Andrea Divo, Macchina del Tempo, aprile 2004 (n.4), 14 aprile 2004
«Storia di mare»: e subito si pensa a una leggenda incredibile, fatta di avventure epiche e feroci battaglie
«Storia di mare»: e subito si pensa a una leggenda incredibile, fatta di avventure epiche e feroci battaglie. Con almeno un enorme, feroce mostro degli abissi. Incredibili o meno, i mostri marini sono miti che anche oggi, nel Ventunesimo secolo, conservano il loro fascino e la loro suggestione. Perché se la terraferma, ormai, grazie a esploratori e satelliti, è stata completamente esplorata, lo stesso non si può dire degli oceani: ambienti ancora largamente inesplorati, difficili da raggiungere, dove anche gli occhi più indiscreti e precisi, quelli delle sonde che orbitano attorno alla Terra, penetrano con grande difficoltà. Cosa c’è sotto le onde che increspano la superficie? Semplicemente, una collezione infinita di forme di vita. I ricercatori oggi sono d’accordo nell’affermare che probabilmente l’uomo non riuscirà mai a catalogare tutte le forme di vita del mare. Un esempio? In tre metri cubi di barriera corallina nel territorio della Nuova Caledonia, nel Pacifico Meridionale, una ricerca accurata ha recentemente trovato ben 130mila molluschi appartenenti a 3.000 specie diverse. Molte delle quali assolutamente sconosciute fino a quel momento. Una ricchezza di vita che è sempre stata propria dell’ambiente marino, anche in epoche remote. E anzi, è proprio nella preistoria che, sotto la superficie del mare, sono vissuti gli animali più terribili e affascinanti: i veri mostri marini. Una cavalcata tra i più feroci e singolari predatori che abbiamo mai nuotato nelle profondità degli oceani, ricostruiti in modo perfetto grazie alle meraviglie dell’animazione elettronica e della computer graphics. Il viaggio nel tempo inizia dal periodo Triassico, 230 milioni di anni fa: era l’epoca del Notosauro, un antenato del moderno coccodrillo, affamato di piccoli pesci e di teneri molluschi. O del bizzarro Tanystropheus, un rettile carnivoro lungo fino a sei metri, con un collo lunghissimo e un corpo affusolato e agile. Ma anche di un predatore ancora più pericoloso: il Cymbospondylus, un rettile molto simile a un delfino ma dotato di una potentissima e affilatissima dentatura. Ma erano questi gli animali più pericolosi che mai abbiano popolato i nostri mari? Un salto indietro nel passato remoto, 200 milioni di anni fa, ci dimostra il contrario: nel periodo Ordoviciano, 450 milioni di anni fa, tutto era più ostile e l’atmosfera velenosa impediva la vita sulla terraferma. In mare, pericoli mortali: il Megalograptus, o scorpione di mare, mortale perché dotato di affilate lame e perché abituato a muoversi in grandi gruppi. L’Ortocona gigante, un calamaro di 11 metri infilato in una lunga corazza protettiva e capace di assalire qualsiasi altro animale. Diversissimi i mostri del periodo Devoniano, 100 milioni di anni più tardi: il mare era dominato da pesci corazzati, ricoperti di grandi placche ossee capaci di proteggerli da qualunque avversario, come il Dunkleosteus o lo Stethacanthus. Diversi ancora i mostri dell’Eocene, molto più vicini a noi: milioni di anni orsono le acque erano frequentate dall’Arsinoitherium, un mammifero simile al moderno rinoceronte, ma soprattutto, in mare più aperto, dal Basilosauro, una grande balena carnivora lunga 20 metri. Provate a immaginare: come due autobus. Nel Pliocene, 4 milioni di anni fa, i mostri erano ancora diversi: il più terrificante, il Megalodonte, altro non era che l’antenato dei moderni squali: lungo fino a 16 metri, aveva una bocca grande più di due metri, capace di aggredire qualsiasi preda. Ma i mostri in assoluto più grandi e pericolosi appartengono senza dubbio al periodo Giurassico, 155 milioni di anni fa. Un mondo fatto di giganti marini, incluso il Leedsichthys, il pesce più grande mai apparso negli oceani: una carpa lunga 30 metri, pacificamente dedita alla raccolta del cibo per lei più adatto, il krill, i minuscoli crostacei che da sempre popolano il mare appena sotto la superficie. E il Liopleurodonte, il più grande predatore di tutti i tempi: un rettile marino lungo fino a 25 metri e dotato di mascelle incredibilmente lunghe e robuste. E oggi? Cosa popola i mari dei nostri giorni? L’idea che nelle profondità degli oceani ancora si nascondano enormi animali feroci è tutt’altro che tramontata. Anzi: anche oggi non conosciamo affatto questo mondo misterioso e inesplorabile. Che ha tutt’altro che finito di presentarci le sue sorprese, come dimostrano le cifre. Da anni i biologi marini sono impegnati in un vero e proprio censimento delle specie marine. Da oltre un ventennio il bilancio, a fine anno, è sempre lo stesso: almeno 160 nuove specie di pesci vengono aggiunte ogni 12 mesi all’elenco ufficiale, il CoML (Census of Marine Life, Censimento della vita marina), che finora ne contiene ben 15.300. Quando finiranno le novità? Per i prossimi 30 anni certamente no, dicono i ricercatori: e questo significa che almeno 5.000 diversi pesci devono ancora essere scoperti. A questo numero devono essere aggiunte diverse centinaia di migliaia di forme di vita marine: vermi, molluschi, meduse, microorganismi e alghe. Forme di vita che l’uomo non ha mai visto, ma che saranno certamente scoperte. Il totale? Forse ci arriveremo, dicono i biologi, attorno all’anno 2050: negli oceani, secondo le stime, vivono ben 210mila diverse forme di vita. Migliaia di animali differenti, dai minuscoli crostacei grandi come la capocchia di uno spillo alle colossali balene, in oceani sconfinati, dove l’occhio dell’uomo non penetrerà probabilmente mai. Come possiamo essere certi che, nelle profondità di qualche oceano, non si muova qualcosa di davvero unico e singolare? Magari un erede dei mostri della nostra preistoria? L’uomo si pone questa domanda da sempre: e da qualche tempo ha iniziato attivamente a scandagliare le profondità abissali, alla ricerca di una risposta. Tra i primi a farlo, l’equipaggio della nave inglese Pekin, in un chiaro giorno di dicembre del 1848. Doppiava il Capo di Buona Speranza, la punta più meridionale dell’Africa, quando apparve all’orizzonte una strana creatura nell’acqua. Il binocolo aiutò a vedere meglio: un enorme serpente, con una grande testa e grosse pinne. Due mesi prima un’altra nave, il Daedalus, aveva comunicato di avere visto un animale simile nella stessa zona. Il Pekin era lì per catturarlo: tra l’eccitazione generale una barca a remi, con un piccolo equipaggio preparato alla cattura, scese in mare per raggiungerlo. Il capitano, Frederic Smith, guardava preoccupato la scena da lontano: il misterioso animale avrebbe attaccato la barchetta? Dopo pochi secondi ebbe la risposta: il serpente marino non reagì minimamente. E non avrebbe potuto: si trattava, infatti, di un fascio di alghe, con una radice che vista da lontano poteva assumere l’aspetto di un collo e una testa. Era lo stesso serpente che il Daedalus aveva avvistato due mesi prima? Nessuno poté rispondere con esattezza, ma probabilmente sì: in mare giudicare un oggetto e le sue dimensioni è estremamente difficile. Per noi, sulla terraferma, è semplice renderci conto di quanto è grande un oggetto che vediamo da lontano: basta confrontarlo con altri oggetti vicini, di cui conosciamo la grandezza. Ma in mare è tutto diverso, manca qualsiasi termine di paragone. Solo le onde possono essere utili per fare un veloce confronto, ma la loro grandezza varia moltissimo, a seconda delle condizioni del tempo e del vento. E il loro rollio può persino dare l’illusione che un oggetto si muova, anche se è perfettamente immobile. Ecco perché i marinai del Daedalus, del Pekin (e di mille altre navi, in molte altre occasioni), anche se esperti, si ingannarono. Altri strani mostri marini non sono tronchi d’albero ricoperti di alghe, ma qualcosa di più inafferrabile: condizioni meteorologiche. Poco prima di una tempesta marina, per esempio, strati di aria a differente temperatura possono trovarsi l’uno sull’altro appena sopra alla superficie del mare. I due strati hanno anche una densità diversa tra loro. E questo fa sì che la luce rimbalzi tra di loro più volte, formando un miraggio. un semplicissimo fenomeno ottico che ha un effetto molto particolare: allunga moltissimo l’altezza di qualsiasi oggetto, un po’ come succede alla nostra immagine riflessa sugli speciali specchi deformanti dei luna park. E così può accadere che foche, balene, delfini, tronchi d’albero o bidoni di plastica appaiano come creature altissime, deformi e del tutto irriconoscibili. Lo sapevano bene persino gli antichi vichinghi, che spesso vedevano avvicinarsi ai loro drakkar (le lunghe navi con le quali raggiunsero persino l’America) queste strane visioni. Fieri e coraggiosi, però, avevano imparato a non spaventarsi: le consideravano un segnale divino che li avvertiva dell’arrivo di una tempesta. Gli dei non c’entravano davvero, ma la previsione meteorologica era esatta. Erano anni di continui avvistamenti, soprattutto lungo le coste degli Stati Uniti e del Canada. Qualche anno prima, il naturalista Constantin Samuel Rafinesque Schmaltz si era appassionato a questo studio e aveva in tutti i modi difeso la teoria del cosiddetto Gran Serpente. Basandosi sugli avvistamenti, aveva persino tentato una classificazione dei mostri marini: c’era il Megophias monstruosus, lungo circa 30 metri e davvero veloce nel muoversi sott’acqua. Il Pelamis chloronotis, flessuoso, verde, lungo anche 60 metri e decisamente «molto rumoroso». L’Octipos bicolor doveva essere un polipo gigante di quasi 10 metri, con una testa di almeno un metro e capace di alzarsi verticalmente sulla superficie del mare. E poi l’Octipos coccineas, di colore rosso, lungo una ventina di metri e dotato di una testa lunga e appuntita. Uno spettacolo da brividi. Negli anni seguenti, dei mostri marini si occupò l’olandese Antoon Oudemans, direttore del museo di scienze naturali de L’Aia. Accantonata l’idea di un enorme serpente, attorno al 1890 sostenne che i mari ospitavano un essere spaventoso: il Megophias megophias, un colossale leone marino lungo fino a 80 metri. Nel 1983 a scrivere è il biologo inglese Thomas Huxley: «Non vi è ragione per cui non si possano trovare in mare creature simili a rettili, lunghe 15 metri o anche più». Ma intanto la polemica era diventata tutt’altro che accademica: ormai anche il grande pubblico si era diviso tra sostenitori e detrattori del «serpente di mare». Persino il prestigioso quotidiano ”The Times” si sentì in dovere di dire la sua e pubblicò un articolo estremamente negativo. La fazione ”antimostro” arrivò a far pubblicare false testimonianze di apparizioni, subito scoperte, per coprire di ridicolo i sostenitori dei mostri marini. E, improvvisamente, gli avvistamenti delle terrificanti creature diminuirono: attorno al 1930 l’argomento era tornato a essere una speculazione tra studiosi. Come l’inglese Rupert Thomas Gould che, affascinato dal mistero di Loch Ness, decise di raccogliere gli avvistamenti più probabili e veritieri per capirne il responsabile. Tre i probabili mostri, secondo Gould: una foca dal collo lunghissimo, una tartaruga gigante o, infine, il Plesiosauro. Cioè un discendente diretto degli antichi dinosauri, sopravvissuto nelle profondità del mare fino ai nostri giorni. Ma lo studio più completo e moderno in materia arriva negli anni Sessanta, a opera dello zoologo belga Bernard Heuvelmans. Specialista nella ricerca di animali scomparsi, Heuvelmans pubblica l’opera ”Dans le sillage des serpents de mer”, davvero colossale. Raccoglie da cronache, giornali e altre fonti ben 587 testimonianze in un periodo di tempo abbastanza ampio, dal 1639 al 1964, e le analizza. In una sessantina di casi decide che si tratta di chiarissimi falsi, per altri sessanta, invece, trova una chiara spiegazione riferendosi ad animali conosciuti e scambiati per mostri, o a fenomeni naturali. Elimina poi altri 120 casi per insufficienza di particolari o per descrizioni troppo dubbie o fumose. Restano, insoluti e inspiegabili, 350 casi. Decisamente troppi per essere una coincidenza o un errore, secondo lo zoologo belga, che cerca allora di tracciare il ritratto dei responsabili. E ne trova ben nove tipi diversi. Per cominciare, c’è il tradizionale serpente di mare, dal collo lungo e dal corpo a forma di sigaro. Poi il coccodrillo gigante, lungo fino a 20 metri. Ma anche la Megalotaria, un’enorme foca dal collo allungato, l’Halshippus, un serpente dalla testa simile a quella di un cavallo e dotato di una folta criniera, l’Hyperhydra, un lungo serpente gibboso. E la Cetioscolpendra, una balena dotata di molte pinne sui fianchi, la superanguilla, abitante dei mari più profondi, il Plurigibbosus, un lunghissimo serpentone bicolore che appare soprattutto sulle coste inglesi. Chiudono l’elenco i cosiddetti sauri marini, forse sopravvissuti al periodo Giurassico, e i ventre giallo. Che non sarebbero che pesci giganti, o forse squali. Fantasie? Difficile liquidare tutto in questo modo. Anche perché le testimonianze continuano ad arrivare: come quella dell’americano John Ridgway, che il 25 luglio 1966, durante una traversata a remi dell’Atlantico, avvista un animale lungo almeno dieci metri. «Aveva un corpo fosforescente, come se fosse stato avvolto in tante luci al neon», dice il navigatore. Il mostro, poi, si immerge e sparisce. Tutto vero: perché non sempre si tratta di illusioni ottiche. E non bisogna neppure pensare a teorie strane: spesso a muoversi tra le onde c’è un animale che gli studiosi conoscono già. Sono mostri? Alcuni ci assomigliano davvero... Diciassette metri di lunghezza (come quattro automobili parcheggiate in fila!), 250 chili di peso, un corpo argenteo lungo e appiattito: è fatto così il pesce remo, abitante delle acque profonde dell’Oceano Atlantico, Pacifico e Indiano. Vive in profondità, tra i 20 e i 200 metri, e assomiglia a un’anguilla piatta e robusta. largo almeno 30 centimetri, con una lunga pinna dorsale rossa. Feroce? Tutt’altro: viene a galla solo quando è malato o ferito, ha una bocca piccolissima e senza denti e non sa davvero fare del male a nessuno. Le uniche cose davvero terrificanti sono lo strano aspetto e l’enorme lunghezza. Che hanno certamente tratto in inganno più di un osservatore. Una particolare specie di squalo, lo squalo frangiato, è un altro buon candidato al titolo di serpente di mare. Come il pesce remo ha una forma molto allungata, con una sola pinna dorsale. un animale con una storia molto lunga: è quasi un fossile marino. Sarebbe un candidato quasi perfetto per il trono di serpente marino se non fosse per un piccolo particolare: è, appunto, troppo piccolo. Il più grande esemplare mai ritrovato, infatti, non supera i due metri, dal naso alla punta della coda. Forse esiste, però, un parente di dimensioni maggiori: come quello pescato nel 1880 negli Stati Uniti dal capitano S.W. Hanna, uno squalo molto simile al frangiato, ma di ben 8 metri. Non si può escludere che da qualche parte, negli oceani, vivano esemplari ancora più grandi. Il terzo candidato al titolo di mostro è certamente il coccodrillo marino. Queste creature vivono nell’Oceano Indiano, nell’area dell’Asia sudorientale, e in Australia. Troppo piccole per meritare il titolo di mostro? Ne sono stati avvistati esemplari di oltre nove metri, lunghi come due automobili messe assieme, e pesanti anche più di una tonnellata. Quando sono affamati (e lo sono spesso) sono molto aggressivi. E possono attaccare chiunque: l’uomo, le imbarcazioni, anche i più grandi animali. Chi invece vuole i tentacoli non si può proprio lamentare: negli oceani più profondi, in tutto il mondo, cresce e vive il celebre calamaro gigante. Può raggiungere i 15 metri di lunghezza, ha dieci braccia e occhi grandi come piatti da cucina. Se la sua testa conica esce dall’acqua, magari accanto a uno dei grossi e lunghi tentacoli, può facilmente far pensare al leggendario serpente di mare. Anche perché non è un animale del tutto pacifico: nel 1875 la baleniera francese Pauline si imbatté in un capodoglio «con una creatura simile a un serpente avvolta strettamente attorno». L’equipaggio dichiarò che il serpente aveva stretto con tale forza il capodoglio da provocare la sua morte. Di cosa si trattava? Molto probabilmente non si trattava che del tentacolo di un calamaro gigante, mentre combatteva con la grande balena. E aveva vinto la sua battaglia. Anche lo squalo elefante (Cetorhinus maximus) è una creatura alla quale è legittimo dare il titolo di mostro. Soprattutto in un caso: quando è morto. il secondo animale del mare, in ordine di grandezza, dopo la balena azzurra: può arrivare a una lunghezza di 15 metri, e proprio come le grandi balene azzurre non fa altro che solcare le profondità filtrando continuamente l’acqua con la sua grande bocca, ricavandone quintali di minuscoli gamberetti come cibo. L’acqua esce dalla bocca dello squalo attraverso grandi fessure ai lati della testa. Ma questo elegante nuotatore diventa davvero mostruoso in una particolare circostanza: da morto. La testa si decompone rapidamente e regala alla carcassa un aspetto molto strano. Il corpo senza vita improvvisamente sembra essere appartenuto a un animale enorme, con un lungo collo sottile e una bocca a becco con diverse file di piccoli denti. stato forse il ritrovamento dei cadaveri di questi animali a far pensare che, nei nostri mari, i dinosauri non siano mai davvero scomparsi. Andrea Divo