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 2004  marzo 22 Lunedì calendario

GUERZONI

GUERZONI Franco Modena 1 gennaio 1948. Pittore. «’Mi affascina molto il percorso che intercorre tra il quadro immaginato e il quadro finito, cioè tutta la parte avventurosa di piccole conquiste, di tradimenti, di sconfitte che il quadro implicitamente ti obbliga a praticare: credo che tutto stia in quel percorso attivo che il movimento, l´occhio, la mano e l´agire sulla superficie del quadro ti impongono”. Svelano tanta parte dell´animo di Franco Guerzoni, del suo modo di concepire e fare pittura, queste parole. Pittura è per lui, dunque, non progetto né approdo, ma tragitto, attraversamento, viaggio. Nel tempo concreto del fare sta l´unica salvezza dell´immagine. ”La fine del quadro è una sconfitta, una resa più che una scelta definitiva”: quanta storia, quanta consapevolezza in questo giro breve di frase: de Kooning - in un altro tempo, in un altro mondo - non cessò di cercare, nel suo capolavoro maggiore (Woman, 1: capace di stringere tutto il senso di una vita data alla pittura) verità che affioravano, si celavano, nuovamente tentavano d´apparire su una tela infinitamente martoriata, giorno dopo giorno, per settimane e per mesi, dal dare e togliere via da essa segni, gesti, colore. Di fatto mai "finita", quella tela, e soltanto strappatagli dalle mani da un mercante per assicurale una vita diversa, un ingresso nel mondo. Guerzoni conosce il destino di quel quadro: l´ha amato e - tanto tempo dopo, ora che tutto è cambiato - l´ha scelto per lui, e l´ha messo a pietra da costruzione della sua pittura. Ha detto ancora: ”le mie opere sono il risultato di un lungo corteggiamento che il pensiero e le mani attivano sulla superficie, risultato di un sottile equilibrio tra piccole conquiste e frequenti rese”. Tornano le nozioni di conquista, e di resa; di un tempo lungo in cui l´immagine prende forma nelle mani di chi cerca, a tentoni. Sarà infine, dice, ”una pittura che assorbe gli sguardi”: che prima di testimoniare, di asserire perentoria, cerca complicità, vuol condividere con chi incontra l´esperienza in cui è germinata. ”Una pittura che non manda riflessi”, che non ha teleologie, non certezze da consegnare, oltre il tempo speso per farla. per questo infine che, affondando lo sguardo nel quadro di Guerzoni, scopri la tua necessità di ripercorrerne l´esistenza prima ancora che di subirne lo splendore. ”Il punto di partenza è la superficie da animare - tela o foglio di carta - è la prima macchia di colore o d´inchiostro che vi si getta: l´effetto che si produce, l´avventura che ne risulta. Non si fabbrica un quadro come una casa, partendo da rilievi architettonici, ma volgendo la schiena al risultato - a tentoni! a ritroso!”. Jean Dubuffet che scrive queste parole: nel 1945 (sessant´anni fa!). Iniziano così le Notes pour les fins lettrés, che egli pubblicherà nel Prospectus, edito da Gallimard nel ?46: uno dei testi d´estetica più stupefacenti del XX secolo. In esso Dubuffet getta alle ortiche le inutili certezze neoplastiche che lo circondavano nella Parigi del dopoguerra; scopre, da solo, le ragioni di una pittura diversa, che chiamerà dell´ "informel"; preannuncia, come un veggente, tutto quanto avverrà, sino all´ "art autre". ripercorrendo questo testo (ed altri ancora di Dubuffet) che ho sempre pensato alla singolarità del diniego più volte attestato da Guerzoni a chi (prima di tutti Quintavalle) voleva connetterne la vicenda ad una temperatura informale (’credo improprio il termine "neo-informale" che troppo spesso viene attribuito alle mie opere”). Ha certo, Guerzoni, altre radici: nate, negli anni Settanta, in un humus concettuale antitetico a quel che si è definito l´informale italiano: paste alte e orgogli materici stratificati sulla tela, sovente con il vincolo d´una più o meno velata referenzialità dell´immagine. Altro, tutt´altro è stato l´ "informel" nel tempo e nel luogo suoi originari. E a quel primo "informel" credo che la pittura di Guerzoni - la sua "nuova" pittura: quella che ormai da vent´anni, dai primi anni Ottanta del secolo trascorso, ha preso figura, crescendo vertiginosamente sino ad oggi - molto sia legata: più, persino, di quanto non sappia. ”Cominciare un quadro: un´avventura che non si sa dove vi porterà” (Dubuffet); ”sono costretto a riproporre di nuovo un viaggio, un viaggio come trascorso che va dalla necessità dell´opera all´opera che si chiude, al di là della mia volontà” (Guerzoni); ”credo che la nascita di una nuova immagine venga soprattutto nutrita continuamente da suggerimenti inconsueti e casuali» (G.); ”l´artista fa coppia con il caso; il caso è della partita” (D.). E si potrebbe continuare nel gioco di scambio. Il tempo dell´opera, allora, e la rinunzia ad una sua fine; il lungo ”corteggiamento all´immagine” necessario a farla; l´avventura e il caso. Ancora, un´altra nozione è fondante per il lavoro di Guerzoni: ed è quella di ”archeologia”. Archeologia è per lui, in prima istanza, memoria. In questa accezione, la scaturigine prima di questo suo motore formale s´annida nel suo tempo di prossimità al clima concettuale e all´uso della fotografia, della carta e del libro come luoghi privilegiati, e fra loro interagenti, di ricerca. Ma, sgorgata che sia - come s´è detto: all´avvio degli anni Ottanta - la pratica della pittura, quella stessa nozione, trasformata, innerva parimenti il nuovo lavoro. Archeologia, allora, diviene - più che evocazione di un passato soltanto nominato - impegno ostinatamente empirico a riscoprire le tracce, le scorie, i segni di un tempo remoto nelle carte stratificate che, dapprima, sono il luogo esclusivo della pittura. Segni (non mai gesti: ché Guerzoni ha sempre rifiutato l´immediatezza e la violenza del gesto: ”il mio non è mai stato uno squarcio, uno strappo violento”) che si danno come scavi, come ulcerazioni, come ferite imposte alla superficie; e poi, sopra quelle, altri segni nati a sanare quelle ferite, nella speranza di ricomporre la perduta unità: ”tra rovina e restauro”, ha detto. All´archeologia s´uniscono presto altre, parallele suggestioni: quella già indicata di memoria, che sin dall´origine la affianca; e quelle ulteriori di viaggio, di mappa, di scavo. Il passato, allora, ritorna attivo nonostante la ”consapevolezza della sua irrecuperabilità”: forse, anzi, risonante proprio in grazie a questa coscienza che lo riattualizza come bene dagli incerti confini, irrimediabilmente perduto all´oggi. Ed ecco allora le carte, le tele di Guerzoni vestirsi, come ogni atto estetico autenticamente neoclassico, di malinconia; e abbigliarsi insieme di splendore e di assenza, di immanenza e di straniato silenzio. ”Il viaggio è il trascorrimento che va dalla necessità dell´opera all´opera: quell´opera che si chiude al di là della mia volontà”; il viaggio, che è stato un modo d´esistenza per il giovane Guerzoni (modo d´accostare il non cognito, in un altrove remoto), è così divenuto modo di pittura: e segnala la necessità insita nell´immagine di un affondare negli spessori, nei dilavamenti, nelle frane della materia e di un lento riemergere alla superficie da quei precipizi e crateri, stingendo in mano brandelli di nuova conoscenza. ”Cercare”, allora: dentro le maglie strette di una storia rappresentata dalla materia. Cercare scavando; seguendo una mappa (ancora, quanta parte di Dubuffet, in ciò: che voleva fare mappe persino di un corpo, di un volto, e camminarvi dentro, aggirarvisi, scoprendo verità: ”si può trascorrere una buona villeggiatura nel volto di un signore, restarci un po´ di tempo, far passeggiate e viaggi”). E Guerzoni: ”mi muovo dentro queste superfici, viaggio, cerco di condurre il viaggio nella maniera più avventurosa possibile”» (Fabrizio D’Amico, ”la Repubblica” 22/3/2004).