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 2004  marzo 18 Giovedì calendario

Baldo Giuseppe

• Piombino Dese (Padova) 27 luglio 1914, Montecatini Terme (Pistoia) 31 luglio 2007. Calciatore. Campione olimpico nel 1936 • «’Quell’anno ero venuto dal Padova alla Lazio. Fui convocato da Vittorio Pozzo che fece giocare un paio di amichevoli per scegliere il gruppo da portare a Berlino. Eravamo tutti ventenni, sani, nella più festosa zona della vita. E con davanti un traguardo formidabile”. La scelta di Pozzo cadde anche su Baldo, che giocava mediano destro, considerato uno degli uomini nuovi del campionato: per mettere insieme questa squadra ”universitaria” pescò in A e in B, nella Juventus come nello Spezia. E mise insieme sconosciuti destinati a una grande carriera come Rava e Foni e bravi giocatori scomparsi subito dopo. ”La sua abilità fu di costruire un gruppo omogeneo e solidale durante il lungo ritiro a Merano. Pozzo era un grande psicologo, si muoveva per dare fiducia alle persone”. L’Italia raggiunse il villaggio olimpico di Doeberitz prima del resto della squadra olimpica. ”Non pensavamo certo di vincere, eravamo già soddisfatti di essere arrivati là. L’organizzazione tedesca era perfetta e un giorno ricevemmo anche la visita di Hitler”. Era un caldo agosto, l’esordio fu il 3 contro gli Stati Uniti, una partita che si rivelò più difficile del previsto. ”Avevano una prestanza fisica superiore alla nostra. Fu un 1-0 tirato per i denti”. E anche in inferiorità numerica, perché sullo 0-0 Rava si fece espellere per un fallo di reazione su tal Lutkefedder. Rava ha sempre sostenuto che l’arbitro abboccò alla scena dell’americano. ”Purtroppo no, fu una reazione plateale, troppo evidente, non poteva che espellerlo”. E toccò a Baldo retrocedere a terzino per prendere il posto di Rava. Subito dopo arrivò il gol di Annibale Frossi, il primo dei sette gol dell’Olimpiade, decisivi per tre delle quattro vittorie. ”Era un giocatore di una scaltrezza eccezionale, segnava sempre piazzando una puntatina. Era un tipo leggero, e doveva evitare i contatti perché portava gli occhiali. Era molto miope. Ricordo che in una partita seguente, forse la finale, gli caddero e non li trovava più. Glieli dovetti raccogliere io»”. Il 7 agosto l’Italia incontrò il Giappone, reduce da una sorprendente vittoria sulla Svezia. ”Correvano a non finire ma non si dimostrarono all’altezza. Vincemmo facilmente”. Fu un 8-0, con l’Italia che aveva recuperato un giocatore importante, Bertoni, pisano del Pisa. ”Era un vero uomo squadra, con una grande tecnica, paragonabile al Ferrari di allora. Era arrivato a Berlino infortunato per uno strappo muscolare ma quando dopo la partita con gli Usa Pozzo si rese conto che eravamo una buona squadra, volle assolutamente recuperarlo, lo riteneva indispensabile. Convocò un medico sportivo che risiedeva Berlino e faceva applicazioni elettriche. Una novità per quei tempi. E Bertoni fu pronto contro il Giappone. Lo considerammo un miracolo. E il nostro gioco decollò”. Quindi fu il turno della Norvegia, che aveva eliminato i favoriti della Germania. Fu anche la prima volta all’Olimpico. ”Rimanemmo choccati dall’imponenza dello stadio, il primo dei grandi stadi moderni. La Norvegia era solida, corretta, atletica. Il pubblico tifava per loro»”. Segnò l’Italia, pareggiò la Norvegia, nei supplementari venne il 2-1: un tiro di Bertoni, fu l’opportunista Frossi a ribattere in rete la respinta del portiere. Due ore di battaglia. La finale fu il giorno di Ferragosto, si giocò il pomeriggio. ”Eravamo calmi, fiduciosi. I centomila dello stadio sostenevano l’Austria, ma nelle pause si sentiva anche il gruppetto degli italiani che gridava”. Erano altri atleti, tra loro anche il 17enne Edoardo Mangiarotti. Segnò Frossi, pareggiò l’Austria, e poi ancora i supplementari. ”Eravamo provati, ma Pozzo ci ha riportato con poche parole lo spirito per tornare in campo”. Ma dopo 2’ del primo supplementare ancora Frossi approfittò di una finta di Bertoni e consegnò l’oro olimpico all’Italia. ”Alla fine non capivamo nulla, era un cosa che non ci aspettavamo. Eravamo i primi nella più grande manifestazione sportiva dell’umanità. Siamo tornati in pullman al villaggio olimpico, non c’è storia per raccontare la notte che seguì. Fu la cosa più bella del mondo, per chi come me aveva cominciato il calcio da bambino e a 10 anni avevo vinto il Torneo dei Lattanti a Padova”. Quando Pozzo congedò la squadra sapeva che alcuni non sarebbero mai più tornati con lui. ”Era dispiaciuto come il padre che vede i figli buttarsi nelle insidie della società».”Baldo fu tra quelli, l’anno dopo Berlino fece un grande campionato nella Lazio seconda dietro il Bologna, ma non tornò più in nazionale. ”Ma non ho rimpianti, avevo già raggiunto il traguardo più alto”. L’Olimpiade comunque aveva lasciato il segno: Baldo ha lavorato nello sport italiano e fu anche nel Comitato organizzatore di Roma ”60. ”Hitler, le svastiche, eccetera: ma nei Giochi l’ambiente è così forte, che subentra nei partecipanti lo spirito di Olimpia. Vivi in una dimensione psichica particolare, sei in un mondo ideale: e noi ventenni ci eravamo entrati”» (Corrado Sannucci, ”la Repubblica” 18/3/2004).