Marco Burini, Macchina del Tempo, aprile 2004 (n.4), 14 aprile 2004
Ho visto la Passione di Cristo con i miei occhi. Ho visto le sue carni lacerate dalle frustate dei centurioni romani
Ho visto la Passione di Cristo con i miei occhi. Ho visto le sue carni lacerate dalle frustate dei centurioni romani. Ho visto gli occhi della Madonna inondati di lacrime e le sue labbra bagnate dal sangue del Figlio. Ho visto Gesù martoriato dalle ferite e schiacciato dal peso della croce cadere sette volte lungo il cammino della Via Crucis. Ho visto il cielo nero del monte Golgota squarciato da un lampo e una saetta infilarsi nella punta del mio ombrello, attraversare il mio braccio e scaricarsi a terra, lasciandomi vivo mentre il Cristo moriva sulla Croce per la salvezza del mondo. Perché io ero lì di fronte al Cristo che muore per salvarci tutti dal peccato, accanto a Mel Gibson, il regista che ha diretto questo film sulla Passione (’The Passion”, nelle sale italiane dal 7 aprile prossimo, ndr), che non è solo un film religioso e una straordinaria opera d’arte, ma è innanzitutto la testimonianza impressionante di quali forze interiori e di quali energie sia capace di muovere la Fede, la passione – per usare un’espressione cara ai mistici – per Dio. Per quanto mi riguarda il ”miracolo” è già avvenuto. Il miracolo di aver potuto lavorare – a soli 25 anni – come assistente alla regia accanto a uno come Gibson, l’eroe commovente di ”Braveheart”, il colono coraggioso di ”The Patriot”, che ogni mattina alle sei, prima del primo ciak, si fa celebrare la messa secondo il rituale antico e sacrale di papa Sisto V; il miracolo di essere stato dietro e davanti alla macchina da presa sotto la guida di uno che aveva deciso di ricostruire le ultime dodici ore di vita di Cristo esattamente come le hanno raccontate i vangeli, facendo parlare gli ebrei in aramaico e i romani nel latino militaresco delle truppe d’occupazione, e scaraventando davanti agli occhi degli spettatori tutta la brutalità della Passione e la forza travolgente dell’Amore divino che ha riscritto la vicenda dell’uomo; il miracolo di essere stato al fianco di uno che voleva a suo modo ”farsi strumento di Dio” con un film che è anche un ”segno” da cui, probabilmente, non si potrà più prescindere anche nel confronto e nel dibattito sulla religione e sulle fedi. ’The Passion” ha cambiato la mia vita e la vita di tanti che ci hanno lavorato. Personalmente ci ho scritto anche la tesi con cui mi sono laureato l’anno scorso alla Lumsa di Roma. Ed è come se non riuscissi a staccarmi più da Lui, da Cristo. Accade anche ai miei amici, a Luca Lionello, che faceva Giuda nel film, a Francesco De Vito che interpretava Pietro, a Francesco Cabras, che recitava nel ruolo del ladrone cattivo crocifisso alla sinistra di Gesù. Al punto che la domenica è naturale trovarci in chiesa per la messa, consapevoli, quasi d’improvviso, che il sacrificio della croce e quello dell’altare coincidono. Ogni tanto parliamo con il produttore Steeve McEveety e con Mel da Los Angeles e ci parliamo del film che abbiamo fatto, delle polemiche che ha suscitato, perché – come dice Mel – «è un film che fa bene». Le lobby massoniche, organizzazioni potenti di ogni tipo, come s’è visto in queste settimane, hanno cercato di bloccarle questo film e di confinarlo, nella migliore delle ipotesi, nel circuito delle sale parrocchiali: posso testimoniarlo per conoscenza diretta. Non ci sono riusciti perché ”The Passion” racconta la verità storica del Cristo, ucciso e risorto, esattamente com’è andata. «It is as it was», proprio come ha detto il Papa.