varie, 30 marzo 2004
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LO GIUDICE Vincenzo Canicattì (Agrigento) 30 novembre 1939. Politico. Consigliere regionale siciliano
LO GIUDICE Vincenzo Canicattì (Agrigento) 30 novembre 1939. Politico. Consigliere regionale siciliano. Arrestato il 29 marzo 2004 • «Parlava assai. E sempre. Pure con quel mafioso piccolo piccolo che per rispetto gli dava del ”vossia” e lo interrogava sul temperamento dei capi della Cosa Nostra che avevano vissuto tra i vigneti nel cuore della Sicilia. Era un fiume in piena, l´onorevole. Pittoresco, imbonitore, generoso nei giudizi. Ma non con tutti. Quando faceva cenno a un avversario politico, ringhiava: ”Non ci sputo per non dargli confidenza”. Quando ripensava a quei poliziotti che gironzolavano attorno alla sua segreteria, gli saliva il sangue alla testa: ”Sbirri e figli di cani, li dovrebbero raccogliere pezzi a pezzi”. Cognome: Lo Giudice. Nome: Vincenzo. Soprannome: Mangialasagna. [...] Professione: uomo politico e ”quasi” uomo d´onore. Partiti frequentati: Democrazia cristiana, Psdi, Cdu, Udeur, Ccd e per ultimo Udc. Cariche ricoperte: sindaco di Canicattì, deputato a Sala d´Ercole dal 1990, assessore regionale ai Lavori pubblici in una giunta di centrosinistra, vicepresidente del parlamento siciliano in una giunta di centrodestra. Voti disponibili al migliore offerente: 20 mila. Hobby: fare soldi e nasconderli. Segni particolari: una pinguedine molto accentuata. Lo spot della sua prima grande campagna elettorale: ’«Vi faccio un´offerta che non potete rifiutare”. E in sottofondo la colonna sonora de Il Padrino di Francis Ford Coppola. Ai giornalisti che di tanto in tanto gli ricordavano quell´infelice slogan elettorale, lui si presentava con un ghigno e sempre con queste parole: ”Piacere, Vito Corleone”. [...] Personaggio eccellente della politica siciliana, ”uomo di lotta e di governo” (gli è sempre piaciuto definirsi così), impastato con la mafia più cattiva delle province interne, trasversalmente alleato con tutti coloro che compravano o vendevano voti e appalti. Parole in libertà per quattro anni. Captate da microspie telefoniche e ambientali. Parole che raccontano l´uomo. Conversazioni sull´euro. [...] Conversazioni sul suo ”prestigio” nell´ambiente: ”Fermo restando che io non faccio parte della chiesa (la Cosa Nostra, ndr) però conosco i parrini (i mafiosi, ndr) e li rispetto e a me mi hanno rispettato quelli giusti, i mafiosi con le palle”. Conversazioni sulla paura di un coinvolgimento in qualche indagine. [...]» (Attilio Bolzoni, ”la Repubblica” 30/3/2004). «Maggiorente di Canicattì, deputato regionale, mille volte assessore, ex sindaco del suo paese, amicone di tutti, amico degli amici, gran tessitore di trame politico amministrative, dispensatore di favori, si lasciava andare a lunghe e confidenziali chiacchierate con fior di mafiosi. [...] Detto ”mancialasagni” per via della sua predilezione per la pasta fatta in casa e per la sua proverbiale voracità. Dicono fosse un’ossessione, per il politico venuto dal nulla, il timore della fame. Tanto che a qualunque obiezione di natura, diciamo, leggermente meno prosaica di una tavola esageratamente imbandita, ”mangialasagne” - dicono - era solito opporre la logica concreta della massima: ”La cultura non riempie la pancia”. [...] Nato carrettiere povero ma intraprendente, poi autotrasportatore in una terra dove tutti sembrano avere il pallino di calce e cemento, purché elargiti dagli appalti pubblici. Fino a [...] quando il capo della squadra mobile di Agrigento Attilio Brucato è andato a prenderlo a Canicattì, era presidente della Commissione regionale alla Sanità. Un sorta di ”pausa” nella ininterrotta scalata al potere. Negli Anni Settanta democristiano, sindaco del paese e capogruppo. Poi comincia a pensare alla scalata, allargandosi alla Regione ma scontrandosi anche con avversari non indifferenti, come Calogero Mannino che tenta di segarlo, sostituendolo nelle liste elettorali col fratello. Ma lui, ”mangialasagne”, non è tipo da abbattersi. Cambia partito e va coi socialdemocratici. Lo farà tante volte, lo ”zompafossi” e sempre con l’intento di dimostrare che i voti sono i suoi, non dei partiti. Anzi, dovrebbero essere i partiti a badare a non perdere il suo patrimonio di circa 20000 voti. [...] Lo Giudice è un virtuoso del doppio e triplo salto mortale. Ci sarà una spiegazione, se negli ultimi dieci anni ha sempre ricoperto incarichi di governo, a prescindere dell’indirizzo politico. stato assessore, con una comprensibile propensione per i lavori pubblici, sia col centrodestra che col centrosinistra. E ciò grazie alla disinvoltura con cui ha attraversato tutte le mutazioni avvenute sul corpo di quella che fu la Democrazia Cristiana. ”Mangialasagne” non cerca il pelo nell’uovo (Ccd, Udc, Cdu, Udeur, centrodestra o centrosinistra non importa), purché vi sia un posto al governo. E quando trasmigra, non manca di portare nuova ”dote” agli amici: per esempio parte degli apparati tecnico-amministrativi degli uffici dove trascorre la sua ”reggenza”. Lo Giudice, infatti, sa come farsi gli amici. Ora i magistrati dicono che non di amicizia si tratta, ma di sistema di potere politico-mafioso, tanto efficiente da riuscire ad indirizzare i fondi pubblici dell’ex Gescal, una roba mica da ridere. E dicono che ha favorito l’amico sindaco di Canicattì, Agostino Scrimali (capo di una giunta di centrosinistra ed eletto da indipendente nelle liste dei ds), aiutandolo a far tornare nella disponibilità di un parente in odor di mafia alcuni beni sequestrati dalla magistratura. Ah! questa mafia. Lui, in vero, il pallino delle amicizie pericolose l’ha avuto sempre. Nel ’91 si esibì in uno spot elettorale un tantino hard: si fece riprendere in gessato bianco con in sottofondo la musica del Padrino. E poi, è lui a dire - ignaro delle microspie che ascoltano - che è sempre stato ”a disposizione”. E che ”nella Chiesa non sono entrato, ma i parrini (i preti ndr) li ho sempre rispettati”. Ai mafiosi racconta particolari anche delicati. Come quando, ”subodorato che mi stavano fottendo lasciandomi fuori lista”, va a Roma a cercare ed ottenere protezione ad alto livello. I magistrati hanno omissato il nome del protettore, ”per sensibilità istituzionale”. Non hanno, però, potuto ignorare il passaggio di uno sfogo fatto all’amico Di Caro. Il discorso cade sull’omicidio di uno ”stiddaro”, un cane sciolto con cui aveva avuto qualche frequentazione, un ”’nfamuzzu che andava col vespino”. ”Mangialasagne” non prova nessuna pietà: ”Scassava la minchia”, dice. Gira e rigira e veniva da me... ma lo sa che mi ha mandato una cartolina dal carcere!”. Quasi quasi ”ci si doveva pensare prima a fare quello che hanno fatto”. Anche questa è politica» (Francesco La Licata, ”La Stampa” 30/3/2004).