Andrea Divo, Macchina del Tempo, aprile 2004 (n.4), 14 aprile 2004
La paura del mare è un patrimonio collettivo di tutti gli uomini. Un terrore ancestrale che li ha spinti, per giustificarla, a popolare le acque di divinità terribili e feroci
La paura del mare è un patrimonio collettivo di tutti gli uomini. Un terrore ancestrale che li ha spinti, per giustificarla, a popolare le acque di divinità terribili e feroci. Anche in epoche più recenti, finita l’era degli dei, la paura non voleva saperne di andarsene: ed ecco i mostri, la cui esistenza veniva confermata dai racconti dei marinai e dalle leggende. L’omerico Ulisse aveva Scilla, il mostro che rendeva pericoloso il passaggio nello Stretto di Messina. Perseo la sua Medusa, donna con i capelli di serpente. Anche i primi manoscritti sono ricchi di riferimenti ai misteri del mare: un papiro etiopico su Alessandro Magno descrive la sua famosa immersione in una campana e la popola di creature sconosciute e terribili mostri. Uno dei quali, addentato il barile in cui era rinchiuso, gli sfilò accanto per ben due giorni tanto era lungo. La Bibbia ospita almeno due mostri: la balena di Giona (vedi illustrazione nella pagina a fianco in alto), che dà riparo nel suo ventre al profeta per tre giorni prima di rigettarlo sulla terraferma, e il Leviatano, un grande serpente guizzante, che Giobbe descrive «grande come il potere dello Stato». Il Medio Evo è pieno di sirene, tritoni e pesci giganti, descritti in modo confuso: c’è la remora, che fermava le navi facendo morire di fame e di sete gli equipaggi. Ci sono i Kraken, lunghi un miglio e mezzo. Ci sono le baleneisola, sulle quali i marinai sbarcano erroneamente, vi accendono il fuoco e vi passano la notte. I marinai scandinavi conoscevano bene i crudelissimi Springhual, che assalivano le navi per mangiarne l’equipaggio, e i Physeter, che ritti sulle onde facevano capovolgere qualsiasi nave. Ma dobbiamo arrivare al Rinascimento per avere le prime descrizioni dettagliate. Lo scienziato Rondelet nella sua ”Universalis Piscium Historia”, edita nel 1554, parla di un favoloso pesce-monaco: « stato catturato in Norvegia un mostro marino che fu da tutti chiamato monaco per il suo viso umano. La testa era liscia e ben rasata; sulle spalle aveva una specie di cappuccio da monaco; due lunghe pinne al posto delle braccia, e il corpo finiva con una lunga coda». Lo stesso Rondelet accenna al pesce-vescovo: «Nel Mar Baltico fu preso nel 1433 un uomo marino dall’aspetto di un vescovo, con il pastorale e gli altri ornamenti... permise a molti di toccarlo, specialmente ai vescovi, ai quali dimostrò di portar rispetto. Entrato in acqua salutò tutti, e, data la benedizione con un segno di croce, si tuffò in mare e scomparve». Da quel momento la letteratura non smise più di evocare i grandi mostri del mare come protagonisti delle più suggestive avventure. Melville creò Moby Dick (vedi illustrazione nella pagina a fianco), la balena bianca protagonista della titanica lotta con il capitano Achab, baleniere. Swift, Coleridge, Stevenson, Verne, Salgari descrissero terribili mostri in continua lotta con l’uomo, capaci di affondare anche la più grande delle navi stritolandole nelle loro spire. Ma la storia dei mostri non doveva finire con l’Ottocento: anche nel secolo scorso giornali popolari come ”La Tribuna illustrata”, il ”Giornale illustrato di viaggi” o la ”Domenica del Corriere” riempirono le proprie copertine con notizie suggestive e inquietanti: ritrovamenti di pesci mostruosi o aggressioni di esseri marini giganteschi. Giganteschi almeno come Nessie (vedi illustrazione qui sotto), l’ormai leggendario mostro acquatico che da almeno un secolo vivrebbe, indisturbato, nelle acque fredde del lago scozzese di Ness: è forse l’ultimo caso di mostro marino leggendario, protagonista di racconti tra realtà e fantasia e capace di calamitare sulle rive del tristissimo specchio d’acqua nordico vere e proprie folle di appassionati, speranzosi nell’improvvisa comparsa del suo caratteristico, lungo collo. Fotografato o meno che sia stato, Nessie e tutti gli altri mostri che l’uomo ha visto (o immaginato) non sono altro che l’espressione di un sentimento, antico come la storia: la paura dell’ignoto. E non esiste davvero ambiente più misterioso di quello marino: l’unico palcoscenico, ormai, dove poter ambientare le storie di mostri e di paura delle quali abbiamo irresistibilmente bisogno.