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 2004  aprile 16 Venerdì calendario

Almeno una volta nella vita a ognuno di noi è capitato di porsi la fatidica domanda: ”ma perché proprio a me?”

Almeno una volta nella vita a ognuno di noi è capitato di porsi la fatidica domanda: ”ma perché proprio a me?”. Abbiamo chiesto ad alcuni popolari personaggi dello spettacolo, che hanno attraversato, per ragioni diverse, un momento difficile, di raccontarcelo e di spiegarci come hanno fatto a uscirne. «Quando la Rai mi ha rimosso dal ruolo di annunciatrice» ci racconta Alessandra Canale (foto in basso) «invece di buttarmi giù mi sono rimboccata le maniche. è vero, ho pianto in diretta. E forse non lo rifarei. Sono un’emotiva, quella mattina avevo subito una terribile ingiustizia: l’azienda a cui avevo dedicato tutta me stessa mi comunicava, con una lettera, che non avrei lavorato più. Per fortuna la gente e anche la stampa mi hanno subito dimostrato tanta solidarietà. E io, in attesa delle sentenze (che mi hanno sempre dato ragione), ho riletto tutte le lettere affettuose che gli spettatori mi avevano scritto negli anni. Quelle lettere mi hanno dato tanto coraggio. E ora sono diventate un libro dal titolo ”Vi voglio bene”. Se potessi dare un consiglio a chi subisce ingiustizie, gli direi di fare come me: prendersi una pausa di riflessione, parlare con gli altri della propria esperienza e poi rimboccarsi le maniche, con una buona dose di ottimismo, per riconquistare una vita nuova». Brigitta Boccoli ha iniziato a lavorare a tredici anni, come showgirl. «Successo facile, da giovanissima, senza aver minimamente lottato per ottenerlo. Ero viziata dalla gente, per quella che all’epoca mi pareva una meravigliosa avventura. Ma dopo ”Domenica In” il telefono ha smesso di squillare. Per due anni. Non lavorare dopo quella frenetica attività era scioccante, ma io non facevo nulla per cambiare la situazione, mi limitavo a prendermela con i miei genitori che ritenevo responsabili di una scelta che, pensavo, mi aveva rovinato il futuro. Dopo due anni mi sono resa conto che dovevo risolvere io il mio problema. Per caso, ho saputo che il giorno dopo c’era una riunione in Rai per una nuova trasmissione; mi sono presentata fingendo che mi avessero convocato e ostentando un’assoluta sicurezza. Risultato? Si sono messi a ridere e mi hanno preso. Anni dopo, mi è successo ancora di non avere lavoro, e immediatamente sono andata a vendere macchine nell’autosalone di un mio amico. Psicologicamente è importante fare qualcosa, avere un impegno e degli orari da rispettare. Altrimenti, con tanto tempo per pensare, viene automatico fare la vittima e far ricadere tutte le motivazioni sugli altri: in realtà il problema siamo noi stessi. Il mio consiglio è di reagire, ma soprattutto di non soffermarsi a pensare di chi sia la colpa, non assumere atteggiamenti vittimistici, perché ti chiudono in te stesso e peggiorano solo la situazione. Per quanto mi riguarda, ho scoperto che da quando ho smesso di dare le colpe ai miei genitori la situazione è nettamente migliorata!». Anche il periodo di blackout di Stefano Masciarelli è cominciato dopo la sua partecipazione a ”Domenica In” nel ’94-’95. «Solito discorso: non ti chiamano, ti chiedi perché, non lo capisci. Io al vittimismo che mi ha colto ho reagito con lo sport: giocavo a tennis, a calcio come un forsennato. Era un momento tremendo: la tv dà questa grande, improvvisa popolarità e poi non succede più nulla. Ma che tipo di lavoro è questo? Credo che oggi ci sia poca professionalità, chiunque passi in tv anche un solo giorno diventa un mito, e ogni volta un professionista deve dimostrare la propria capacità come se fosse agli inizi. In Usa è diverso: nessuno chiede a Robert De Niro di fare un provino! Penso che fra un po’ saranno talmente tanti a passare in tv che dovremo essere noi, povere vittime, a chiedere l’autografo a chi non è mai andato in televisione: sarà una rarità! Oggi ho diversificato la mia attività con il cinema, il teatro, il doppiaggio e la musica, tutto costruito da solo perché non sono mai andato a scuola. Ai vittimisti dico di reagire: un sorriso si può sempre fare e può servire per ripartire. Si conta fino a 10 e poi si ricomincia». Non ha proprio l’aria di chi soffre o ha sofferto di vittimismo Gianfranco D’Angelo (foto in alto), mattatore di ”Drive In” negli Anni Ottanta e adesso protagonista di commedie di successo. E ci tiene a sottolinearlo: «Mai sofferto di vittimismo. Come carattere e anche come segno zodiacale (sono un Leone) mi sento sempre un vincitore. Certo anche a me è capitato di dire: ”Accidenti, ma proprio tutto a me?”. Come quando, dopo aver fatto uno spettacolo, mi sono fermato a mangiare in un ristorante a Trani. Avevo una Mercedes di grossa cilindrata, con tutti gli optional possibili, ed ero un po’ preoccupato (nella città pugliese mi avevano già rubato 2 macchine). Il proprietario del ristorante però mi ha rassicurato: ”Mangi tranquillo, è tutto sotto controllo”. Mi sono bastati 5 minuti per capire che era tutto sotto controllo, sì, ma dei ladri! Non avevo ancora mangiato la mia prima cozza che la macchina era sparita nel nulla! Ho pagato il conto senza aver finito di mangiare e mi sono ritrovato fuori del ristorante a piedi, a mezzanotte, senza l’ombra di un taxi. Mi sono rivolto ai carabinieri che mi hanno detto: ”Adesso è tardi, venga domani mattina”. Sentivo freddo ma il giubbotto era rimasto dentro la macchina. Dopo tutto ciò, sfido chiunque a non sentirsi un po’ vittima! Ma la vita va presa con filosofia e anche se la mia Mercedes era nuova di zecca e l’avevo pagata 140 milioni, sapete che vi dico? Consumava troppo!». Marina Baumgartner