Varie, 24 marzo 2004
ABATE Carmine
ABATE Carmine Carfizzi (Crotone) 24 ottobre 1954. Scrittore • «Gli scrittori saltano fuori a sorpresa da dove meno te li aspetti. Penseresti che solo un Hanif Kureishi italiano, un autore metropolitano e attento ai mutamenti della moda e dello Zeitgeist come lo scrittore anglo-pachistano possa raccontare la macedonia di lingue, culture e tradizioni in cui i giovani si trovano a crescere senza una bussola a cui affidarsi. E invece uno dei migliori affreschi della via italiana al meticciato culturale arriva da un romanzo ambientato in un paesino della Calabria. Ma non tra calabresi doc né tra extracomunitari freschi di traversata, sarebbe troppo facile. I protagonisti di La festa del ritorno (Mondadori) sono arbëreshe, discendenti di quei fuggiaschi che nel XV secolo lasciarono l’Albania invasa dai turchi per andare ad arricchire il melting pot culturale dell’Italia del sud. E l’autore, il cinquantenne Carmine Abate, con i suoi baffi alla Dumas e la sua biografia da figlio di emigranti, è quanto di più lontano si possa immaginare dal mondo patinato dell’editoria di successo. Eppure i suoi libri sono tradotti in diverse lingue: in Francia, dove è [...] uscito Tra due mari, recensito con lodi su Le Monde, e soprattutto in Germania, dove Abate è cresciuto, ha studiato, si è sposato e ha esordito [...] come scrittore, i suoi romanzi sono considerati con grande attenzione. In Italia, malgrado le lodi dei critici, rema un po’ controcorrente: nei suoi libri si incontra quell’Italia povera ma bella che fa impazzire gli stranieri, ma che da noi, di primo acchitto, fa arricciare il naso. [...] Abate vive a Besenello vicino a Trento, dove insegna, e se ne allontana raramente (lo si è visto al Festival di Mantova perché un suo ammiratore ungherese, lo scrittore Péter Zilahy, lo ha voluto come lettore). Il risultato è che nei libri di Abate di italiano c’è poco: sembrano tradotti [...] La festa del ritorno, storia di un padre che si sforza di seguire dalla Francia i figli che crescono nel villaggio di Hora (la Macondo arbëreshe), ricorda Il ballo tondo e La moto di Scanderbeg. Ma per il resto, l’atmosfera è lontanissima da quella di un romanzo italiano medio. Viene in mente Mystic River, il thriller di Dennis Lehane da cui Clint Eastwood ha tratto il suo ultimo film. Al centro di tutti e due i romanzi c’è una ragazza giovane, bella e vulnerabile, seguita con goffo affetto dal padre che l’ha avuta da un primo matrimonio, e con trepidazione dai lettori che la vedono avviarsi verso la tragedia. La scena della ragazza che balla sul bancone del bar in Mystic River corrisponde a quella in cui Marco, il piccolo protagonista di La festa del ritorno, scopre la sorella Elisa seminuda mentre ”le labbra di un uomo” la baciano sul seno. Il destino di Elisa non è tragico come quello della ragazza di Mystic River, e non potrebbe essere diversamente; perché i romanzi di Abate hanno un ottimismo di fondo. L’ottimismo di chi, dopo quasi 600 anni di fughe, povertà, emigrazione, sopravvive, rimane uguale a se stesso e la mattina, facendosi la barba, canta: ”sht një ditë e bukur, me një diall çë çan guret”, O sole mio tradotto in arbëresh» (Angiola Codacci-Pisanelli, ”L’espresso” 25/3/2004).