Guido Romeo, Macchina del Tempo, aprile 2004 (n.4), 17 aprile 2004
Fiocco rosa in casa clonazione. Il mese scorso Woo Suk Hwang, dell’Università nazionale di Seul, in Corea, ha annunciato di aver mosso un altro passo sulla strada della clonazione terapeutica riuscendo a ottenere la prima linea cellulare da un embrione clonato
Fiocco rosa in casa clonazione. Il mese scorso Woo Suk Hwang, dell’Università nazionale di Seul, in Corea, ha annunciato di aver mosso un altro passo sulla strada della clonazione terapeutica riuscendo a ottenere la prima linea cellulare da un embrione clonato. Qualche centinaio di cellule che sono la fotocopia genetica di una donna che ha donato i suoi ovociti e cellule della sua pelle per creare cellule staminali identiche a quella dell’embrione dal quale è nata e capaci di produrre tutti i tipi di tessuti che compongono il suo organismo. L’ambizione non è quella di arrivare a riprodurre un individuo identico all’originale (sarebbe la clonazione riproduttiva, proibita in tutto il mondo), ma la clonazione terapeutica, una delle più grandi sfide della medicina moderna. La speranza è che un giorno saremo in grado di controllare la crescita e il differenziamento di queste cellule per trattare le patologie più diverse, dal Parkinson al diabete (vedi l’infografico qui a fianco). «Per le applicazioni cliniche bisognerà aspettare un po’ di tempo» avverte Hwang, che abbiamo raggiunto a Seul il giorno dopo la pubblicazione del risultato sulla prestigiosa rivista statunitense ”Science”, «perché oggi stiamo ancora conducendo esperimenti di base per capire come controllare il differenziamento delle cellule in diversi tipi di tessuti». Oggi, però, la scoperta ha acceso due dibattiti: uno sul significato scientifico e l’altro sull’etica di queste manipolazioni dell’embrione, per le quali non si riesce a trovare un’unica linea di condotta a livello mondiale. «Dal punto di vista scientifico il risultato è importante» osserva Carlo Alberto Redi, uno dei ”padri” di Cumulina, il primo topo clonato, e biologo dello sviluppo presso l’Università di Pavia.«Abbiamo visto che in ogni specie la clonazione presenta difficoltà diverse. Ci sono voluti 484 embrioni per clonare la pecora Dolly e 84 per ottenere il topo Cumulina. Oggi sappiamo che per ottenere una linea cellulare umana, non impiantata nell’utero e quindi ancora a uno stadio molto preliminare, ci vogliono almeno 242 ovociti». Ottenere cellule embrionali non è quindi un affare da poco. I ricercatori coreani hanno chiesto a 16 volontarie non pagate di sottoporsi a una stimolazione ormonale con ormoni analoghi a quelli impiegati nei trattamenti anticoncezionali, ma con dosi assai più alte, fino a ottenere 242 ovociti. In queste cellule uovo hanno sostituito il nucleo con quello di una cellula somatica adulta. L’uovo si trova così con un corredo genetico completo come se fosse stato fecondato, e se sottoposto alle condizioni giuste di temperatura, terreno di coltura e con gli opportuni stimoli chimici, comincia a dividersi e moltiplicarsi. Un processo complesso e in cui la mortalità è molto alta. I coreani hanno infatti selezionato le 30 cellule più adatte lasciandole proliferare per cinque giorni fino a far loro raggiungere lo stadio di blastocisti, una struttura di un centinaio di cellule. Da una di queste l’équipe di Hwang, con la collaborazione di José Cibelli, fondatore della start-up biotech Advanced Cell Technology, che nel 2001 aveva già eseguito il trasferimento nucleare in cellule umane, ha prelevato singole cellule embrionali e le ha coltivate fino a ottenere sette tipi diversi di cellule: della pelle, nervose, della retina, muscoli lisci, ossa, cartilagine e tessuto connettivo. «Ora la sfida è individuare gli interruttori molecolari che controllano questi differenziamenti» spiega Redi «ma nessuno si azzarderebbe ancora a trapiantare queste cellule nella donatrice, neanche di fronte alla più grave malattia». «I pericoli non sono da sottovalutare» gli fa eco Cesare Peschle, direttore del programma nazionale per le cellule staminali italiano presso l’Istituto superiore di sanità (Iss), «perché, una volta impiantate, rischiano di sfuggire a ogni controllo e di scatenare un processo tumorale. «L’interesse delle staminali embrionali di fatto è ancora tutto da dimostrare, ma la comunità scientifica è unanime sull’interesse della ricerca sulle staminali. Oggi quelle adulte sono già utilizzate per il trapianto di midollo dopo la chemioterapia nei pazienti leucemici ed esistono ottime premesse per ampliare le banche di staminali. L’Iss ha già stanziato 11 milioni di euro su 80 progetti negli ultimi due anni per la ricerca su staminali ottenute da feti abortiti naturalmente o subito dopo la nascita». Il secondo punto critico è quello etico. Per la legge italiana le cellule ottenute con la tecnica coreana sarebbero embrioni con la dignità di una persona e quindi ogni manipolazione sarebbe vietata. «Questo è un punto molto controverso a livello internazionale» avverte però Redi «perché, se è vero che nella maggior parte dei Paesi europei questo tipo di ricerche è vietata e che in America è ammesso solo in alcuni Stati e a patto di non utilizzare soldi federali, non si è ancora trovato un accordo sulla produzione di embrioni per la ricerca scientifica. Il panorama però sta cambiando molto velocemente: «il comitato di bioetica della Casa Bianca ha appena divulgato un nuovo rapporto (’Monitoring stem cell research” - disponibile on-line a www.bioethics.gov) perché è chiaro che per poter indirizzare la ricerca scientifica bisogna saperla controllare. Non mi stupirei se tra qualche anno anche negli Stati Uniti si cominciasse a lavorare con queste tecniche». Guido Romeo