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 2004  aprile 04 Domenica calendario

Caro Alessandro, in questi giorni la Città Santa è più bella che mai. Non so come sia il tempo da voi ad Atene, in questo inizio di primavera, ma qui fa ancora fresco

Caro Alessandro, in questi giorni la Città Santa è più bella che mai. Non so come sia il tempo da voi ad Atene, in questo inizio di primavera, ma qui fa ancora fresco. Sai, siamo a 800 metri sul livello del mare e di notte la temperatura si abbassa parecchio. I pellegrini però non si sono scoraggiati, arrivando a decine di migliaia (c’è chi parla di oltre centomila persone), come tutti gli anni in occasione della Pasqua, la festa più solenne della nostra religione. Se pensi che noi abitanti siamo trentamila in tutto (ventimila dentro le mura e diecimila nei sobborghi), puoi immaginarti come stiamo stretti in questi giorni! Negli alberghi e nelle case in affitto non c’è un buco libero e così tantissima gente s’è sistemata alla bell’e meglio, piantando una tenda a ridosso delle mura. D’altronde la nostra Legge parla chiaro: non è consentito uscire dall’area di Gerusalemme, se si vuole restare puri per offrire il sacrificio pasquale. Nel Tempio il sangue scorre a fiumi, i sacerdoti vi camminano dentro fino al ginocchio. I sagrestani hanno il loro bel daffare a regolare il traffico dei fedeli (tu non potresti entrare, agli stranieri è assolutamente proibito!) che entrano ed escono in continuazione, mentre i preti si danno il cambio per l’immolazione delle vittime: migliaia di agnelli, vacche, gazzelle, ma anche semplici colombe e piccioni per chi non ha soldi. un’organizzazione complessa: alcuni si incaricano di portare la legna, altri l’olio, altri farina di frumento, altri spezie dolci, altri ancora presentano le offerte bruciate delle parti di carne... Regna su tutto un silenzio generale, tanto che non diresti che ci sono più di settecento preti al lavoro, senza contare gli assistenti che conducono le bestie per il sacrificio. Ti dicevo del sangue. Bene, ne scorre così tanto che gli architetti che costruirono il tempio hanno ideato un ingegnoso impianto di drenaggio, con enormi cisterne d’acqua e una fitta rete di tubature, per convogliarlo verso il sottosuolo. C’è gente che ha fatto un sacco di strada per arrivare fin qui e ti assicuro che non è stata una passeggiata. Le poche vie che conducono a Gerusalemme non sono il massimo e basta un po’ di pioggia per trasformarle in trappole di fango. Ma il vero pericolo sono i banditi. Ce ne sono tantissimi, anche perché il deserto di Giuda è pieno di grotte naturali che sono ottimi nascondigli. In genere i briganti hanno di mira i grandi proprietari di terre e i cittadini ricchi, ma le carovane dei pellegrini sono un boccone troppo ghiotto per lasciarselo sfuggire! vero, i romani hanno rafforzato i pattugliamenti e installato posti di blocco ai crocevia più importanti, ma non è che la situazione sia cambiata più di tanto. Insomma, il pellegrinaggio a Gerusalemme è una vera impresa ma, credimi, ne vale la pena. La città è davvero splendida, con il palazzo di Erode rivestito di marmo e la fortezza Antonia che brillano al sole, le torri Ippico, Fasael e Mariamme che svettano al cielo, il teatro e l’ippodromo, le sinagoghe delle varie comunità che risuonano delle preghiere dei fedeli e il tempio, che sovrasta il panorama dalla rocca di Sion con la sua mole maestosa. Se poi guardi giù, tra le case, ecco gli innumerevoli mercati con i banchi colmi di spezie, stoffe, profumi e leccornie d’ogni tipo. In questi giorni i commercianti si fregano le mani: i nostri fratelli di Babilonia hanno l’abitudine di portare come souvenir alle loro donne preziosi abiti multicolori, mentre i campagnoli dei dintorni preferiscono le vesti di lino bianco. Anche i mercanti di schiavi riescono a piazzare bene la loro merce. Insomma, si vende e si compra che è un piacere, anche perché ogni pio israelita è obbligato a spendere a Gerusalemme la decima parte del proprio reddito. una cuccagna anche per le centinaia di mendicanti che affollano le vie, soprattutto intorno al tempio. Mai come a Pasqua mi rendo conto di come questa città è piena di scrocconi, di gente che campa sfruttandone le caratteristiche di santuario. Non sarei onesto, infatti, se ti nascondessi il lato oscuro di queste giornate. Insieme alle grida dei venditori, ai lamenti degli straccioni e ai canti dei pellegrini si sono mescolate le urla dei disgraziati che sono stati condannati a morte e che, dopo una robusta dose di frustate e torture varie, sono stati avviati al supplizio. Anche il giorno di Pasqua sulla montagnola chiamata Cranio, il luogo delle esecuzioni appena fuori la cerchia delle mura, i romani hanno crocifisso un mucchio di gente: criminali comuni, detenuti politici, banditi. Il solito spettacolo penoso. I parenti dei condannati che, a una certa distanza, assistono impotenti allo scempio del proprio caro, tra lacrime e grida. I passanti che gettano uno sguardo furtivo e tirano dritto. I curiosi che si fanno beffe dei crocifissi già mezzi morti. I soldati che si giocano ai dadi le vesti dei condannati e, se la sentenza lo prescrive, spezzano le gambe al disgraziato per accelerarne la morte. C’è chi prega e c’è chi maledice, chi ride e chi sbadiglia. In mezzo a due ribelli di nome Disma e Gesta, è finito appeso anche un certo Gesù di Nazareth. In cima alla croce avevano affisso una scritta con la motivazione della condanna: ”Il re dei Giudei”. Da quel che ho potuto sapere, costui era un predicatore della Galilea senza fissa dimora che negli ultimi anni s’era guadagnato una certa fama come guaritore. Sembra abbia fatto diversi miracoli, qualcuno dice addirittura che ha resuscitato dei morti! Uno di quei saltimbanchi di provincia che cercano in qualche maniera di uscire dall’anonimato, mi dirai tu. Certo, il suo arrivo a Gerusalemme non è passato inosservato. Pochi giorni fa è entrato in città accolto da una folla eccitata e festosa, che lo acclamava con canti e grida di gioia. Mi sa che l’hanno scambiato per il Messia! Come puoi immaginare, questo episodio ha indispettito non poco le nostre gerarchie ecclesiastiche, così gelose della loro autorità. Ma il bello doveva ancora venire. Il giorno dopo questo Gesù si presenta al tempio e si mette a rovesciare i tavoli dei cambiavalute e i banchi dei venditori di colombe, urlando come una furia: «Non fate della casa di Dio una spelonca di ladri!». Quelli che l’hanno visto in azione mi hanno detto che sembrava il profeta Geremia in persona. Dopo una provocazione del genere, i capi dei sacerdoti e i notabili della città avevano deciso a toglierlo di mezzo e aspettavano il momento buono. Hanno cercato di incastrarlo anche sulla questione della tassa all’imperatore, ma quello l’ha sfangata con eleganza: «Date a Cesare quel che è di Cesare. E a Dio quel che è di Dio». Della serie: non mi userete per le vostre dispute politiche, occupatevi piuttosto di ciò per cui siete stati nominati capi. (Detto tra noi, come dargli torto? Non se ne può più di capi così esosi e così intrallazzati con gli occupanti, che nemmeno loro scherzano con tributi e balzelli vari!). In ogni caso, questo Gesù doveva essere un bel piantagrane per inimicarsi sia quei rigoristi dei farisei, per la sua libertà nei confronti della Legge, che quegli aristocratici dei sadducei, per il suo atteggiamento verso il tempio. Fallito pure questo tentativo, alla fine hanno usato un metodo che funziona sempre: la soffiata. Giuda, uno dei seguaci di Gesù, lo ha venduto per trenta denari. Sono andati a prenderlo giovedì sera negli orti del Getsemani alle pendici del monte degli Ulivi. Questi galilei avevano appena finito di consumare con devozione la cena pasquale, il rito più importante perché ricorda la liberazione dalla schiavitù in Egitto. Te lo descrivo in breve. Anzitutto i commensali compiono alcuni gesti (lavarsi le mani, intingere il sedano nell’aceto, nascondere un pezzo di pane non lievitato, bere vino da una coppa, mangiare un pezzo d’agnello arrostito, un po’ d’erbe amare, della marmellata), mentre il capofamiglia recita le benedizioni; quindi i bambini chiedono, con una filastrocca, come mai questa notte è così speciale e gli adulti rispondono raccontando la storia dell’Esodo. A questo punto arriva la cena vera e propria; poi ancora una benedizione e la recita dei salmi di lode. È in quel momento che è comparsa la polizia del tempio. Comunque, quel Gesù doveva essere un tipo davvero pericoloso se è stato sottoposto a un doppio processo. Prima è stato torchiato per benino dalla Chiesa, poi dallo Stato. Il Tribunale supremo, presieduto da Caifa, in seduta notturna lo ha condannato a morte come bestemmiatore e corruttore del popolo. Poi, la mattina di venerdì, lo ha mandato da Ponzio Pilato. Sulle prime, il procuratore non sembrava troppo convinto della colpevolezza di quest’uomo. Forse voleva liberarlo, profittando dell’usanza pasquale di rilasciare un detenuto. Ma il popolino, opportunamente addestrato dai capi dei preti, continuava a gridare il nome di Barabba e alla fine il governatore (che ha i suoi interessi politici da difendere) ha ceduto, consegnando Gesù al plotone d’esecuzione. Per quel poveretto le ultime ore di vita non devono essere state uno spasso. Comunque, alle nove di mattina se ne stava già appeso. Credo sia morto poco dopo. Non doveva essere un tipo qualunque, se a seppellirlo ci ha pensato Giuseppe d’Arimatea, un membro del Tribunale supremo. Costui ha usato una tomba nuova situata nel campo del Vasaio, di sua proprietà. Le donne che facevano parte del giro di Gesù ne hanno preso il corpo e lo hanno pulito dalle piaghe, lo hanno imbalsamato con oli aromatici, di cui in città c’è gran commercio, poi lo hanno fasciato con delle bende e avvolto in un lenzuolo. Si dice che un altro notabile, Nicodemo, abbia procurato una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. Ma te lo dicevo che sono giorni speciali. In città corre voce che il suo cadavere sia sparito, ieri qualcuno parlava addirittura di resurrezione... Credo che siano solo chiacchiere di donne, che lasciano il tempo che trovano. Forse è meglio che anch’io mi metto alle spalle le feste e mi rituffo nella vita di tutti i giorni. A presto, tuo affezionato Davide marco burini (Le lettera riportata qui accanto è immaginaria, ma storicamente plausibile. Come un apocrifo, uno di quei testi che non furono inseriti nel canone dei libri ufficiali stilato dalla Chiesa, ma con un alto valore documentario. Anche se, delle decine di apocrifi del Nuovo Testamento, solo il Vangelo di Pietro e gli Atti di Pilato parlano della passione. Ma perché una lettera tra un gerosolimitano e un ateniese? Tra Palestina e Grecia, entrambe province dell’impero romano, c’era una fitta rete di scambi commerciali. Dal punto di vista culturale, l’influsso ellenistico sulla civiltà giudaica fu più importante di quello romano. Comunità ebraiche erano presenti a Corinto, Efeso e nelle isole dell’Egeo (Delo). Il secondo e terzo viaggio di Paolo (48-49 e 53 d.C.) narrati nel libro degli Atti sono, tra l’altro, una cronaca interessante dei legami tra Gerusalemme e la Grecia. Nel vangelo di Giovanni (12,20) si racconta di «alcuni Greci» saliti a Gerusalemme per la Pasqua: si tratta di pagani non circoncisi, dei semi-proseliti «timorati di Dio».)