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 2004  marzo 08 Lunedì calendario

GARUTTI

GARUTTI Alberto Galbiate (Como) 1948. Architetto • «Sollecitare una diversa attenzione dello spettatore: è l’invisibile filo che lega il percorso artistico di Alberto Garutti, che insegue una personalissima ricerca di progettualità mentale, spesso fuori dai normali schemi, centrata sul rapporto fra arte e architettura, fra opera e contesto che la circonda, che passa soprattutto attraverso l’incontro con la persone. Sono interventi minimalisti, a volte romantici come quello che ha realizzato a Gand. Ha collegato gli ospedali con i lampioni di una piazza: si accendono ogni volta che nasce un bambino. Ma il segno di Garutti è presente a Kanazawa, in Giappone, a Istanbul, in Turchia, a Düsseldorf, in Germania. È quasi più conosciuto all’estero che in Italia. L’ultimo esempio di questo tipo di intervento, di linea ideale di Garutti - che segue anche in occasione di esposizioni presso gallerie private [...] è però a Bolzano, dove ha realizzato in una piazza del quartiere don Bosco, in periferia, in collaborazione con il Museion della città, il museo d’arte moderna, un’opera che è ben diversa dalle solite, nata dal confronto con gli abitanti della zona. È il museo di un museo. Garutti spiega di aver scelto la periferia di Bolzano perché ”i problemi contemporanei sono legati a questi luoghi. Prima di intervenire ho parlato a lungo con i cittadini per cogliere il senso della loro esperienza di vita e toccare la loro sensibilità, per evitare una contrapposizione. Oggettivamente l’attenzione verso l’arte contemporanea è abbastanza bassa e non voglio che l’opera sia estranea alla gente. Perché la gente siamo noi”. E qual è stato il risultato finale? ”Ho visto chiaramente che non erano molto interessati alla contemporaneità, come avviene in molte altre città italiane. E neppure al resto. Non visitano il loro museo...Per questo ho costruito in mezzo alla piazza una piccola stanza, come una dependance del Museion di Bolzano, dove ho cominciato a esporre le opere presenti nella collezione di questa istituzione. Verranno sostituite ogni tre mesi seguendo. [...] Il suo lavoro è ormai centrato sul rapporto tra arte e architettura, nasce dall’incontro con la gente. Negli anni Ottanta era ben diverso. Perché ha fatto questa scelta? ”E’ stata una scelta inevitabile. E’ legata al problema dell’arte che, ritengo, ha ormai imboccato una strada opposta a quella di Duchamp. Se prima l’oggetto trasferito in un museo diventava un’opera, oggi l’opera d’arte vuol tornare a collegarsi con la realtà nella vita. Lavorare in uno spazio pubblico, dentro la città, come sto facendo da qualche anno, significa mettersi in relazione con il mondo. Per me è quindi ritrovare un’etica, assumersi la responsabilità di far ritenere l’opera d’arte necessaria. L’architettura, che è la grande madre di tutto, in passato ha chiamato la pittura, la scultura. Accadeva fin dall’età della pietra. La caverna altro non era che una struttura architettonica primordiale. Insomma il bisogno di relazionarsi con l’architettura nasce per il bisogno che ha l’artista di relazionarsi con le persone. E per conquistare una nuova metodologia o per ritrovarla occorre seguire questo cammino. L’arte non può essere che incontro, esperienza di etica ed estetica”. Ma questa idea comporta una rinascita classica? C’è un problema per l’uso di massa dei video o della fotografia? ”Direi che può esserci un ritorno verso una classicità. Il bisogno di essere sincronizzati con la realtà della vita significa dare all’arte il valore di un’esperienza necessaria. Non c’è invece un problema sui mezzi. I giovani artisti passano attraverso qualunque tipo di strumento. Sappiamo che possiamo lavorare con tutto”. [...] A Bergamo [...] è al centro di un duro contenzioso a causa di una fontana. ”Nel 1998 ho progettato una fontana che voleva muoversi dentro una logica che definisco ”dell’accoglienza’. Una fontana di acqua tiepida, per mettersi in relazione con la specificità delle stagioni. Per motivi che non riguardano me ma tecnici non ha mai funzionato correttamente. Si è trasformata in una pozzanghera. Una notte qualcuno ha installato su questa fontana un arlecchino di bronzo di due metri. Mi hanno chiesto di rinunciare alla paternità dell’opera. La mia opera non può essere la base dell’arlecchino. La possono togliere ma non usare per un’altra cosa. Ecco il contenzioso. A volte l’arte pubblica viene usata e non rispettata”» (Paolo Vagheggi, ”la Repubblica” 8/3/2004).