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 2004  marzo 17 Mercoledì calendario

Ortega Ariel

• Nato a Ledesma (Argentina) il 4 marzo 1974. Calciatore. In Italia ha giocato con Parma e Sampdoria. "Dall’onore di indossare la maglia numero 10 dell’Argentina in un Mondiale all’onere di pagare 11 milioni di dollari per poter tornare a giocare. la multa che nel giugno 2003 la Fifa gli ha comminato per inadempienze contrattuali nei confronti del Fenerbahçe, la società turca dove il Burrito (l’Asinello) ex di Parma e Sampdoria trascina nell’estate 2002, all’indomani della disfatta nippocoreana, i suoi dribbling a volte esaltanti ma spesso irritanti. Il procuratore Antonio Caliendo, lo stesso che nel ’97 lo fece sbarcare in Europa, al Valencia, gli strappa un ricco ingaggio (2,5 milioni annui) nel più prestigioso club della Turchia dopo il Galatasaray. Ma, tempo pochi mesi, l’avventura turca del Burrito finisce come quelle precedenti in Spagna e in Italia. Anzi, peggio. Convocato dal c.t. argentino Marcelo Bielsa per un’amichevole della Seleccion in Olanda, Ortega svuota la sua villa di Istanbul, riempie bauli, borsoni e valigie, spedisce la famiglia in Argentina e da Amsterdam, dopo la partita, vola con destinazione Buenos Aires per un viaggio di sola andata. In Turchia non torna più, quella del 12 febbraio 2003 con la maglia biancoceleste rimane la sua ultima partita ufficiale. E nella fuga il prode Ariel si porta dietro anche il malloppo: un cospicuo anticipo del suo principesco contratto quadriennale. I turchi, ovvio, non la prendono bene. Vogliono indietro i soldi e fanno ricorso alla Fifa. Finisce così, almeno per ora, la carriera di un fantasista geniale ma anarchico e troppo incostante per il calcio europeo. [...] Fa la spola tra le case di Buenos Aires e di Ledesma, la sua città natale nella poverissima provincia di Jujuy, ai confini con la Bolivia. [...] In caso di perdono c’è sempre un posto nel River Plate, l’unica squadra che lo abbia capito fino in fondo. Perché Ortega è dileggiato in Europa quanto amato in Argentina. Con il River ha vinto tutto, anzi quasi tutto. La Juve gli soffiò sotto il naso l’Intercontinentale nel ’96 con Del Piero vittorioso anche nel confronto diretto: un gol Alex, una traversa il Burrito. E con la Seleccion argentina Ortega si è tolto molti sfizi. Con 86 partite è il quarto giocatore con più presenze nella storia. Ha giocato tre Mondiali consecutivi: nel ’94 sostituì Maradona dopo la squalifica per doping, nel ’98 e nel 2002 ne ha indossato la maglia numero 10 con esiti alterni. ”Il ricordo più bello è stato quando abbiamo eliminato l’Inghilterra in Francia. Giocai benissimo, feci sei tunnel e passammo il turno ai rigori. La delusione più grande nella successiva partita contro l’Olanda: prendemmo gol all’ultimo minuto e io fui espulso”. Dopo quel Mondiale l’arrivo in Italia preceduto dai primi malintesi europei. ”Nel Valencia c’era Ranieri che mi prendeva in giro: diceva che ero il migliore, poi però mi teneva in panchina”. La Sampdoria sborsa per lui 18 miliardi di lire nell’estate del ’98 sfatando il luogo comune della tirchieria genovese. Qualche bel gol (8), tanti assist ma anche incomprensioni con gli allenatori (Spalletti, Platt e poi ancora Spalletti) e qualche episodio di cronaca: una notte in questura con i compagni di squadra Gaston Cordoba e Caté per aver alzato troppo il gomito e una denuncia per lesioni quando, il giorno dopo la retrocessione della Samp, molla un diretto sul volto di un genoano che lo prendeva in giro. Dalla Samp al Parma: Malesani lo vuole a tutti i costi, con lui si punta allo scudetto. Finisce con il Parma che non entra neppure in Champions League e finisce anche l’avventura di Ortega in Italia. ” che quello non è il mio calcio. Tutti troppo seriosi, giocatori vestiti come modelli alle sfilate, rapporti umani pari a zero. L’unico del campionato italiano con cui mi sento ancora spesso è Matias Almeyda: siamo cresciuti insieme nel River, in Italia siamo sempre stati avversari ma l’amicizia è rimasta”. Come è rimasto nitido il ricordo di quella notte d’agosto (1999) nello spogliatoio di San Siro. ”Avevamo appena battuto 2-1 il Milan e vinto la Supercoppa. Bussano alla porta: era Silvio Berlusconi che mi voleva conoscere personalmente e farmi i complimenti per come avevo giocato”. Sì, perché il problema vero di Ariel Ortega non è mai stato il campo ma quella testa fatta un po’ così. La testa di uno che, dopo più di un anno di vita a Valencia, confessò a un inviato di un giornale argentino: ”La paella? E che cos’è? Io mangio sempre a casa o al massimo vado da McDonald’s”" (Matteo Dotto, ”Corriere della Sera” 17/3/2004).