Mario Torre, Macchina del Tempo, aprile 2004 (n.4), 14 aprile 2004
Siamo soli nell’universo? Forse no. Molte delle stelle osservabili di notte potrebbero ospitare forme di vita complesse, perché le loro caratteristiche sono adatte a consentire l’evoluzione biologica
Siamo soli nell’universo? Forse no. Molte delle stelle osservabili di notte potrebbero ospitare forme di vita complesse, perché le loro caratteristiche sono adatte a consentire l’evoluzione biologica. Non è fantascienza, ma il risultato di due ricerche. La prima è stata condotta da astronomi dell’Università del Nuovo Galles del Sud e dell’Università di Tecnologia Swinburne di Melbourne. La seconda arriva da un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Arizona: l’équipe ha stilato una lista di stelle che hanno un’altissima probabilità di possedere pianeti attorno a sé. Ma andiamo con ordine: quali caratteristiche possiedono le stelle adatte alla vita? Spiega Brad Gibson, dell’Università di Tecnologia Swinburne: «La stella deve essere singola e non appartenere a un sistema doppio o multiplo. Questa condizione è necessaria per una questione di stabilità delle orbite planetarie. Se la stella non è singola, le orbite dei suoi pianeti sono soggette a perturbazioni e quindi i pianeti subiscono drammatici cambiamenti nelle loro condizioni climatiche. Il Sole, poi, deve essersi formato in un ambiente ricco di metalli. Se così non fosse, i pianeti non avrebbero un contenuto di metalli sufficiente a sviluppare sostanze chimiche complesse; sarebbero composti essenzialmente di idrogeno ed elio, un po’ come i pianeti giganti del sistema solare, e quindi poco adatti alla vita. Deve trattarsi poi» continua Gibson «di una stella che si trova nella fase stabile della propria esistenza, quella in cui al suo interno l’idrogeno viene trasformato in elio». Ma non è tutto. La stella, infatti, deve rimanere stabile per un tempo sufficientemente lungo da garantire che la vita abbia modo di nascere e svilupparsi. Dall’esperienza terrestre possiamo affermare che tale tempo deve essere dell’ordine dei miliardi di anni. Non sono accettabili le stelle di grande massa, le quali evolvono troppo rapidamente, in poche centinaia (o addirittura decine) di milioni di anni. Sono quindi da considerare ”papabili” le stelle che abbiano una massa compresa tra 0,7 e 1,5 volte quella del nostro Sole. La stella, infine, deve possedere un sistema planetario. Poiché non è ancora possibile osservare pianeti di altre stelle, indicazioni in tal senso si possono trarre dalla presenza di sistemi di polveri circumstellari, cioè di dischi che circondano la stella osservata e dai quali si formano con il tempo i pianeti. A questo riguardo, le osservazioni della nebulosa di Orione effettuate da Robert O’Dell con il Telescopio Spaziale Hubble suggeriscono che il 50% circa di stelle in formazione mostra la presenza di tali dischi. Tuttavia, perché la probabilità che la vita nasca sia ragionevolmente elevata, è necessario che il sistema planetario che si forma comprenda un numero consistente di pianeti, non meno di una decina, alcuni dei quali di tipo terrestre. Secondo la ricerca, molte centinaia delle stelle che si possono vedere a occhio nudo di notte, che per la maggior parte sono relativamente molto vicine a noi, potrebbero avere pianeti simili alla Terra, a Marte e a Venere. «Ciò che abbiamo individuato sono i luoghi in cui cercare forme di vita nella nostra galassia, perché le condizioni sono simili a ciò di cui riteniamo che la vita necessiti sulla Terra. In ogni caso, nei vent’anni a venire il prossimo passo sarà tentare di accertare se la vita effettivamente vi esiste o no» ha aggiunto Gibson. Come dicevamo in apertura del servizio, a questa ricerca se ne è affiancata recentemente un’altra, condotta dall’astrobiologa Margaret Turnbull per conto del Seti (l’Istituto per la Ricerca della Vita Intelligente) che spiega: «Il compito che mi venne assegnato era quello di capire se la Via Lattea era un deserto con un’unica oasi, la nostra Terra, oppure se stelle con pianeti abitabili sono la norma». Turnbull ha studiato le caratteristiche di 120.000 astri i cui parametri vennero definiti dal satellite Hypparcos e attraverso un’analisi al computer ha scovato che quelle molto simili al nostro Sole sono ben 17.000. «Stiamo definendo un gruppo di 30 stelle che possiedono le caratteristiche più vicine alla nostra stella madre e che a partire dal 2015 il telescopio della Nasa TPF (Terrestrial Planet Finder), che verrà posto al di fuori dell’atmosfera terrestre, inizierà a scandagliare. Durante la sua vita, prevista di 5 anni, il telescopio sarà in grado di rivelare pianeti terrestri attorno a circa 150 stelle fino a una distanza di 45 anni luce e potrà analizzare le caratteristiche atmosferiche di tali pianeti per capire se siano abitabili o abitati. Per realizzare questo obiettivo cercherà nell’atmosfera l’ossigeno (elemento che viene prodotto della fotosintesi clorofilliana), ma non solo. L’ossigeno infatti non basta per una rivelazione univoca di un ambiente biologico. Esistono anche processi non biologici che producono atmosfere ricche di ossigeno. Il Planet Finder controllerà anche i livelli di ozono e di gas come l’ossido di azoto o il metano. Solo la presenza contemporanea di questi elementi potrà dare una conferma ragionevolmente certa della presenza di vita». E l’acqua? «Nel selezionare le stelle» continua Turnbull «ho dato grande importanza alla presenza dell’acqua. Per sviluppare la vita come la conosciamo noi, un pianeta deve avere una temperatura tale da avere acqua liquida alla superficie. Per questo i pianeti non devono essere né troppo vicini, né troppo lontani dalla stella e quindi ho cercato stelle che permettano insediamenti di questo tipo». D’altra parte, questa ricerca presuppone un dato di fatto: l’esistenza di pianeti attorno alle altre stelle. Anche perché, se fino a una decina di anni fa si sapeva che la nostra galassia aveva duecento miliardi di stelle, in realtà si conoscevano solamente nove pianeti: solo ed esclusivamente quelli che ruotano attorno al nostro Sole. Circa il 10% delle stelle della Via Lattea (la nostra galassia che ne contiene da 150 a 200 miliardi) hanno infatti caratteristiche tali che attorno a esse è possibile che esistano pianeti dove si è sviluppata la vita. La Via Lattea è una galassia a spirale. Le sue stelle, cioè, sono disposte a formare una struttura sottile (il disco) che ricorda quella di un’enorme spirale di circa 100.000 anni luce di diametro. Lo spessore del disco, viceversa, è più piccolo: 2.000 anni luce. Al centro vi è un rigonfiamento di circa 16.000 anni luce di spessore attorno al quale si avvolgono i bracci costituiti oltre che di stelle anche di enormi quantità di gas e polveri. nei bracci che ancora oggi avviene un’intensa attività di formazione stellare. Ed è in uno di essi, quello di Orione, che si trova il sistema solare, a circa 28.000 anni luce dal centro, cioè a circa tre quinti del raggio galattico. Tutto attorno alla nostra galassia si estende un alone quasi sferico di circa 150.000 anni luce di diametro al cui interno sono dislocati solo ammassi di stelle molto vecchie, i cosiddetti ammassi globulari. La regione in cui gli studiosi hanno trovato le ”stelle della vita” e che è stata chiamata ”zona galattica abitabile” ha la forma di una ciambella in cui è contenuto anche il Sole e ha per centro il cuore della galassia. Le ricerche hanno permesso la scoperta di oltre 100 pianeti extrasolari. Come ci si è riusciti? Giusi Micela, astrofisica presso l’Osservatorio di Palermo, spiega: «A oggi non abbiamo strumenti sia sulla Terra che nello spazio in grado di osservare direttamente un pianeta extrasolare, perché la luce dell’astro lo impedisce e l’angolo tra il pianeta stesso e la stella madre è troppo piccolo per riuscire a isolarlo dalla luce della stella stessa. Per questo motivo si utilizzano metodi indiretti». Così, ad esempio, se un pianeta ruota intorno a una stella, ne modifica, anche di poco, il moto. Osservando le variazioni di velocità della stella si risale alla presenza del pianeta. Questo metodo ha permesso la scoperta di pianeti come Giove o Saturno. Un pianeta di questo tipo è stato scoperto da un gruppo italiano, guidato da Raffaele Gratton dell’Osservatorio di Padova con osservazioni fatte al telescopio nazionale Galileo alle isole Canarie. Si tratta di una scoperta molto interessante: il pianeta che orbita attorno alla stella denominata HD219542B possiede dimensioni molto simili a quelle di Saturno e ruota attorno al suo Sole a una distanza che è circa la metà della distanza tra il Sole e la Terra. Ma dove sono gli altri pianeti? Risponde Micela: «Il più vicino a noi si trova attorno alla stella Epsilon Eri, a circa 10 anni luce di distanza, mentre la maggior parte si trova molto più lontano, fino a 100 anni luce dal Sole». Impossibile osservarli: il progetto di un telescopio che era stato annunciato dall’Agenzia spaziale europea è stato recentemente cancellato per mancanza di fondi. Gli occhi, comunque, restano puntati al cielo: nella stazione di Medicina, in provincia di Bologna, c’è il più importante complesso radioastronomico italiano, entrato in funzione nel 1965 e gestito dall’Istituto di radioastronomia (Ira) del Cnr di Bologna: è un insieme di strumenti costruiti per la ricezione delle onde radio emesse dai corpi celesti e partecipa alle ricerche del Seti. La struttura (composta dal più grande radiotelescopio italiano, detto la ”Croce del Nord”, e da un radiotelescopio a paraboloide con una superficie riflettente di 32 metri di diametro) fa parte della rete mondiale Very long baseline interferometry (Vlbi), una tecnica osservativa con la quale si ottengono risoluzioni d’immagine radio ad altissima precisione. Quali altri progetti vi sono in atto per cercare la vita extraterrestre? La missione Kepler della Nasa è destinata alla rivelazione dei transiti di pianeti extrasolari. Il satellite, il cui lancio è previsto per il 2006/2007, porterà a bordo un telescopio di 1 m di diametro che osserverà 100.000 stelle simili al Sole per quattro anni. Tra i progetti più ambiziosi c’è il satellite europeo Gaia, che dovrebbe essere lanciato entro il 2012 e posizionato in orbita attorno al Sole, a 1,5 milioni di km dalla Terra. Sarà costituito da tre telescopi di 1,7 m di apertura: la sua risoluzione dovrebbe essere tale da consentire di distinguere una moneta da 2 euro alla distanza della Luna e permetterà di rivelare ogni settimana almeno 30 nuovi pianeti extrasolari. Vi è poi il progetto europeo Darwin. Un insieme di 5 telescopi di 1,50 m di diametro posti nello spazio a 750 milioni di km dal Sole per evitare qualsiasi influenza della nostra stella. Questi telescopi potranno mettere in luce la presenza dell’acqua e dell’ozono. La rilevazione di quest’ultimo sarebbe importante perché indice della presenza di ossigeno nell’atmosfera del pianeta osservato. Insomma, entro una quindicina d’anni sapremo se siamo soli. Mario Torre