Giusy Cinardi, Macchina del Tempo, aprile 2004 (n.4), 14 aprile 2004
Renne che passeggiano placide per Piccadilly Circus, stalattiti che vengono giù dai piloni del London Bridge, Buckingham Palace come un enorme palazzo di ghiaccio
Renne che passeggiano placide per Piccadilly Circus, stalattiti che vengono giù dai piloni del London Bridge, Buckingham Palace come un enorme palazzo di ghiaccio. Oppure l’Empire State Building che svetta bianchissimo sulle strade di New York, mentre in giro per la Fifth avenue si vedono solo pochi coraggiosi imbacuccati e impellicciati. Sembrerebbero scene da film di fantascienza, e nel caso di New York è così, visto che questa è l’ambientazione di The day after tomorrow, ultimo film di Roland Emmerich (quello di Indipendence day) nelle sale a maggio: il pianeta distrutto dalle disastrose conseguenze di un clima impazzito. Molto più veritiera la visione della città del Big Ben: insomma c’è chi la Londra del 2100 la vede proprio così. Come Stefan Rahmstorf, direttore dell’Istituto climatico di Potsdam, in Germania, e molti suoi colleghi. Secondo i calcoli dei climatologi tedeschi, infatti, nel giro di 100-150 anni la temperatura del Nord Europa potrebbe abbassarsi di 5-10 gradi e quella della Germania di 3-4. Sembrerebbe poca cosa, però, avvertono da Potsdam, il cambiamento non sarà graduale, ma «improvviso e traumatico». E poi c’è dell’altro. Dall’ultima glaciazione, in 12 mila anni, la temperatura media del pianeta è aumentata di 6 gradi: il che vuol dire 0,6 gradi ogni 1.200 anni. Ecco allora che anche 3 gradi in più in cent’anni diventano un’enormità. Ma è vero o no che stiamo andando incontro a ”una nuova era glaciale”? A detta del colonnello Mario Giuliacci «dal punto di vista meramente scientifico è possibile. Ma attualmente non ci sono sintomi. Diciamo che servirebbe tempo, almeno un secolo». Quindi tra poco più di cent’anni potremmo dover vivere come alcuni dei nostri antenati? Il discorso, in verità, è un po’ più complicato. A voler essere precisi, per ”era glaciale” s’intende un intervallo di tempo in cui larghe aree della superficie del globo sono coperte da ghiaccio. Il termine descrive lunghi e freddi intervalli nella storia della Terra (da decine a centinaia di milioni di anni) durante i quali i ghiacciai crescono e poi decrescono. E ancora, periodi di tempo più brevi (decine di migliaia di anni) in cui i ghiacciai sono quasi alla loro massima estensione: si parla allora di ”glaciazioni”. Il discorso che fanno a Potsdam è però leggermente diverso: quella che sta per arrivare non sarebbe una glaciazione, nel senso che i ghiacci non sono in questo momento alla loro massima estensione, ma al contrario si stanno sciogliendo. Insomma, la temperatura a oggi non si sta abbassando, ma aumenta, quindi la ”glaciazione” prossima ventura sarà un po’ atipica. Cerchiamo di capire come un aumento della temperatura alla lunga possa portare a un freddo polare. Vincenzo Ferrara, responsabile della sezione Clima dell’Enea: «La Terra è sferica e il clima dipende dalla latitudine: è diverso ai Poli o all’Equatore. A parte questo, però, può cambiare perché varia l’energia che arriva dallo spazio o la situazione all’interno del ”sistema Terra ”. L’orbita terrestre è ellittica, e l’ellisse s’allunga e s’accorcia nel corso del tempo. Queste variazioni, che avvengono ogni 120-130 mila anni, modificano il calore che arriva dal Sole: ne arriva di più in certi periodi, di meno in altri, e questo provoca periodi di glaciazione e periodi d’interglaciazione più caldi. L’asse di rotazione terrestre, inoltre, non ha un’inclinazione fissa a 23 gradi, ma oscilla. E questo fenomeno è collegato con la precessione degli equinozi» (vedi disegno nella pagina a fianco). Il bilancio energetico terrestre, infatti, può essere modificato anche da fattori interni. Spiega Ferrara: «L’atmosfera, ad esempio, intrappola la radiazione solare: è l’effetto serra naturale, che ha permesso la vita sulla Terra. Senza questo filtro, la temperatura media sul nostro pianeta sarebbe di 19 gradi sottozero, e non di 15 sopra». Insomma, sarebbe come vivere su Marte. «Da aggiungere poi la deriva dei continenti e i vulcani» continua l’esperto «che buttano nell’aria pulviscolo e schermano l’energia dal sole. Sono ancora fattori naturali». Chiaro che su queste cose non abbiamo alcun potere. è su altro che la mano dell’uomo si fa sentire, e tanto. «Se immetto nell’atmosfera gas che hanno la proprietà d’assorbire calore, cambio la capacità termica del sistema, ed è quello che stiamo facendo: l’attività umana sta inducendo una perturbazione che provoca un effetto serra aggiuntivo all’effetto serra naturale» avverte Ferrara. Capire come funziona l’effetto serra è semplice: i raggi solari arrivano sulla Terra e vengono catturati dal suolo; il suolo si riscalda e restituisce quest’energia all’atmosfera. Come? In parte attraverso gli spostamenti di aria, il 70% come energia elettromagnetica negli infrarossi (che non vediamo). Questa perdita di energia nell’infrarosso non è totale perché il vapore acqueo e i gas serra sono come delle spugne e la catturano: l’80-85% viene quindi di nuovo restituito alla Terra. Aumentare l’effetto serra è come infittire la spugna. E l’uomo l’ha fatto, con l’emissione di gas serra, anidride carbonica (CO2), metano ma anche protossido di azoto e altri gas che assorbono calore, riscaldando nel complesso l’atmosfera. Fa sapere Ferrara: «A livello globale le emissioni di gas serra sono equivalenti a 6,5 miliardi di tonnellate di carbonio (cioè 24 miliardi di tonnellate di CO2). Il sistema naturale riesce ad assorbirne al massimo 3 all’anno: gli altri 3,5 rimangono nell’atmosfera e s’accumulano (il gas che emetto oggi può rimanere fino a 200 anni!). E in più l’emissione cresce. La concentrazione di CO2 è passata da 280 a quasi 380 parti per milione nel giro di quasi un secolo. aumentata del 35% in 100 anni. Questo effetto serra aggiuntivo è pari, in termini quantitativi, a 2,5-2,6 Watt/metro quadro; l’energia media dell’atmosfera è di 170-180 Watt/metro quadro: si tratta quindi di una perturbazione dell’1-2%». Questo vuol dire che è un effetto che non si vede sulla variabilità annuale, ma tra una stagione e l’altra, tra un anno e l’altro. E nell’arco di un secolo s’è visto che la temperatura è aumentata di 0,6 gradi. Avverte Giuliacci: «Non è modesta cosa: la piccola glaciazione, quel periodo molto freddo tra i 1600 e 1800, avvenne per un deficit d’energia solare, un’attenuazione dello 0,5 per cento». Ma rimane ancora la domanda principale. Se fa più caldo e sembra certo che continuerà ad andare così, com’è possibile anche solo pensare che a Londra si vedranno passeggiare le renne tra 150 anni? «è come un immenso effetto domino» spiega Giuliacci. «Un meccanismo di precisione in cui appena si tocca anche solo un fattore, cambia tutto». La temperatura aumenta, i ghiacci si sciolgono e immettono acqua dolce nel mare, andando a toccare uno dei fattori più importanti tra quelli che governano il clima globale: la corrente del Golfo. Giuliacci: «è una corrente d’acqua calda (in superficie, intorno alla fascia tropicale, sui 26-28 gradi), che parte dalla fascia equatoriale, punta verso i Caraibi e poi va direttamente verso il Nord Atlantico. Man mano che viaggia verso nord, essendo acqua calda tende a evaporare: evaporando aumenta la sua concentrazione di sale. Giunte ai 55 gradi di latitudine, le acque della corrente del Golfo sono ancora abbastanza calde, ma più dense e dunque sprofondano a 2.000-3.000 metri; si raffreddano e tornano al punto di partenza, chiudendo il cerchio per poi riemergere all’Equatore. Questo è il nastro trasportatore del Nord Atlantico. Che poi s’unisce insieme a quello del Sud Atlantico e degli altri oceani». Se è vero che i ghiacci polari si stanno sciogliendo, ed è vero, danno una maggiore immissione d’acqua dolce: quella quantità d’acqua che stava per sprofondare, continua perciò a galleggiare. Se alla corrente del Golfo s’impedisce di sprofondare, non si chiude il ciclo: non arrivano più acque calde verso le medie e alte latitudini; Inghilterra, Islanda e Norvegia sarebbero conquistate dai ghiacci. Come andrà a finire? Secondo Giuliacci «non si sa ancora che piega prenderanno le cose. La temperatura potrebbe stabilizzarsi perché la natura trova sempre il modo d’adattarsi. Potrebbe aumentare: gli oceani evaporerebbero di più, aumenterebbero le nuvole, quindi la radiazione solare arriverebbe meno, e la temperatura diminuirebbe. Ma potrebbe anche essere che, aumentando il vapore acqueo, quindi il principale gas serra, la restituzione d’energia infrarossa aumenti e così la temperatura. Insomma proprio non sappiamo quale scenario si verificherà». Giusy Cinardi