Valeria Brancolini, Macchina del Tempo, marzo 2004 (n.3), 13 marzo 2004
Un ospedale dove i pazienti sono trasportati da robot-barellieri e le medicine somministrate con l’aiuto di un carrello informatizzato; e dove, soprattutto, in sala operatoria c’è un robot guidato da un chirurgo di fama seduto a una console che è all’altro capo del mondo
Un ospedale dove i pazienti sono trasportati da robot-barellieri e le medicine somministrate con l’aiuto di un carrello informatizzato; e dove, soprattutto, in sala operatoria c’è un robot guidato da un chirurgo di fama seduto a una console che è all’altro capo del mondo. Una visione fantascientifica? Non proprio o comunque non completamente, se si pensa che negli ultimi anni la robotica applicata alla medicina ha fatto passi da gigante. E l’applicazione forse più stupefacente in questo settore è rappresentata proprio dalla robotica chirurgica, che oggi è una realtà in molti ospedali, anche italiani: da Milano a Genova, da Roma a Grosseto e Napoli. Come nasce la robotica chirurgica e dove trova maggiore applicazione? Il primo banco di prova è il campo militare. La molla per collaudare e brevettare questo tipo di sistemi è stata infatti l’idea di avere a disposizione un robot che prestasse assistenza ai soldati feriti sui campi di battaglia ancora prima del trasporto in ospedale. Da lì alle applicazioni civili il passo è stato breve: nel 1993 la Food and Drug Administration (FDA, l’agenzia del Dipartimento di Sanità degli Usa che controlla gli alimenti e i farmaci) ha approvato l’utilizzo di un robot per l’applicazione semiautomatica di una protesi d’anca. Poi sono arrivate, rispettivamente nel 2000 e nel 2001, le approvazioni per i sistemi Da Vinci e Zeus, ancora oggi tra i più famosi e diffusi (vedi box). «I vantaggi di questo tipo di chirurgia sono moltissimi» chiarisce Alberto Rovetta, responsabile del Laboratorio di robotica del Politecnico di Milano, all’avanguardia negli studi del settore. «Un robot può ripetere l’operazione che gli viene indicata dal chirurgo, esattamente nello stesso modo, centinaia di volte e con una precisione incredibile, molto superiore a quella umana. Ogni suo movimento, poi, può essere registrato per essere ripetuto e se necessario studiato». Ma non è tutto. Utilizzando un robot, gli spostamenti macroscopici della mano del chirurgo vengono ridotti a livello microscopico, permettendo al medico di muoversi più agevolmente di quanto non potrebbe fare a mano libera e di raggiungere zone del corpo prima impensabili. Infine, il robot consente di operare con una chirurgia mini-invasiva: si creano solo piccoli fori sufficienti a far penetrare i sottili strumenti attaccati alle braccia della macchina. Pier Cristoforo Giulianotti, direttore della Scuola ACOI di Chirurgia robotica e dell’Unità operativa di chirurgia generale dell’Ospedale Misericordia di Grosseto (dove da ottobre 2000 sono stati eseguiti più di 320 interventi), spiega: «I vantaggi di questo tipo di chirurgia rispetto a quella tradizionale sono diversi: un minor trauma dei tessuti, una riduzione del dolore dopo l’operazione, un rapido recupero e una ridotta degenza. Nonché un miglior risultato estetico». Tutti vantaggi, questi, che hanno permesso ai robot chirurghi d’essere utilizzati per svariate applicazioni. «In tutti i campi della chirurgia generale (toracica, vascolare, addominale)» continua Giulianotti «e in discipline specialistiche come l’urologia (prostatectomia radicale) e la cardiochirurgia (ad esempio per bypass coronarici)». Salvatore Stella, coordinatore del Progetto finalizzato Chirurgia robotica del Cnr (che s’è concluso qualche anno fa), aggiunge: «Applicazioni molto importanti riguardano anche l’ortopedia (come la ricostruzione di ginocchio e anca, ndr) e la neurologia, dove grazie all’elaborazione delle immagini i robot possono eseguire con precisione interventi che richiedono un’attenzione millimetrica». Certo l’idea di essere operati da fredde mani metalliche può impaurire il paziente. «La sicurezza di questi strumenti è un elemento fondamentale» rassicura Stella. «Negli Stati Uniti è l’FDA a occuparsi di questi aspetti, mentre in Europa abbiamo una normativa comunitaria europea». Non bisogna dimenticare, inoltre, che il robot si limita a eseguire ordini che gli vengono impartiti. «Il robot non può sostituire l’intelligenza umana» commenta Rovetta «ma può rendere più semplice e meno faticoso il lavoro del chirurgo, che è comunque sempre presente per proseguire l’intervento, se dovesse servire». Il professor Giulianotti conferma: «In sala operatoria deve esserci sempre un team ben addestrato costituito da infermieri di sala, strumentisti specializzati, assistenti chirurghi in grado di aiutare sul campo operatorio il primo operatore. E tutti devono lavorare in modo estremamente coordinato per esser pronti a risolvere qualsiasi problema imprevisto dovesse insorgere». Insieme alla robotica è nata anche la telechirurgia, cioè la possibilità di utilizzare robot comandandoli da chilometri di distanza. Il primo esperimento in questo senso è stato realizzato proprio nel laboratorio del dottor Rovetta: da qui, nel 1993, Enrico Pisani, direttore del Dipartimento di urologia dell’Università di Milano, ha guidato un robot che, in una sala operatoria di Pasadena (negli Stati Uniti), ha prelevato tessuto dal fegato di un maiale. «A quella prima mondiale è seguito, nel ’95, il primo intervento in telechirurgia mai realizzato su un paziente umano» racconta Rovetta. Un robot chirurgo, guidato dal Laboratorio di robotica del Politecnico di Milano, ha effettuato una biopsia della prostata su un uomo che si trovava in una sala operatoria del Policlinico di Milano. Qualche anno dopo, nel 2001, è stato realizzato il primo intervento transoceanico: un robot, guidato dall’European Institute of Telesurgery di Strasburgo, ha asportato una colecisti a un uomo steso su un letto operatorio di un ospedale newyorkese. Ma qual è il futuro della chirurgia e della telerobotica? è ancora il dottor Rovetta a rispondere: «Per quanto riguarda la robotica chirurgica, i costi di questi apparecchi sono ancora alti, soprattutto considerando la struttura, il software necessario per farla funzionare, l’assistenza dell’informatico e la manutenzione. Il tutto viene a costare quasi 620 mila euro (circa 1,2 miliardi di vecchie lire). è come una barca di lusso che possono permettersi solo i ricchi. Per questo ora ci stiamo concentrando su robot più piccoli che siano allo stesso tempo maneggevoli ed economici. Se nel 1998 proponevamo robot ambulatoriali, di grosse dimensioni, che permettevano di realizzare tre operazioni diverse, solo cambiando estremità – biopsia del seno, biopsia della prostata e aspirazione del midollo spinale ”, ora stiamo invece pensando di fare apparecchi più piccoli, che si adattino ognuno a un tipo di operazione diversa. Credo si arriverà ad avere diverse famiglie di robot, appoggiati a terra, appesi al soffitto, collegati direttamente al paziente, ognuno scelto dal chirurgo in base all’operazione da realizzare». Diverso il discorso sulla telerobotica: «Attualmente è utilizzata a pieno regime solo dall’esercito statunitense» conclude il dottor Rovetta. «Perché diventi d’uso comune anche in ambito civile, servono ancora passi avanti nella tecnologia, legati alla trasmissione dei dati, e quindi dei comandi per il robot, a distanza. Nel momento in cui si svilupperà la banda larga, sono convinto che anche questo settore avrà un forte sviluppo». Valeria Brancolini