Varie, 4 marzo 2004
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Borghi Claudio
• Daniel Buenos Aires (Argentina) 28 settembre 1964. Ex calciatore. Con l’Argentina vinse il Mondiale ’86. Nel giugno ’86 fu il primo acquisto straniero del Milan di Berlusconi. Nell’87 vinse il Mundialito con il Milan di Capello. Al Como nell’87-88, a gennaio tornò al Milan di Sacchi che però volle Rijkaard con Gullit e Van Basten • «L’indio dai piedi fatati e dal sorriso triste [...] il primo acquisto del Milan targato Berlusconi [...] aveva fatto innamorare anche l’avvocato Agnelli dopo numeri da circo nella finale di Coppa intercontinentale tra Juve e Argentinos Juniors (8 dicembre ’85) [...] ”Della mia carriera non mi lamento: ho girato il Sudamerica giocando in squadre prestigiose come il Flamengo, il River Plate e il Colo Colo. E a 34 anni ho smesso: colpa di un ginocchio che mi si è messo di traverso”. [...] Un genialoide anarchico [...] che di fronte alle ripetute di Sacchi un giorno sbottò e disse all’Arrigo: ”Che senso ha correre per chilometri, se il campo è lungo cento metri?” [...] ”Mi ricordo di quegli scontri con Sacchi. Per carità, alla fine ha avuto ragione lui. Berlusconi sognava il trio Gullit-Van Basten-Borghi, ma quando il mister vinse lo scudetto superando in volata il Napoli di Maradona si guadagnò la scelta del terzo straniero. E con Rijkaard ha vinto tutto, in Europa e nel mondo. Quello che non sopportavo di Sacchi era che costringeva i giocatori a correre più veloci della palla. Questo ha senso, magari, per un Gattuso, ma non mi pare che Kakà o Totti finiscano le partite stremati. I giocatori di talento devono dosare le forze, perché altrimenti la fatica annebbia le idee”. [...] Pochi mesi, ma intensi quelli di Borghi al Milan. Nell’estate ’87 con Capello in panchina vinse il Mundialito e il premio come miglior giocatore del torneo; nel gennaio ’88 Berlusconi ordinò il suo rimpatrio a Milanello dopo la negativa parentesi di Como. ”Lì non ebbi fortuna, mi toccarono Agroppi e Burgnich: l’anticalcio. Ti dicevano solo quello che non dovevi fare in campo, ma non quello che dovevi fare. Dei quattro mister che ho avuto in Italia il rapporto migliore è stato quello con Capello: mi parlava tanto, credeva in me. Forse, se fosse rimasto al Milan, la mia storia sarebbe stata diversa. Come anche se andava in porto il prestito alla Samp di Vialli e Mancini. Il presidente Mantovani mi voleva, Berlusconi preferì girarmi al Como per non rinforzare una diretta concorrente”. E così quella di Claudio Daniel Borghi è rimasta la storia del grande incompiuto. ”Diciamo che mi ha danneggiato l’etichetta di ’erede di Maradona’. Io Diego l’ho visto da vicino perché giocavamo nella stessa squadra, l’Argentinos Juniors. Impossibile trovargli un erede”. [...] Platini lo aveva ribattezzato Picasso dopo la straordinaria sfida di Tokio. Redondo, suo giovanissimo compagno all’Argentinos Juniors, ha detto di Borghi che ”il pallone per lui era la naturale appendice delle gambe”. Hector Cuper, suo compagno nell’Huracàn, sorpreso in allenamento per le sue eccezionali (e inedite) doti di colpitore di testa un giorno gli chiese: Claudio, perché in partita non vai mai a saltare sui corner? E Borghi rispose: perché a me piace giocare a calcio con i piedi [...] ”Il calcio è strano. Per me litigarono Juve e Milan, l’Avvocato e il Dottore. Il Milan mi ha riempito di soldi ma io in rossonero non ho mai giocato una partita ufficiale. La Juve, invece, che cercava l’erede di Platini fu costretta a comprare un giocatore di cui non ricordo il nome”. Era Marino Magrin» (Matteo Dotto, ”Corriere della Sera” 4/3/2004).