4 marzo 2004
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Kuron Jacek
• Nato a Leopoli (Ucraina) il 3 marzo 1934, morto a Varsavia (Polonia) il 17 giugno 2004. Storico. Sociologo. «Padre del dissenso dell’Est e artefice della caduta dell’Impero sovietico [...] ”Senza di lui”, ha detto commosso Lech Walesa, ”Solidarnosc non sarebbe mai nata”. Il ricordo di Kuron, il coraggio con cui ideò e costruì l’opposizione non violenta e moderna al totalitarismo comunista, accompagneranno a lungo la memoria del Vecchio Continente. Almeno, al termine di una vita dura, segnata da sofferenze ma affrontata sempre con il coraggio beffardo e ottimista cui l’eterno look casual-dimesso, jeans e maglione anche ai vertici di governo, dava un’immagine telegenica e immediata, ha avuto la gioia di vedere nelle ultime settimane d’agonia l’ingresso della Polonia e degli altri ex satelliti dell´Urss nell’Unione europea. Gioia che forse, nei lunghi anni in prigione o in clandestinità, aveva ritenuto un’utopia lontana. Jacek, come lo chiamavano con rispetto e affetto compagni di lotta di tutto l’est, i più lungimiranti tra i capi della dittatura quali Jaruzelski e i suoi generali, e noi inviati di allora nell’Est in rivolta, veniva da lontano, e da patriota progressista e da europeo seppe far compiere un lungo cammino a quella che Czeslaw Milosz definì ”l’altra Europa”, il cuore sovietizzato a forza del Continente. Era nato nel 1934 a Leopoli, allora culla della borghesia illuminata polacca. Crebbe in una famiglia di sinistra, entrò nel Pc nel 1953. Maturò coltivando i sogni del revisionismo che infiammarono Imre Nagy in Ungheria e Alexander Dubcek a Praga, ma presto si rese conto che la speranza di riformare il sistema dall’interno era vana. Nel 1965, scrisse con l’amico e compagno Karol Modzelewski una lettera aperta al dittatore Wladyslaw Gomulka, denunciando la burocrazia. Pagò con tre anni di prigione. Cominciò il suo lungo viaggio nell’inferno repressivo comunista. Nella primavera di tre anni dopo, Varsavia ebbe il suo ’68: studenti coraggiosi, tra cui un certo Adam Michnik, si richiamarono a lui e a Modzelewski chiedendo democrazia e rinnovamento. Gomulka e il suo brutale ministro dell’Interno Moczar risposero con la violenza e le epurazioni brezneviane. A differenza che a Parigi e a Bonn, il sistema all’Est non ebbe l’intelligenza di cooptare idee e slancio dissacratore-rinnovatore dei giovani ribelli. La crisi riesplose, sanguinosa, due anni dopo con la rivolta operaia del Baltico, poi di nuovo nel 1976. Fu allora che Kuron ebbe la sua intuizione geniale, cui si ispirò il dissenso in tutto l’’Impero del Male”: saldare la protesta dell’intelligentsija con il malcontento operaio nella lotta per la democrazia. Fondò il Kor, comitato per la difesa dei lavoratori colpiti dalla repressione. Fu l’embrione di Solidarnosc. Quando nacque, il sindacato di Walesa trovò subito un prezioso brain trust di strateghi in Kuron e Michnik, in Mazowiecki e Geremek, gli intellettuali liberal emarginati dalla dittatura. Il colpo di stato di Jaruzelski non riuscì a rompere l’alleanza tra élite e operai, neanche incarcerando Kuron e gli altri. L’idea ”kuroniana” dell’auto-organizzazione della società civile aveva contagiato tutto l’est. Con interviste a catena alla stampa occidentale nel suo povero appartamento in un quartiere popolare, Jacek la propagò nel mondo intero. La giunta di Jaruzelski, specie il numero due generale Czeslaw Kiszczak, si rassegnò a trattare con Kuron e gli altri la transizione alla libertà. Jacek fu tra i primi ad accettare. La ”Tavola rotonda”, da cui cominciò il mitico 1989 della caduta del Muro, senza di lui non sarebbe riuscita. Consigli di realismo, anche nel rapporto con Mosca, venivano spesso da lui. Dopo, con la libertà, continuò a battersi. Ministro del Lavoro del primo governo democratico di Tadeusz Mazowiecki, chiese fino all’ultimo di non emarginare i poveri e i deboli: seppe anche essere un no global ante litteram, ma ragionevole, non violento, legato da intellettuale coerente ai valori della libertà» (Andrea Tarquini, ”la Repubblica” 18/6/2004). «Uno degli uomini cui la buona Europa deve di più. [...] Andavano dentro e fuori dalla galera, lui, Adam Michnik, e anche Edelman e gli altri che non avevano mai voluto lasciare la Polonia. [...] Grazie a Kuron, e a Karol Modzelewski, che è uno dei più prestigiosi storici e intellettuali della Polonia, ricevemmo una preziosa lezione sul socialismo reale. Era il 1964, i due scrissero una ”Lettera aperta al Poup”, il Partito comunista polacco (da noi la pubblicò Paolo Flores) che valse loro l’espulsione dall´università e dal partito, e la galera. Per Kuron l’espulsione dal partito non era la prima. Era successo nel 1953, aveva rifiutato di ”fare l’autocritica”. Ci era rientrato nel 1956 dopo la rivolta operaia di Poznan e l’avvento di Gomulka. Il ’68 lo aspettò come un appuntamento inevitabile. Lui, insegnante di storia al Liceo Artistico di Varsavia, fu l’animatore della protesta studentesca contro la censura, loro lo condannarono a tre anni e mezzo. Uscì nel 1971. La sua impresa più memorabile fu il Kor, il Comitato di difesa degli operai, nel 1976. La sede principale era casa sua, o, ad intervalli brevi, la galera. Informazione sull’opposizione, denunce sulle illegalità del regime, attività semiclandestine o parallele di istruzione, rapporti con la dissidenza cattolica e con lo stesso Wojtyla. Nel 1980, con l’onda di scioperi da Danzica al resto della Polonia, Kuron è fra i consiglieri di Solidarnosc, e continua il viavai con la galera. Ci rientra più stabilmente la notte del colpo di Jaruzelski, ed è fra i pochi esclusi dall’amnistia del dicembre 1982. Torna fuori nel 1984, e dentro - l’abbiamo visto - nel 1988. Sua moglie Gaja è morta durante uno dei suoi soggiorni in galera. Jacek Kuron è uno dei campioni di quel radicalismo politico che non si è mai impietrito nell’eterodossia vanitosa e scolastica. Si discute se la lettera del 1964 fosse o no interna alla tradizione comunista: questione oziosa. Il fatto è che ne nacque l’opposizione democratica e libertaria in Polonia. Era l’affermazione, resa a viso aperto, che si potesse fare politica sotto un regime ottuso e dispotico, e che lo si potesse fare con un programma fattivo di solidarietà ed emancipazione sociale, e non solo per testimoniare la verità. Jacek specialmente, ma anche gli altri nomi stimabili che ho fatto, Edelman e Michnik e Modzelewski, sono stati messi, dalla stessa brutale idiozia del potere comunista, al riparo dalla superstizione retorica cui tanta nostra intransigenza politica si consegna, per equivoco o per narcisismo. Hanno avuto una straordinaria concretezza - un ”realismo”, vorrei dire, se la parola fosse ancora presentabile - che non ne inficiava la radicalità, ma la faceva fruttare. In Michnik questa sensibilità si è mutata nella premura di recuperare a ogni passo in avanti l´avversario contro il quale ci si è battuti fino al giorno prima. In Kuron e Edelman in un’insofferenza agli obblighi e ai cerimoniali di schieramento, e una determinazione ad andare al sodo, e prima di tutto alle persone. E ad amarle, le persone. Il corpo di Kuron è l’incarnazione di questa scontrosa efficacia. Fa sentire al sicuro. grande, ha una faccia squadrata, ha una predilezione per la tela - tute da operaio, da buttar via quando comincino a somigliare ai jeans nuovi e strapazzati che si comprano da noi, e anche da loro, ormai - e per le stanze piene di fumo e di canzoni. Mette in soggezione, ma è improvvisamente cordiale come un bravo compagno. autorevole: uno, dicono i suoi, cui non si riesce a dire di no. Lo amano. Ha una saggezza che spaccia per popolare, ma è impaziente di ogni demagogia. Le spara grosse, con calma: sparò quarant’anni fa l’idea che il comunismo non era eterno, bastava volerlo abbattere. Dice Goldkorn che gli ricorda Carlo Rosselli, per quella convinzione che dopo il comunismo - dopo il fascismo - non si torna al prima, ma verrà un’altra cosa. C’è qualcosa di massiccio, di impervio nella decisione di Kuron, e nel suo coraggio personale. Qualcosa nella sua grossa testa: in quel paese di bisonti originari, benemerito per conservarli nella riserva di Bialowieza, deplorevole per divorarli in bistecche nei ristoranti per turisti. Jacek è nato a Lvov, Leopoli. Da bambino vedeva gli ebrei marciare avanti e indietro al lavoro forzato dal lager di Janowska. il suo ricordo più importante, dice. In Polonia, uno che passa per amico degli ebrei può esser contento di sé. Jacek protesta, ma solo perché si vuole amico degli ucraini, e dei lituani, e degli zingari e amico di tutti. Nella prima Dieta della Polonia postcomunista, eletta nell’89, volle presiedere la commissione per le minoranze nazionali. Lui sa che i paesi si rivelano dal modo in cui trattano le minoranze, e le minoranze dal modo in cui pensano alle persone» (Adriano Sofri, ”la Repubblica” 4/3/2004).