Roberta Mercuri, Macchina del Tempo, aprile 2004 (n.4), 16 aprile 2004
«Il capo ufficio mi impedisce di fare carriera, al supermercato mi ritrovo sempre nella fila più lunga, alle feste nessuno mi degna di uno sguardo e al ristorante il cameriere mi serve sempre per ultimo»
«Il capo ufficio mi impedisce di fare carriera, al supermercato mi ritrovo sempre nella fila più lunga, alle feste nessuno mi degna di uno sguardo e al ristorante il cameriere mi serve sempre per ultimo». Quanta gente passa la vita lamentandosi di tutto e accusando delle proprie sconfitte il mondo intero? «Secondo un recente sondaggio» spiega Marinella Cozzolino, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione italiana di sessuologia clinica di Roma «la sindrome ”di Calimero” o ”di Charlie Brown” riguarda sette italiani su dieci (più donne che uomini). I vittimisti, anziché vittime degli altri, sono in realtà vittime di se stessi: si tratta di individui fragili che non vivono mai nel presente. Per loro il passato è stato migliore, il futuro sarà forse migliore, ma adesso va tutto storto. Quando trovano un partner si lamentano perché hanno meno tempo per lo shopping o gli amici, da single si lamentano perché nessuno li vuole. Piagnucolano se sono disoccupati e piagnucolano quando trovano un impiego perché sono convinti che i colleghi siano antipatici e il capufficio incompetente. Terrorizzati da eventuali delusioni, passano sugli eventi con superficialità e affrontano la vita da una distanza di sicurezza che impedisce loro di essere felici». La maggior parte dei vittimisti scarica sugli altri la colpa dei propri fallimenti. «Capita a tutti» prosegue Cozzolino «di incontrare un collega che sgomita ed è tutto contento delle altrui sconfitte. Ma il vittimista trasforma il caso singolo in regola. Una frase tipica è: ”Qui tutti sgomitano, tutti sono felici dei miei errori, se non faccio carriera è colpa loro”. Oppure: ”Se la gente non mi mettesse i bastoni tra le ruote, riuscirei a fare questo e quello”». Tutti, in realtà, hanno qualcuno che gli mette i bastoni tra le ruote. «Ma il vittimista, incapace di fronteggiare un fenomeno assolutamente naturale, sposta verso gli altri l’aggressività contro se stesso» continua Cozzolino. «’Non sono capace di fare questo lavoro” diventa: ”Tu non ti accorgi che io sono capace”. Il senso di colpa, insomma, viene spinto all’esterno: su qualcosa che è fuori di lui oppure su qualche caratteristica che gli appartiene ma che non può cambiare. Un esempio: molte ragazze dicono che non trovano un fidanzato perché sono brutte. Ma non si chiedono mai se sono antipatiche, o inaffidabili, o poco gioviali. Insomma, cercano sempre una causa che non dipenda da loro». Altro atteggiamento tipico è quello di prendersela con la malasorte. «Ma in psicologia si dice chiaramente che la jella non esiste. Esistono gli jellati, che sono quelli che negativizzano ogni situazione». I vittimisti, infatti, non riescono a leggere nulla in positivo. E invece anche un’esperienza negativa può essere interpretata con animo ottimista. Ad esempio, se il fidanzato mi lascia, posso pensare che magari ha lasciato campo libero a un compagno migliore». Ci sono anche i vittimisti che tendono a caricarsi di sensi di colpa. «Prendiamo il caso delle mogli picchiate dal marito. Alcune si accusano pensando che sia colpa loro, che lui si sia arrabbiato perché si sono messe la minigonna o perché hanno fatto bruciare il tacchino». In questo modo cercano un movente per un fatto ingiustificabile e al tempo stesso, paradossalmente, credono di prendere in pugno la situazione: «Sono io la responsabile» si dicono «quindi sono io la protagonista». Cosa consigliare a chi passa la vita tra piagnistei e brontolii? «Il vittimista» prosegue Cozzolino «ha l’abitudine di guardarsi intorno per confrontarsi con chi ritiene più fortunato ma non si chiede mai come gli altri hanno ottenuto certi risultati. Semplicemente si lamenta: ”Loro hanno questo e quello, io no”. Visto che evitare il confronto è impossibile, potrebbe tentare questo esercizio: osservare serenamente, per una settimana, le persone che ritiene più fortunate. Parlarci, conoscere il percorso della loro vita. In questo modo si renderà conto delle difficoltà affrontate anche dagli altri, dei sacrifici necessari per raggiungere un determinato obbiettivo. Comprenderà che tutti possono subire sgambetti sul lavoro, momenti di difficoltà economica, sofferenze per una separazione. Che la fortuna, insomma, di rado piove dal cielo». Un altro trucco? «Raccontare con ironia» dice ancora Cozzolino «le proprie piccole o grandi tragedie. Ridere delle cose spiacevoli è un ottimo rimedio per minimizzarle. Annulla la paura e le rende innocue. Oppure chiacchierare, sempre con ironia, con un amico che ha vissuto disavventure simili alle proprie. Conoscere le soluzioni altrui è un buon modo per spianarsi la strada». La soluzione vera, però, sarebbe quella di mutare stato d’animo. Klaus Fiedler, psicologo dell’università di Heildelberg, in Germania, ha alterato lo stato d’animo di due gruppi di volontari con la musica e l’ipnosi. Poi ha chiesto loro di ricordare qualche episodio del passato: i volontari contenti ricordavano soprattutto cose positive, quelli tristi soprattutto cose negative. «Questo e altri esperimenti» spiega Fiedler «fanno ipotizzare che lo stato d’animo in cui ci troviamo modifichi il nostro modo di percepire la realtà». Aggiunge Marinella Cozzolino: «In un momento di felicità della mia vita, quando ad esempio penso di aver trovato l’uomo dei miei sogni, oppure ho appena avuto un bimbo, o se avessi fatto sei al superenalotto, reagirei a quello che adesso considero un problema in maniera meno drammatica, forse addirittura con indifferenza. Allora, se le tragedie che sembrano perseguitarci dipendono molto dallo stato d’animo, la soluzione è semplice: cambiamo stato d’animo». Ma come si fa? «La gente, in generale, si diverte poco. Fa cose che non gli piacciono. Qualcuno diceva: ”Se fai un lavoro che ti piace, non lavorerai un giorno della tua vita”. Certo, non tutti hanno la possibilità di cambiare un mestiere noioso. Ma trovare in ufficio un’amica con cui stabilire un rapporto di complicità può essere di grande aiuto. Allo stesso modo, nessuno è costretto a vivere con una persona che non ama. Quello che frega i vittimisti è che hanno la sensazione di non poter scegliere. E invece dovrebbero chiedersi se la persona con cui stanno gli piace davvero. Se sono felice col mio partner, infatti, la sera sono tutta contenta di tornare a casa. «E chi se ne importa se la lavatrice ha allagato il bagno, ci metteremo i doposci e ci faremo un mucchio di risate! Insomma, bisogna interrogarsi, capire cosa non ci piace nella nostra vita e darsi da fare per cambiarla, in modo da modificare anche lo stato d’animo». Roberta Mercuri