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 2004  marzo 19 Venerdì calendario

AL-ZAWAHIRI

AYMAN.«Chi li ha conosciuti o studiati a lungo dice di loro che sono inscindibili. Legati da una amicizia indissolubile "come quella tra il corpo e il cervello", ha scritto l’avvocato Muntasir az Zayyat, esperto di gruppi islamici radicali. Osama Bin Laden e Ayman al Zawahiri, il capo e il suo braccio destro. Il vertice di Al Qaeda.
L’ultima apparizione sulla scena internazionale di al Zawahiri risale allo scorso 24 febbraio quando due cassette audio a lui attribuite sono state diffuse dalle due maggiori tv arabe all news. Nel primo nastro, trasmesso dal canale saudita al-Arabiyya, il medico egiziano condannava la legge francese contro il hijab nelle scuole, mentre nel secondo, andato in onda su al Jazeera, minacciava Bush di nuovi attacchi, attaccava tutti i paesi arabi alleati degli Usa e non risparmiava disapprovazione neppure all’ex raìs di Bagdad Saddam Hussein. Ma la sua voce la si era sentita già in altre occasioni.
Lo scorso 28 settembre al Zawahiri, sul quale l’Fbi ha posto una taglia di 25 milioni di dollari, sfoderò un poderoso attacco contro due capi di Stato asiatici considerati i migliori amici di Washington: Musharraf, presidente del Pakistan e l’afgano Karzai. Pochi giorni prima, alla vigilia del secondo anniversario degli attacchi a New York, al Zawahiri è apparso insieme a Bin Laden mentre passeggiava sullo sfondo di un paesaggio montano. Prima di questi video c’erano stati altri messaggi tra cui si ricorda quello del 7 ottobre 2001 che fu mandato in onda insieme al video con cui Bin Laden rispose all’inizio della guerra americana all’Afghanistan. In quel messaggio al Zawahiri invitava gli afgani a resistere.
Più volte l’egiziano è stato dato per morto. La prima nel dicembre 2001 quando venne diffusa la notizia della sua probabile morte sotto i bombardamenti. Ma in quell’occasione a morire furono la moglie e tre dei suoi figli. Nell’ottobre del 2002 stessa voce rivelatasi infondata. Lo scorso mese di giugno si diffuse la notizia, mai confermata, che era stato arrestato in Iran. Anche un mese fa si era parlato di una sua possibile cattura. Fonti militari pachistane affermarono di aver visto foto scattate da un aereo spia americano che riprendevano al Zawahiri nel Waziristan. Le foto diedero il via a retate nella regione, ma di al Zawahiri non c’era traccia. Sta di fatto che, finora, i suoi messaggi, sempre circostanziati con fatti legati all’attualità, rivelerebbero che è ancora in vita.
Ma chi è al Zawahiri? Nato a Giza, alla periferia del Cairo, nel giugno 1951 e laureatosi in medicina nel 1974 il vice di Bin Laden proviene da un’importante famiglia di medici e politici. Un suo nonno fu un Grande Imam dell’Università di al-Azhar, la carica più importante di una delle maggiori moschee e il più prestigioso centro di studi dell’Islam sunnita. Un altro nonno era ambasciatore. Tra i suoi parenti c’erano uomini colti, medici di rilievo ed anche importanti personalità politiche.
Il 1967 è l’anno che fece da spartiacque nella sua vita come in quella di tanti musulmani. Come per tanti altri giovani come lui, gli ultimi anni del nasserismo furono dominati dalla bruciante umiliazione della Naksa: la fulminante sconfitta dell’esercito egiziano, nella "Guerra dei Sei Giorni" contro Israele. Fu uno choc che al-Zawahiri tentò di superare cercando nell’Islam il punto di riferimento e la base per un cambiamento politico. D’altronde era proprio la tradizione religiosa della sua famiglia a spingerlo in quel senso. Col diffondersi dei movimenti fondamentalisti, subito dopo la morte di Nasser (settembre 1970) e la salita al potere di Sadat, al-Zawahiri entra a far parte della galassia della Gama’a Islamiyya che comprendeva tendenze e strategie di lotta molto diverse tra loro.
Un’altra svolta fu segnata dall’accordo di pace siglato da Sadat con Israele a seguito della Guerra di Ottobre del ’73. Nel 1981 fu arrestato, insieme ad altri sospetti, accusato nel processo per l’assassinio dell’ex presidente egiziano ma venne condannato a tre anni solo per possesso illegale di armi. Nel 1984, anno in cui fu scarcerato, aprì un ambulatorio nel quartiere al-Maadi del Cairo.
Nel 1985 il "dottore" avrebbe raggiunto la "Mezzaluna Rossa" in Afghanistan dove era in corso la Jihad contro gli invasori sovietici. Secondo T. Christian Miller, reporter del Los Angeles Times, l’incontro tra al Zawahiri e Bin Laden potrebbe essere avvenuto nel 1998. Da allora il rapporto tra i due è divenuto strettissimo.
Nel 1998 è stato incriminato con Bin Laden negli Stati Uniti in relazione agli attentati contro le ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania. Nel 1999 è stato condannato a morte in contumacia dalle autorità egiziane. Il resto è storia recente» (Marco Hamam).

«Considerato un luogotenente fedele ha in mano i segreti dell’Internazionale islamica
IL generale Jalilli scosse forte la testa, come chi non capisce la stupidità umana. "Siete davvero strani voi occidentali, che ormai di Osama avete fatto un totem. Tutti a dire Osama qui e Osama là, e io invece sono pronto a fare un patto. Ecco la mia proposta". Il generale stese la mano con un gesto brusco, e la fiammella della candela vacillò fino a quasi spengersi. Eravamo nel vecchio palazzo dei servizi segreti, a Kabul. Il generale Jalilli è uno che conta: comanda i servizi segreti afghani, con l’appoggio della Cia e dei Delta Force dà la caccia agli uomini del terrore; e quell’incontro con lui - alcune settimane fa - era la mia tappa d’un reportage sulla pista che porta a Osama. "Senta - disse Jalilli - io le cedo Osama, che è vivo e so anche dove ora è rifugiato. Io lo lascio libero, che faccia quello che vuole e se ne vada dove meglio crede. Ma, in cambio, lei mi dà nelle mani al-Zawahiri". Il generale sorrise. "Caro giornalista, voi dei massmedia avete fatto dello sceicco saudita il simbolo stesso di al-Qaida. Errore clamoroso, perchè la testa, e il cuore pulsante, e lo spirito feroce, di al-Qaida stanno, invece, tutti dentro Al Zawahiri". Fino a quel giorno di fine dicembre 2003 mai nessuna fonte ufficiale aveva detto pubblicamente che Osama è certamente vivo, e che i "servizi" sanno anche dove - più o meno - egli sia. Però, quanto a Zawahiri e al fatto che "il dottore" sia ben altro che il Numero 2 del terrorismo mondiale, questa è una notizia che circola da tempo nelle valli fonde che accompagnano il confine afghano ma anche nei corridoi ovattati di Fort Langley e tra gli eredi britannici di James Bond.
Osama, certamente, ha il fisico del leader carimastico, con quella sua magrezza ascetica, la lunga barba, il viso scavato dal colloquio quotidiano con il suo Allah. Neanche un costumista di Hollywood avrebbe saputo inventarlo più vero di quanto egli ci appaia. Ayman al-Zawahiri, invece, basso, gli occhialetti, il corpo di chi ha difficoltà a tenersi nel mangiare, è la figura perfetta del luogotenente, il Sancho Panza di quel suo don Chisciotte saudita, allampanato e invasato di furori divini. Lo chiamano "il dottore" perchè è veramente un medico, discendente d’una progenie di medici (padre, zii, fratelli) che al Cairo curava le famiglie più importanti della vecchia monarchia di Faruk e poi, con il Putsch di Neguib e Nasser, curava allo stesso mondo le famiglie più importanti del nuovo potere militar-repubblicano. Era, insomma, il medico dei ricchi, ma anche il medico di quel microcosmo di intellettuali e d’idealisti che, dagli scanni dell’università di al-Azhar, avevano imparato a predicare la lotta contro gli occupanti britannici e presagire il destino d’un risorgimento arabo, sulle ceneri stesse del vecchio colonialismo occidentale. Quando, nell’81, i fondamentalisti ammazzarano Sadat, per punirlo del "tradimento" che aveva siglato con gli israeliani e con Washington, Ayman "il dottore" fu uno dei primi a essere sbattuto in galera. Bazzicava le cellule più estremiste della "Fratellanza musulmana", e al Cairo - dove il Mukhabarat conosce vita e morte e miracoli d’ogni egiziano che non taccia perduto nelle tazzine di té alla menta - lui stava nei posti più elevati della Lista Nera.
Non riuscirono a scoprire grandi colpe sul suo conto, e certamente la rete di amicizie importanti (e di protezioni trasmigranti tra classismo e ideologia religiosa) lo aiutò a uscire vivo dalla prigione dopo solo 3 anni di ceppi. Si salvò, ma anche scomparve dalla circolazione. In quegli anni era intanto cominciato il Jihad, la guerra santa dei combattenti mujahiddin contro gl’infedeli dell’Armata Rossa che avevano passato il lungo ponte sull’Amu Darya con uno schieramento dove c’era l’armamentario più moderno di Breznev: missili, i T-72, gli elicotteri MI-24, blindati e corazzati che nemmeno al tempo del Terzo Reich. Solo che i mujahiddin avevano dalla loro due appoggi molto importanti: il primo era quello, mistico, pio, celestiale, d’una fede che garantiva il paradiso delle 70 "uri" a chi muore in battaglia; il secondo, assai più concreto, materiale, erano le montagne di dollari che arrivavano dall’Arabia Saudita e i micidiali missili Stinger che gli uomini della Cia passarono agli "afghani" che si battevano contro gli atei di Mosca.
Se gli Stinger arrivarono in Afghanistan con l’aiuto dei servizi segreti pakistani, il Sis del generale Gul, i soldi arrivavano invece dalla casse di Osama ma - soprattutto - dal "fund raising", la raccolta di denaro, che il dottore egiziano faceva girando per il mondo con quattro passaporti falsi e la sua forte capacità di predicazione nelle moschee del Medio Oriente, dell’Asia, dell’Africa settentrionale, perfino dell’Occidente (uno dei suoi passaporti falsi era danese, e lo "Zawahiri" che la foto del documento ritraeva aveva, non solo un altro nome, ma anche una faccia che - con i capelli tagliati corti, i baffetti, uno sguardo paziente - poco aveva a che spartire con lo Zawahiri che in questi ultimi anni ci hanno mostrato i video di Osama trasmessi dalla tv al-Jazira).
Ayman il dottore è stato presente nei messaggi mediatici dello sceicco di al-Qaida fin dal primo giorno, quando gli americani avevano appenna cominciato a bombardare l’Afghanistan e quel video di minacce e di predicazione - i kalashnikov, le giacche militari, ma anche la mano levata a spiegare e ad ammonire - apriva una nuova porta, quella dell’informazione e della creazione del consenso, nella guerra asimmetrica che il gigante americano aveva lanciato contro quella banda di scalzacani mal vestiti e (apparentemente) perduti ancora nel Medio Evo.
Ma, altro che Medio Evo. Osama faceva il suo lavoro come un allievo prezioso di McLuhan, e Al Zawahiri al suo fianco sembrava l’ombra silenziosa del discepolo però si capiva subito che ci doveva essere ben altro, dietro. Il "dottore" stava in silenzio, da parte, e se i due marciavano, la telecamera inquadrava soprattutto lo sceicco; ma non c’era video che non mostrasse anche Al Zawahiri. Con bastone e senza bastone, con fucile e senza fucile, fermo o in marcia - comunque lui c’era sempre. E in un mondo dove la retorica dei simboli ha un valore fortissimo, dove l’esaltazione del leader è la componente essenziale ed esclusiva del comando, l’accostamento dei due protagonisti non poteva non far immaginare che il Sancho Panza egiziano si era riscattato dal suo ruolo codificato. Appariva come il discepolo, ma chi sapeva leggere aveva già capito altro: che se uno dei due andava a pennello per la cultura massmediologica dei simboli semioticamente appaganti, era però l’altro - con quella sua presenza costante, continua, una presenza immancabile - a dire chi nei fatti andava visto come il capo vero, quello che conta e decide» (Mimmo Candito).