Andrea Divo, Macchina del Tempo, aprile 2004 (n.4), 14 aprile 2004
I mostri marini più recenti e insieme più celebri si contano sulle dita di una mano. Il caso più singolare e noto è forse quello dell’insolita pesca del 25 aprile 1977 da parte della Zuiyo-maru, un peschereccio giapponese nelle acque al largo della Nuova Zelanda
I mostri marini più recenti e insieme più celebri si contano sulle dita di una mano. Il caso più singolare e noto è forse quello dell’insolita pesca del 25 aprile 1977 da parte della Zuiyo-maru, un peschereccio giapponese nelle acque al largo della Nuova Zelanda. Al momento di sollevare le reti, il capitano si accorge di aver imbarcato qualcosa di insolito. Si fa largo tra le maglie e vede l’incredibile: la carcassa in decomposizione di un enorme animale. Lunga più di dieci metri, ha un aspetto assolutamente unico: quattro zampe simili ad ali, una piccola testa, un lungo collo e una coda altrettanto lunga. A bordo dell’imbarcazione c’è un oceanografo, che scatta qualche foto e prende velocemente alcune misure, prima che il corpo venga ributtato in mare. Di cosa si trattava? La follia collettiva si impadronisce dell’intero Giappone. La teoria parla dei resti di un Plesiosauro, un discendente dei dinosauri che ancora, secondo qualche studioso, vivrebbe nelle profondità marine, il ritrovamento diventa talmente celebre da meritarsi persino un francobollo, emesso dalle poste di Tokio. Poi cade nel dimenticatoio: abbastanza velocemente da far passare sotto silenzio la notizia che il corpo, in un momento successivo, anche grazie all’analisi del Dna, viene identificato come quello di un Cetorhinus maximus, detto anche squalo balena. Un altro caso leggendario ha un nome africano: Mokele Mbembe. Di che si tratta? Dell’ossessione di una vita per il dottor Roy Mackal, zoologo dell’Università di Chicago. Gli anni Ottanta di Mackal e della sua équipe trascorrono nelle paludi del Congo, dove la leggenda vuole viva il discendente degli antichi brontosauri: un animale enorme, costantemente immerso nell’acqua, abile nello scacciare eventuali disturbatori con un veloce colpo della pesantissima coda. Secondo Mackal, il Paese centrafricano non ospita solo un dinosauro: c’è anche Emela-ntouka, ”l’uccisore degli elefanti”, simile a un triceratopo, lo Mbielu-mbielu-mbielu, o ”animale con i paletti sulla schiena”, identico al preistorico stegosauro. E poi lo Nguma-monene, ”il grande serpente”, Ndendeki, una tartaruga gigante, e Mahamba, un coccodrillo colossale. Molto più attendibile e reale, invece, l’identikit dell’Architeuthis dux, o calamaro gigante. Questo leggendario mostro marino ha trovato conferma della sua esistenza soprattutto negli ultimi anni, quando ricerche oceanografiche e fortunati ritrovamenti (soprattutto sulle spiagge australiane e neozelandesi) di resti senza vita hanno confermato i dati essenziali. Il più sorprendente tra tanti, lo spiaggiamento di una femmina avvenuto il 20 luglio del 2002 a Hobart, in Tasmania. Era un vero mostro: un lungo involto cilindrico lungo 20 metri, con tentacoli da 15 e pesante tre quintali. Decisamente troppo per crederla solo una banale curiosità. Chi nel mare aveva visto tentacoli, insomma, aveva ragione.