varie, 10 marzo 2004
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Bourdain Anthony
• New York (Stati Uniti) 25 giugno 1956. Cuoco. Inizia a lavorare per caso in un grande ristorante, come lavapiatti. Attualmente è capocuoco alla Brasserie Les Halles di New York. Autore di due romanzi, Bone in the throat e Gone Bamboo, editi in Usa e Gb da Bloomsbury. In Italia, nel 2002, è stato pubblicato Kitchen confidential (Feltrinelli). «’Mi ricordo la mia prima ostrica allo stesso modo in cui mi ricordo il giorno in cui persi la verginità... e sotto molti punti di vista, con più affetto”. [...] Bello come un attore, irriverente come un adolescente, con una passione sensuale per il cibo e abbastanza cultura e talento da produrre un bestseller da un milione di copie negli Stati Uniti, e 23 traduzioni in tutto il mondo, intitolato Kitchen confidential: avventure gastronomiche a New York. ”E dire che l’avevo scritto per divertire i miei amici chef. Non avevo idea che potesse viaggiare oltre Staten Island”. Invece, tre anni dopo quel successo che s’inserisce nel fenomeno di tendenza dei libri dei cuochi - memorie, biografie e autobiografie - che appassionano sempre più lettori, ecco Bourdain uscirsene con un altro progetto. ”Volevo andare alla ricerca del pasto perfetto. Volevo il colonnello Kurtz, Lord Jim e Lawrence d’Arabia. Volevo girare il mondo con un vestito a righe stazzonato, e cacciarmi nei guai... Che te ne pare? dissi al mio editor. Io me ne vado ovunque mi salti in mente, grandi alberghi e topaie, a provare ogni sorta di cibo esotico, dal più delizioso al più spaventevole, come un eroe di Graham Greene o di Francis Ford Coppola”. Affare fatto, fu la risposta dell’editor. E Il viaggio di un cuoco è diventato un libro, ora in uscita in Italia, nonché una serie televisiva in 22 puntate per Food Network che ha reso Bourdain, se ce n’era bisogno, ancora più noto al pubblico americano [...] A Les Halles, la brasserie di Park Avenue South [...] da anni comanda la squadra dei ”cuochi di linea” in una cucina rovente, servendo ai clienti piatti francesi classici come cassoulet e pot-au-feu. ”Guardi il banco della carne all’ingresso - dice indicando una vetrina da macelleria - . I vegetariani lo vedono, girano sui tacchi e se ne vanno. Ed è giusto così. Non è che non mi piacciano, ma provo pena per loro. Sono gente piena di paura e di rabbia. Non è la carne di cui hanno paura. la gente”. Alto, sottile, ricciuto, maglietta bianca e jeans strapazzati, Tony Bourdain [...] racconta di esser stato un adolescente ribelle, amante delle droghe, dei libri di Hunter Thompson e della musica di Iggi Pop, che un giorno è finito a fare il lavapiatti nella cucina di un ristorante di Cape Cod, e ha scoperto che ”la vita del cuoco era una vita a base di avventure, saccheggi e razzie, vissuta nella più disinvolta indifferenza per la morale comune. Vista dall’altra parte della barricata, sembrava fantastica”. E così si è ritrovato a lavorare quattordici ore al giorno in ambienti torridi e fumosi, mai un raggio di sole, mai un momento libero, mai un sabato sera con la moglie. Dopo il successo di scandalo di Kitchen confidential, in cui raccontava particolari piccanti sulla conservazione dei cibi e la liberazione degli istinti sessuali nelle cucine dei ristoranti di New York (’Mandai un capitolo al direttore del ’New Yorker’ senza nemmeno conoscerlo. Loro lo pubblicarono e dopo 48 ore avevo un contratto per un libro”) , era arrivato il momento di realizzare il suo sogno: viaggiare. ”Volevo l’avventura, volevo risalire il fiume Nung fino al cuore della Cambogia, attraversare il deserto in cammello con le dita appiccicose di grasso di montone. Volevo scrollarmi la neve dagli stivali in un locale notturno della mafia russa, e giocare con le armi automatiche in un locale di Phnom Penh”. Come ha detto, prego? Bourdain [...] racconta di essere capitato in un ristorante in Cambogia dove danno ai clienti degli M16 per svagarsi, sotto un cartello che dice semplicemente ”non mirate a nulla che non intendete colpire”. E conclude: ”Mentirei se non le dicessi che mi sono divertito un mondo”. Ma se Bourdain, come scrittore, è un avventuriero spavaldo e ansioso di piacere, come cuoco è un professionista che prende il cibo sul serio. E le sue descrizioni di anatre arrosto al sapore di fumo, whisky del Mekong, caviale con blinies, cosce di rana al curry e serpentello di terra con arachidi, aglio e menta, sono vivaci quanto evocative di una curiosità famelica. Eppure, come ai tempi della sua adolescenza, è soprattutto lo stile di vita dei lavoratori della cucina a conquistare il cuore di uno chef come Bourdain. ”Ovunque sia andato, mi sono ritrovato alle due del mattino in un bar con i cuochi del luogo, a parlare di lavoro e della nostra vita. Quella dei cuochi è una comunità internazionale. come la mafia: ci riconosciamo subito dall’aspetto, dagli abiti, dal modo in cui muoviamo la testa e da un’espressione mista di speranza, orgoglio e dolore; una sorta di scetticismo, lo definirei, che viene dall’esser sempre preparati al peggio”. Va bene, ma dopo tanto girare, lo ha trovato il pasto perfetto? ”Quello, ammettiamolo, dipende molto dal contesto - sorride - . Se sai che quello che ti aspetta dopo è fare l’amore su delle fresche lenzuola pulite, anche la più banale coscia di pollo ti sembrerà deliziosa”» (Livia Manera, ”Corriere della Sera” 10/3/2004).