2 aprile 2004
Tags : Moreno. Pasquinelli
Pasquinelli Moreno
• "Già cuoco d´osteria, già informatico, già rivoluzionario abile arruolato in ogni rivoluzione lontana da casa [...] Per certo, un´antica e mai sopita passione dei nostri servizi di intelligence. Civili, prima. Militari, poi. Civili e militari insieme negli ultimi due anni. Senz´altro, un marxista trotzkista, di quelli sulle cui convinzioni il tempo ha l´effetto dell´acqua sul vetro. Soprattutto - sono le parole di un investigatore che con Pasquinelli ha messo i capelli bianchi – ”un povero sfigato...”. Sì, ”un povero sfigato, che da quando è ragazzino non è mai riuscito a mettersi intorno un gruppo di persone in grado di seguirlo in alcunché di eversivamente significativo. Ce lo vedo Pasquinelli agitarsi intorno ai turchi. Eccitarsi nel poter mettere a disposizione soldi, case, telefoni, mogli a qualche rivoluzionario ’vero’. A lui bastava poco per sentirsi coinvolto. Lui, che era schizzato da tutto il movimento perché trotzkista...”. Sì, perché Moreno ci aveva provato da sempre a dialogare in casa propria. E sempre inutilmente. E sempre da agit-prop. Prima con la rivista ”Voce Operaia”, poi flirtando con ogni tipo di marginalità politica in odore di cospirazione violenta: i ”Carc” di Giuseppe Maj, i ”Gruppi partigiani per il sabotaggio” di Pordenone. Si agitava così tanto che era spesso entrato e uscito dal registro indagati di più di una Procura impegnata a ricostruire la mappa del rigurgito brigatista. Che, all´indomani dell´omicidio D´Antona, polizia e servizi gli avevano messo dietro una ”coda” di cui verosimilmente sapeva. E che, altrettanto verosimilmente, lo aveva isolato per sempre nel movimento e spinto in quella dimensione ”internazionalista” che del resto appagava la sua ”pratica trotzkista”. La sua casa, prima, i suoi camping, poi, inaugurati nel 2000, erano diventati un porto di mare per ”roadshow” estivi e non di rivoluzionari di ogni dove. Marxisti e non marxisti, nazionalisti e internazionalisti. Purché accomunabili sotto il minimo comun denominatore della ”Resistenza all´Imperialismo”. Nei suoi seminari pubblici, nei suoi conversari privati, avevano fatto capolino i palestinesi di Hezbollah, un compagno di scuola di Saddam Hussein, baschi, colombiani, cileni, un black-bloc inglese con i suoi appunti di viaggio al G8, i compagni di Ocalan e, ovviamente, i turchi del ”Dhkp-C”. Di tutto, di più. Fino al settembre 2003, quando era apparso il banchetto della solidarietà per Baghdad. ”Dieci euro per la resistenza in Iraq”. Una manna per i nostri servizi di intelligence che tutto ascoltavano e diligentemente annotavano, gonfiando il fascicolo sull´ex cuoco di Foligno. Pasquinelli doveva averla presa come una sfida irriverente. Quasi quanto la voce messa in giro, forse vera o forse no, che in Iraq, ad un certo punto, ci fosse andato per davvero per incontrare i ”resistenti” cui consegnare qualche centinaio di euro di colletta. Al di là dei nostri confini, tutti sembravano conoscerlo Moreno il ”rivoluzionario” di Foligno. Al di qua, facevano spallucce. Il 20 marzo scorso era sbarcato a Roma per il corteo della Pace. A lui e ai pochi che lo avevano seguito non era stato dato nulla di più di uno strapuntino in coda al corteo. Quando aveva aperto il suo striscione, la testa della manifestazione già tornava a casa. Per la cronaca, c´era scritto: ”A fianco della Resistenza irachena”" (Carlo Bonini, ”la Repubblica” 2/4/2004). "Prima del G8 di Genova profetizzava ”può scapparci il morto”, della strage di Nassiriya dice ”è un atto legittimo”, a ventiquattr’ore della contestazione in piazza a Fassino prevedeva ”se ci saranno scontri la colpa sarà dei ds”. Critica il Pkk turco perché ”fa troppo poco per Ocalan”, ha raccolto quindicimila euro da mandare agli iracheni ”in lotta contro l’Impero”, di Saddam dice: ”La sua cattura ci ha guastato la festa”. Ecco, questo è il pensiero dello strano leader dell’antagonismo italiano arrestato ieri mattina. Che dal pensiero si possa poi passare all’azione è sostenuto nelle carte dell’inchiesta che lo portato dentro: certo azioni ”politiche” borderline Moreno Pasquinelli [...] ne va facendo da un pezzo, molto prima del 2000, data di nascita dei suoi ”Campi” antimperialisti ad Assisi. L’ultima l’ha inscenata [...] in via Tomacelli, sede romana del ”Corriere della Sera”, che lui e un pugno di giovani del ”Campo Antimperialista” volevano occupare. Ce l’avevano con Magdi Allam, che ha scritto dei nessi tra i ”Campi” e uomini vicini ad al Qaeda. Al momento dell’arresto Pasquinelli ha creduto che lo prendessero per quell’azione lì, a chi lo ha sentito aveva spiegato, incrinando leggermente il baffo da moschettiere, la sua granitica verità: ”Allam fa un assurdo sillogismo: la resistenza irachena è alleata di al Qaeda e noi che la sosteniamo siamo quindi alleati di al Qaeda. Ma se anche la resistenza irachena ha condannato gli attentati di Madrid!”. Per questo l’aveva querelato, per questo già in passato gli era capitato di polemizzare con tutti quei giornalisti ”imperialisti” rei di raccontare gli intrecci mostruosi coltivati da un personaggio che per certi versi sembra la quintessenza della postpolitica militante, uno trasversale e persino ambiguamente neo-volontaristico. Trasversale perché Pasquinelli, che nasce marxista-leninista, ha poi stretto legami con uomini provenienti da tutt’altre storie, l’estrema destra, per esempio, che condivideva con lui la fissa antimperialista e quindi poteva pur esser utile alla bisogna. Alla Stampa, che questo aveva spiegato in un articolo di fine anno, aveva scritto una lettera aggressiva: ”Il Campo antimperialista non ha alcuna relazione né con i cosiddetti gruppi anarcoinsurrezionalisti, né col gruppo denominato ’Europposizione’, né tanto meno con rottami fascisti come Tilgher e Delle Chiaie”. Eppure quei legami erano fissati nell’elenco delle adesioni alla manifestazione del 13 dicembre scorso. Per sostenere i ”resistenti” iracheni, lui e i compagni umbri avevano avviato una sottoscrizione (’dieci euro per l’Iraq”) [...] arrivata a quindicimila euro, e s’erano ampiamente turati il naso accettando come compagni di viaggio, citando così a spanne: Maurizio Neri, fuoruscito del Fronte sociale Nazionale, Adriano Tilgher e Stefano delle Chiaie (regolari firmatari dell’appello antimperialista), Carlo Terracciano, discepolo di Franco Freda e un tempo sodale di Mario Tuti, Claudio Mutti, siti tedeschi che apertamente corteggiano il neonazionalismo... Sì, dalla sinistra radical l’avevano criticato. Pasquinelli aveva risposto ghignando: ”Il fascismo e i fascisti sono oggi il nostro nemico principale? Assolutamente no”. Avrebbe detto poi, illustrando su Indymedia la filosofia di un neo-volontarismo disposto a tutto: ”Per fondare un soggetto nuovo occorre un gruppo di uomini e donne decisi a marciare e a superare ogni ostacolo. Per cui voglio saltare il fosso, preferisco l’ignoto e le sue possibilità alla morte sicura per asfissia del presente”. Cosa c’era e c’è oltre il fosso? L’Ignoto più noto che esista: ”rottami neofascisti” ed ”eroi della resistenza irachena”, combattenti curdi accomunati senza imbarazzi agli hezbollah libanesi, attentatori di Pinochet alla Jaime Prieto messi insieme con gli ultimi simpatizzanti della Frazione armata tedesca Raf... questo quello di cui lo accusano ora: aver tramato, assieme ad Alessia Monteverdi e Maria Grazia Ardizzone, con il Dhkp-C, un’organizzazione rivoluzionaria turca così melmosa da beccarsi le critiche del Pkk, il partito di Abdullah Ocalan, mica una scuola di suore. Aver sostenuto gli strateghi del Caos iracheno, il che gli costa adesso (anche) un’accusa di favoreggiamento. Se le parole e gli incontri che facciamo definiscono chi siamo perfino prima delle nostre stesse azioni, Pasquinelli è l’uomo che ha detto di Nassiriya ”non crediamo alla panzana di Bin Laden e al Qaeda, loro non c’entrano”, ed è anche l’uomo che si portava in giro ai convegni dell’ultrasinistra Jabbar al-Kubaysi, definito ”leader della resistenza irachena”, il cui pensiero chiave consegnato agli atti resta ”ammazzare gli occidentali occupanti è lecito”, e non sembra il viatico migliore per uscire vivi dal cul de sac della prima guerra globale" (Jacopo Jacoboni, ”Corriere della Sera” 2/4/2004).