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 2004  marzo 29 Lunedì calendario

MONTI Mario

MONTI Mario Varese 19 marzo 1943. Economista. Presidente del Consiglio (dal 16 novembre 2011). Dal 1989 al 1994 è stato rettore dell’Università Bocconi, alla morte di Giovanni Spadolini ne è diventato presidente (il 13 ottobre 2010 è stato confermato per il quinto quadriennio). “Professore nato”, ha studiato anche da amministratore in grandi società quotate in Borsa: Fiat, Generali, Banca commerciale italiana, dove arrivò fino alla carica di vicepresidente (1988-1990). Nel 1993 il premier incaricato Carlo Azeglio Ciampi lo avrebbe voluto a capo del ministero del Bilancio, ma lui, che avrebbe preferito il Tesoro, rifiutò. Dal 1994 al 2004 fu Commissario europeo (Mercati e Concorrenza) divenendo «il tecnocrate italiano più noto nel mondo dai tempi di Guido Carli» (Federico Rampini nel 2004) ed affermandosi come «il rappresentante di una tecnocrazia che ragiona su numeri e regole senza voler nulla concedere ai furori e ai sentimenti della piazza» (Pierluigi Battista nel 2002). Dal 9 novembre 2011 è senatore a vita • I Monti, modenesi, si trasferirono a inizio Novecento a San Giuliano Milanese, dove il capofamiglia fu medico condotto ed ebbe una figlia, Lucia che sposò Raffaele Mattioli, dominus della Banca Commerciale (Giancarlo Galli, Avvenire, 5/5/2006). Il nipote Gianni, padre di Mario, dirigente di banca «con una schizzinosa distanza dalla politica», sposò Lavinia Capra, casalinga «che aveva la dote dell’allegria» (Claudia, sorella maggiore, sarebbe diventata docente di Letteratura tedesca). Nel ’46 i Monti traslocarono a Milano. Nell’adolescenza Mario si appassionò al ciclismo: «Passavo molte notti ad ascoltare la radio ad onde corte. L’ho fatto per anni [...] È stato utile un po’ per conoscere le lingue e molto per capire il mondo. Ascoltavo trasmissioni dall’Australia, dai Paesi dell’Est e dall’Africa. Nel 1958 ho capito da parole in codice che era scoppiata la ribellione in Algeria. Nel 1960 ho sentito in diretta il discorso di insediamento di John Kennedy». Frequentò il Liceo classico presso l’Istituto dei gesuiti Leone XIII: «[...] Se ne accorse una volta anche il cancelliere Schroeder che alla fine di un’estenuante trattativa in cui io non potevo concedere ciò che voleva, mi chiese: “Lei ha studiato dai gesuiti? Sì? Ah, ecco perché argomenta, argomenta, argomenta e non concede mai niente” [...]». Intorno ai 16-17 anni, il padre lo portò qualche settimana in Urss e poi negli Usa: «Voleva che mia sorella ed io ci facessimo un’idea personale delle due potenze. Funzionò, anche se mi procurò un piccolo infortunio con i gesuiti del mio liceo. Avevo apprezzato il sistema scolastico russo e lo avevo onestamente raccontato in un articolo per il giornalino “Giovinezza nostra”. Poco dopo mi arrivò una lettera del padre rettore: mi spiegava che aveva cestinato lo scritto perché avevo avuto un approccio ingenuo verso un sistema pericoloso sul piano etico. Lui aveva ragione, ma avevo ragione anch’io e strappai la lettera in un impeto di rabbia» (Stefania Rossini, “L’espresso” 30/6/2005). Nel ’61 si iscrisse alla Bocconi (fece uno stage di un anno alla Comunità Europea). Laurea nel 1965, tesi sul bilancio revisionale della Cee, restò altri quattro anni alla Bocconi come assistente. Nel 1967 sposò Elsa Antonioli, dalla quale ha avuto due figli, Federica e Giovanni. Professore ordinario dall’età di 33 anni, nel ’69 insegnò presso la facoltà di Sociologia all’Università di Trento: «Ero un docente e mi comportavo come tale. Capo del movimento era Marco Boato e ricordo che il primo giorno lui e altri leader studenteschi, che davano del tu ai docenti, dissero quasi incidentalmente: “Ah, naturalmente faremo l’esame politico a ognuno di voi”. Quella notte non ho mica dormito». Passato all’università di Torino, cominciò a scrivere editoriali per il “Corriere della Sera” e a partecipare a diverse Commissioni ministeriali su temi economici. Dall’85 direttore dell’Istituto di Economia politica della Bocconi, quattro anni dopo fu nominato rettore, nel 1994, alla morte di Giovanni Spadolini, divenne presidente (“L’espresso” 30/6/2005) • Editorialista del “Corriere della Sera” («Neanche Gianni Agnelli riuscì a convincermi a scrivere per “La Stampa”. Gli dissi: “Vedrà che verrà prima lei al ‘Corriere’. E poco dopo infatti lo comprò”», Stefania Rossini, “L’espresso” 30/6/2005), nella prima metà degli anni Novanta Monti si guadagnò l’appellativo di “governatore-ombra” «[...] per le bacchettate che somministra alla Banca d’ Italia quando la giudica troppo accomodante nel finanziare i deficit pubblici della Prima Repubblica [...]» (Federico Rampini, “la Repubblica” 19/7/2004). Dal 1994 fu commissario europeo: «[...] La nomina a Bruxelles nel ’94 a opera del primo governo Berlusconi: un riconoscimento che riceve senza dover dare prove di fedeltà, senza contrarre debiti politici, e per il quale il commissario conserva gratitudine a Berlusconi [...]»(Federico Rampini, “la Repubblica” 19/7/2004). «[...] Quando il primo governo Berlusconi lo designò nel 1994 commissario europeo per l’Italia, in coppia con la candidatura interamente politica di Emma Bonino, nessuno, a sinistra, ebbe da eccepire. Uomo di establishment, sembra riassumere nel suo credo il principio-base della continuità espressa da ogni establishment: i governi passano, le istituzioni restano» (Pierluigi Battista, “La Stampa” 5/3/2002) • «Cattolico praticante ma senza indulgenze verso i vizi della galassia ex-democristiana, più vicino alla cultura economica di Ugo La Malfa ma privo di affiliazioni partitiche», Monti pagò un prezzo per la scarsa rispettabilità internazionale del primo governo Berlusconi: «Il portafoglio della moneta unica, che gli spetterebbe, va invece a un diplomatico francese (de Silguy) senza competenza specifica. Monti deve accontentarsi del mercato unico, un portafoglio comunque importante per abbattere le barriere protezionistiche residue, sfidare i dirigismi nazionali e difendere i consumatori. [...]» (Federico Rampini, “la Repubblica” 19/7/2004) • Monti arrivò a Bruxelles con Emma Bonino «[...] “Les italiens”, li guardavano dall’alto in basso molti colleghi, anche per una mal celata invidia per i voti che continuamente la stampa anglosassone assegnava al duo italiano. Erano i preferiti dell’“Economist”: un bell’8 a lei, commissario per la pesca e gli aiuti umanitari dell’Unione europea, e 7 a lui che dirigeva la sezione “mercato unico”» (“Il Foglio” 25/3/2004). Nel 1995 la Lega (Umberto Bossi in testa) propose Monti per la presidenza del Consiglio (poi andata a Lamberto Dini). Lui da Bruxelles s’inorgoglì: «È addirittura preoccupante il numero di persone che hanno fatto il mio nome». Nell’ottobre del ’97 Berlusconi lo indicò come il candidato ideale a guidare l’Italia. Risposta: «Devo persistere nel mio impegno istituzionale per la costruzione europea». (“Il Foglio” 25/3/2004). In quella fase fu importantissimo il suo ruolo di guardiano implacabile del comportamento dell’Italia, verso gli esami di ammissione alla moneta unica: «Il 24 marzo ’98, quando la Commissione deve stilare le “pagelle” decisive per i paesi candidati, la voce di Monti in favore dell’Italia ha un peso inestimabile» (Federico Rampini, “la Repubblica” 24/7/2011) • Da Bruxelles Monti aveva percepito i rischi del lassismo fiscale italiano: «A più riprese il commissario entra in frizione con i governi Dini e Prodi, ogniqualvolta avvista la tentazione di rinviare gli aggiustamenti sul deficit, di chiedere sconti sulle regole, di organizzare improbabili alleanze dei paesi latini per piegare la resistenza della Bundesbank. Monti rafforza in quella fase la reputazione del tecnocrate rigorista, interprete arcigno dei vincoli europei, impegnato a impedire che l’’Italia ricada nei vizi antichi della finanza allegra. Poiché il centrosinistra è al governo, i suoi strali colpiscono soprattutto in quella direzione, eppure Monti riesce a non farsi “iscrivere” a destra. Con Prodi a Palazzo Chigi le occasionali tensioni sono il frutto della diversa collocazione istituzionale. Monti si ostina a considerarsi un moderato super-partes, più utile al proprio paese senza affiliazioni politiche. Lo dimostrano la sua conferma per un secondo mandato a Bruxelles che gli arriva nel 1999 dal governo D’ Alema, e l’ ottimo rapporto che si instaura con Prodi presidente della Commissione: ogni volta che Prodi subisce gli attacchi degli euroscettici (inclusa la destra italiana) Monti sta dalla sua parte. Lo dimostra anche il no che Monti oppone alla prima offerta di Berlusconi di entrare nel suo governo come ministro degli Esteri nel 2001: ufficialmente il commissario rifiuta l’invito per non troncare a metà strada la sua missione europea, ma accanto a questa motivazione reale c’è anche l’ allergìa a scendere in campo in uno dei due schieramenti. Di quel primo rifiuto non si pentirà mai, anzi. Perché il secondo mandato europeo è proprio quello che gli riserva le maggiori soddisfazioni. [...]»(Federico Rampini, “la Repubblica” 4/7/2004) • Come responsabile alla concorrenza, Monti dimostrò una grinta che gli valse l’appellativo Supermario: «[...] Proprio con gli Stati Uniti ha le battaglie più memorabili: il no alla General Electric sull’acquisizione Honeywell, la condanna della Microsoft. [...]»(Federico Rampini, “la Repubblica” 4/7/2004). Fu una copertina del settimanale “Newsweek” del giugno 2001 a trasformarlo in “SuperMario”, in verità prendendo in prestito il conio del “New York Times” che lo paragonava all’eroe inventato dal colosso giapponese dei videogiochi Nintendo. «[...] Il poliziotto europeo dei monopoli – scriveva con acidità il “Newsweek” – negli ultimi due anni ha ostacolato molti affari di aziende americane, bloccando la fusione di Mci WorldCom e Sprint, stoppando quello che vedeva come un tentativo della Microsoft di dominare la tv digitale in Europa e imponendo ad Aol Time Warner di vendere uno dei principali marchi musicali, ora mette il bastone fra le ruote nella fusione General Electric e Honeywell”. Si trattava di una delle più grosse fusioni industriali della storia americana e gli Stati Uniti, dal loro punto di vista, avevano più di mille ragioni per protestare contro quello che vedevano soltanto come un piccolo e fastidioso “burocrate” della minuscola Europa. Ma quello era niente. SuperMario è andato avanti, fino a colpire l’incarnazione del sogno americano, quel Bill Gates che dal nulla ha creato un impero, che ha fatto della sua Microsoft una sorta di Grande Fratello. La Commissione europea ha adottato [...] una decisione in cui stabilisce che la Microsoft Corporation ha violato le regole di concorrenza del trattato Ue, abusando della sua posizione di quasi monopolio sul mercato dei sistemi operativi per pc. La multa imposta al numero uno mondiale dei software è di 497,2 milioni di euro, pari all’8 per cento del suo giro d’affari in Europa, Africa e Medio Oriente e all’1,62 per cento di quello mondiale [...]» (“Il Foglio” 25/3/2004) • Nel 2004 Monti inseguì invano un terzo mandato da commissario europeo: nel luglio di quell’anno il presidente della Repubblica Ciampi convinse Berlusconi ad offrirgli la poltrona di ministro dell’Economia (il 4 luglio si era dimesso Giulio Tremonti). Di più: finanze pubbliche disastrate e credibilità internazionale del paese dilapidata, qualcuno pensò di offrirgli la presidenza del Consiglio in un governo tipo Ciampi ’93 o Dini ’95: «(Monti) si convince che dire di no al ministero dell’Economia non significa restare in corsa per Bruxelles. Berlusconi non gli perdonerebbe un altro rifiuto. Monti pensa che la punizione per lui sarebbe il pensionamento [...] Monti confida alla cerchia degli intimi il dramma che sta vivendo. è sul punto di varcare una soglia che non ha mai varcato in vita sua. Come ministro nella poltrona più cruciale porterebbe in dote una credibilità internazionale di cui il governo Berlusconi è completamente sprovvisto. è per questo che Ciampi mette sulla bilancia tutto il peso della sua influenza e lo spinge a dire di sì. Ma in cambio Monti che cosa ottiene, se non di perdere la sua immagine super-partes coltivata per anni con attenzione maniacale? Entra in una compagine ministeriale a fine corsa, minata dalla disfatta elettorale e da divisioni interne inconciliabili. Soprattutto [...] gli è chiara una cosa: se, con l’appoggio del Quirinale, lui resta se stesso, se Monti non tradisce Monti, dovrà applicare una politica di rigore che lo metterà in contrasto non solo con i sindacati ma sicuramente anche con la Lega, forse con An, in ultima istanza con Berlusconi. La finanza “creativa” per la quale Tremonti è stato silurato non era solo sua. Le promesse populistiche di riduzione della pressione fiscale che Berlusconi ha elargito, sono agli antipodi del Monti-pensiero. È su questi nodi di contenuto che si svolge tra Bruxelles, palazzo Chigi e il Quirinale l’ultima convulsa trattativa [...] Monti vuole garanzie d’acciaio sui poteri che avrà, sulla serietà dell’impegno a risanare i conti pubblici, a imprimere una svolta nella disastrosa politica economica di questo governo. Il rischio, lui lo conosce: è che Berlusconi gli dica di sì su tutto, adesso, perché ha bisogno di lui. Salvo tradire le promesse mese dopo mese [...]» (Federico Rampini, “la Repubblica” 4/7/2004) • Nel luglio 2004 Monti non entrò nel governo. Raccontò un anno dopo a Stefania Rossini: «Siamo nel luglio 2004 e vengo invitato a cena a Macherio per discutere la proposta. In una conversazione molto approfondita emerge che io considero prioritario non ridurre l’Irpef mentre il presidente del Consiglio ritiene il contrario. Con molta serenità arriviamo alla conclusione che, per fare un contratto con me, lui non può rompere il suo contratto con gli italiani. Sono convinto che sia necessario essere molto esigenti sulle condizioni in modo che poi, ove capiti, si possano fare le cose bene e con forza» (Stefania Rossini, “L’espresso” 30/6/2005). Monti dovette comunque lasciare Bruxelles: «Avevo confermato la mia disponibilità. Sarei stato lieto di continuare a impegnarmi con determinazione per un’economia europea più libera e competitiva e per incisive riforme economiche, intervenendo contro distorsioni, restrizioni corporative e abusi, anche quelli praticati dagli Stati più potenti» (Federico Rampini, “la Repubblica” 24/7/2004). Nel gennaio 2005 scrisse un fondo sul “Corriere della Sera” alludendo a un patto tra il centrosinistra riformista e la Confindustria montezemoliana: «Una splendida occasione per un governo che si sentisse davvero liberale»: «Il giorno dopo, non appagati dalla tirata antiCav., da sinistra gli danno dell’aspirante candidato premier al posto di Romano Prodi» (“Il Foglio” 1/11/2006). Il 21 agosto 2005, intervistato da Ugo Magri per “La Stampa”, Monti espresse sfiducia nelle capacità del centro destra e del centro sinistra di far progredire il Paese verso una moderna economia di mercato. Cnclusione: «Forse un Centro, se esistesse, avrebbe una più credibile affinità con un progetto di questo genere». A dicembre dello stesso anno la sua nomina a consulente internazionale della banca d’affari americana Goldman Sachs suonò a molti come il segnale di un possibile disimpegno politico (il suo nome era circolato anche per la guida della Banca d’Italia, ma il governo di centro-destra, giudicandolo «troppo prodiano», gli aveva preferito Mario Draghi; vedi Paolo Baroni, “La Stampa” 6 maggio 2006). Il 5 maggio 2006, un editoriale dell’“Avvenire” a firma Marco Tarquinio lanciò la sua candidatura a presidente della Repubblica («è una personalità espressione non di un “ceto di partito” bensì di un “ceto politico” assai più ampio e inclusivo, incarnerebbe a pieno la figura del “presidente-garante”»), cosa già fatta nell’aprile dello stesso anno da Alfredo Ambrosetti, organizzatore degli annuali workshop di Villa d’Este a Cernobbio, sul lago di Como. Svanito il Quirinale, nel gennaio 2007 Monti si lamentò: «In aereo mi capita di essere confuso, come tipologia umana, con il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa. Un viaggiatore mi ha salutato dicendo buon giorno ministro. Non ho replicato osservando che non ho mai fatto il ministro e mi sono seduto al mio posto» (“Corriere della Sera” 19/1/2007). Nell’agosto 2007 il presidente francese Nicolas Sarkozy lo chiamò con altre sei personalità straniere a far parte della Commissione per la «liberazione della crescita» guidata da Jacques Attali: «Liberazione è una parola ancora più evocativa di liberalizzazione. Dà l’idea di un Prometeo da svincolare» (Federico Fubini, “Corriere della Sera” 25/8/2007). Nel settembre dello stesso anno fu uno dei quattro coordinatori scelti dall’Unione europea per rilanciare la costruzione delle reti energetiche del Vecchio continente (Alberto d’Argenio, “la Repubblica” 5/9/2007). Il 4 febbraio 2008, ospite del programma di La7 “Otto e mezzo”, propose un patto pre elettorale tra gli schieramenti contro le lobbies e le corporazioni: «Ci sono 4 o 5 cose da fare che tutti gli osservatori internazionali, la Ue, il Fmi e l’Ocse, ritengono necessario fare per sbloccare il Paese, anche se sono politicamente costose» (“Il Messaggero” 5/2/2008). Nell’ottobre 2009 la Commissione europea lo incaricò della «missione di preparare un rapporto con opzioni e raccomandazioni per un’iniziativa atta a rilanciare il mercato unico come obiettivo strategico e centrale della nuova Commissione» (Luigi Offeddu, “Corriere della Sera” 21/10/2009). Con Mario Draghi avviato alla presidenza della Bce, nel maggio 2011 si tornò a parlare di una sua candidatura a governatore della Banca d’Italia, a luglio il Pd lo candidò alla presidenza di un governo di transizione (Berlusconi parve pronto a offrirgli nuovamente il posto di Tremonti), lui scrisse un articolo sulla crisi dei mercati per la versione online del “Financial Times”: « Perché l’Italia e non la Spagna? Tutta colpa della commedia all’italiana». Il 2 agosto Ft Deutschland lo battezzò come “l’Anti-Berlusconi”, suggerendone la nomina a premier: «Asciutto, obiettivo, minuzioso, ligio alle regole e un po’ rigido, Monti ha tutte le qualità che mancano a Berlusconi». Intervistato a “Tg5 numeri in chiaro”, l’8 agosto dichiarò: «L’emergenza spero venga presto superata, di una mia chiamata spero proprio che non ci sia bisogno. Se avessi sentito imperativa dentro di me la vocazione di far parte di governi - avrei risposto di sì alla richiesta del centrosinistra, della Lega e del presidente Scalfaro dopo il ribaltone di fine ’94. Risposi che sarei stato disponibile solo se anche il centrodestra di Berlusconi avesse dato il suo appoggio». Il 2 settembre, interpellato da “Repubblica”, definì la manovra «pasticciata», quanto all’idea di un cambio di governò minimizzò: «Su questo punto preferisco non rispondere. Ogni tanto leggo Repubblica. Mi limito a dire che non mi sembra che sia in discussione». A fine ottobre, l’economista francese Alain Minc, consigliere del presidente Nicolas Sarkozy, dichiaro: «Soffrite di un deficit di credibilità. Non rimane che sperare che la Provvidenza cambi la leadership italiana, sostituendo Berlusconi con Mario Monti, ad esempio» (Anais Ginori, “la Repubblica” 26/10/2011).