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 2004  marzo 17 Mercoledì calendario

Zanichelli Marco

• Reggio Emilia 24 maggio 1947. Manager. Presidente di Trenitalia. Lunga carriera nell’Alitalia: direttore delle relazioni esterne nel 1989, direttore centrale nel 1992, segretario generale nel 2001, presidente Alitalia Airport nel 2002, direttore generale nel 2003, amministratore delegato per soli quattro mesi nel 2004 • «Fra i dodici amministratori delegati che dal 1988 si erano alternati alla guida della vecchia Alitalia, Marco Zanichelli aveva conseguito il record negativo di durata: 70 giorni. Senza perdersi d’animo, aveva successivamente traslocato in Finmeccanica. Nel 2007 è diventato presidente di Finmeccanica group services, incarico al quale somma dal maggio 2009 quello di consigliere di Ansaldo Breda. [...] molto stimato dal presidente della Camera Gianfranco Fini [...]» (’Corriere della Sera” 17/6/2009) • «[...] Nel 1989 entro in Alitalia come direttore relazioni esterne proveniente dalla Dalmine in cui ricoprivo la carica di segretario generale. Nel 1996, in Alitalia, lascio la responsabilità diretta delle relazioni esterne e vengo nominato, non dalla politica ma dall’amministratore delegato del tempo, direttore centrale acquisti, patrimonio imm.re, affari legali e studi. Contestualmente la responsabilità delle relazioni esterne viene assunta da altro direttore. Nel 2001 vengo nominato segretario generale con competenza sul business. Nel 2003 l’amministratore delegato propone al cda di Alitalia la mia nomina a direttore generale. Nel 2004 l’azionista mi affida la responsabilità di amministratore delegato di Alitalia. Dopo 70 giorni, visto che il percorso di risanamento da me tracciato non era perseguibile, lascio l’incarico senza nessuna buonuscita o particolare indennità, se non il preavviso e le spettanze di fine rapporto che competono a qualunque lavoratore. [...]» (’Panorama” 10/4/2008) • «Geologo di Castelnuovo di Sotto, ieri mastelliano, poi prodiano, oggi finiano e domani chissà, con i conti ha poca dimestichezza. Lui è da sempre un uomo di pubbliche relazioni, abituato a bazzicare le trattorie romane insieme a giornalisti e politici, cui ha dispensato per anni il privilegio della tessera per i salottini vip della Freccia Alata. Al massimo un lobbista: pure bravo, a quanto si dice. Ma un manager è un’altra cosa. Zanichelli, navigatore di lunghissimo corso nel gruppo Iri, un’azienda non l’ha mai gestita. [...] Quando il leader di An Gianfranco Fini l’ha imposto come successore di Francesco Mengozzi, che non voleva recedere da un piano di risanamento tutto lacrime e sangue e perciò politicamente inopportuno alla vigilia di una tornata elettorale, nel quartier generale parigino di Air France (alleata di Alitalia) hanno strabuzzato gli occhi. Poi hanno cominciato a ridere. ”Io credo che per un’azienda in difficoltà come l’Alitalia serva qualcun altro”, ha commentato con la vocina stridula di quando s’arrabbia il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che la nomina di Zanichelli l’ha dovuta ingoiare pur essendo l’azionista di riferimento dell’azienda. [...] Zanichelli la sua carriera l’ha costruita così fin dai tempi della Dalmine, ramo siderurgico dell’Iri. Era la metà degli anni Settanta e il futuro numero uno della compagnia di bandiera si occupava di pubbliche relazioni. Il suo quartier generale era nello stabilimento in provincia di Bergamo. E però lui ogni tanto si concedeva una puntatina a Roma, dov’erano gli uffici dell’azienda capogruppo, la Finsider. allora che comincia a frequentare i giornalisti economici. E, soprattutto, i politici. Dc in testa: il conterraneo Pier Ferdinando Casini e il suo capo di allora, Arnaldo Forlani, Pierluigi Castagnetti, Renzo Lusetti. Ma anche socialisti come Gianni De Michelis. E perfino socialdemocratici tipo Enrico Ferri, il ministro dei 110 all’ora in autostrada. Diventa amico del cuore di Sergio D’Antoni. Sempre affabile con tutti, un cervello che funziona come uno schedario, Zanichelli non si risparmia. Mattiniero, frugale a tavola (tiene molto alla linea), lavora come un matto e però riesce a smettere di fumare. Il suo unico hobby sono i cavalli, che tiene vicino alla casa di famiglia nel Reggiano. Fa carriera. Ma l’incarico di segretario generale della Dalmine comincia a stargli stretto. Ha capito che se vuole tentare il balzo deve mettere radici a Roma. Così, alla fine degli anni Ottanta va a bussare alla porta di Clemente Mastella, uno dei pochi (insieme a D’Antoni) che non ha finora tradito. Arriva a Ciriaco De Mita e attraverso lui al conterraneo Romano Prodi. L’allora presidente dell’Iri gli infligge lunghe anticamere. Poi però lo accontenta. Così, nel 1989 Zanichelli fa il suo ingresso all’Alitalia, ancora settore relazioni esterne, come vice. Ma il quadro cambia rapidamente. Il numero uno della compagnia Carlo Verri, che stufo delle ingerenze dei politici girava con la lettera di dimissioni in tasca, si schianta a novembre con l’auto di servizio. L’andreottiano Franco Nobili, che è succeduto a Prodi alla guida della holding di via Veneto, promuove Nanni Bisignani. Da quel momento Alitalia comincerà a bruciare un capo azienda dopo l’altro. Ma non Zanichelli, che nel tempo riuscirà a guadagnarsi anche il favore dei piloti, sponsorizzandone l’ingresso nel consiglio di amministrazione. Indaffarato il doppio di prima, Zanichelli ormai viaggia da solo. Grande elemosiniere di biglietti scontati, nel sottobosco politico romano nuota come quei pesci siluro che va a pescare nei canali della natìa Emilia. Capisce che i politici si possono usare come taxi e lavora davvero a tutto campo. Nel frattempo stringe un sodalizio di ferro con il giornalista piduista Luigi Bisignani, fratello di Nanni, ma soprattutto testa di ponte a Roma di Raul Gardini, poi arrestato e condannato per la maxi tangente Enimont. Ai due si associa il lobbista Filippo Troja, titolare di una fittissima rete di contatti che arriva fino a Nicolò Pollari, ex capo supremo della Guardia di Finanza e oggi direttore del servizio segreto militare. Quello stesso Troja che Calisto Tanzi chiamerà in causa negli interrogatori sul crack Parmalat come uno dei tre "canestri" incaricati di tenere i rapporti con politici, istituzioni e apparati dello Stato e che tornerà utile quando le Fiamme Gialle si insediano per lunghi mesi nell’ufficio di Zanichelli. Grimpeur di razza, Zanichelli non perde un congresso di partito. E non lesina denari a fogli e gazzette d’ogni tipo. Il ricco budget pubblicitario della compagnia lo aiuta. Aggancia il neonato partito di Berlusconi. L’ex Alitalia Roberto Spingardi, uno dei fondatori dei club azzurri, gli fa da tramite con Gianni Letta. Corteggia An, dove a fare da ufficiali di collegamento penseranno l’avvocato Giuseppe Consolo e Gigi Martini, ex calciatore e pilota, e poi parlamentare del partito di Gianfranco Fini. Quando nel 1996 arriva al vertice della Magliana Domenico Cempella, Zanichelli lesto gli promette copertura con il presidente del Consiglio Prodi (che in realtà lo considera ormai un voltagabbana) e con la Quercia (oggi conta molto sull’amicizia del senatore diessino Paolo Brutti, membro della commissione Trasporti di Palazzo Madama). Poi, cerca di assicurargli la protezione di An. Il numero uno dell’azienda, che si sente franare la terra sotto i piedi, gli è grato. Così Zanichelli guadagna la delega sugli acquisti. Cui si aggiungerà quella sugli immobili, concessa da Mengozzi in cambio di buoni uffici sempre sul fronte di Alleanza nazionale. Zanichelli, che ha legato molto con Claudio Scajola ma coltiva anche buoni rapporti con Walter Veltroni, sale. segretario generale nel settembre 2001. Non s’accontenta. E mentre il management delle altre compagnie lavora di scure per risanare i conti, lui briga in ogni modo per ottenere la direzione generale. Tremonti all’inizio si oppone con tutte le sue forze. Poi cede. Così nel 2003 Zanichelli ottiene la poltrona, insieme a un posto nel consiglio di amministrazione. Più che dei bilanci continua però a occuparsi dei suoi gioielli. La Freccia Alata. La biglietteria vip. ”Ulisse 2000”, la patinata rivista di bordo degli aerei Alitalia attraverso la quale distribuisce consulenze d’oro. Come quella assegnata a un giornalista televisivo oggi direttore di un tg Rai, messo alla porta dalla redazione nel giorno in cui gridò: ”Noi dell’Alitalia possiamo tagliare anche un pezzo di Hemingway”. Ma i conti, quelli davvero no» (Stefano Livadiotti, ”L’espresso” 18/3/2004).