizzata da un approccio più morbido, basato su movimenti passivi ritmici e pressione esercitata sui muscoli per rilassarli. Per uscire definitivamente dal tunnel e dire addio al mal di schiena, i migliori centri propongono però un vero e proprio ”riallenamento” della colonna vertebrale, basato su esercizi personalizzati, da eseguire prima insieme al medico e poi da continuare a casa, ritornando periodicamente per i controlli. Sono le ”back school”, terapie fatte di esercizi e di educazione posturale per migliorare la meccanica del corpo. Si va dal metodo McKenzie, che prevede movimenti di estensione al Pilates, che utilizza anche macchine e attrezzi, in particolare un lettino basso di legno su cui scorre un carrello. Ma non aspettatevi risultati immediati. «Per uscire da una lombalgia cronica ci vogliono di solito 3 o 4 mesi, anche un anno se c’è grave invalidità» spiega Negrini. Quanto alla chirurgia, vi si deve far ricorso solo in casi estremi. «Si decide di operare» spiega Marchettini «quando la perdita di sensibilità alla gamba lascia supporre che un’ernia stia provocando danni permanenti al nervo sciatico, per evitare una paresi. Oppure per un dolore insopportabile e continuo per più di tre mesi. Ma la probabilità di avere una ricaduta nei pazienti che hanno subito un’operazione è la stessa di chi non l’ha subita». In realtà c’è una sola soluzione definitiva: evolverci ancora un po’, per adattarci meglio alla posizione eretta e, forse ancora di più, a quella seduta. Ma per questo ci vorrà almeno ancora qualche decina di migliaia di anni. Nicola Nosengo