3 marzo 2004
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Sweezy Paul
• Nato a New York (Stati Uniti) nel 1910, morto a Larchmont (Stati Uniti) il 2 marzo 2004. "Figlio di un ricco banchiere e allievo dell’economista conservatore Joseph Schumpeter, aveva rinunciato a una cattedra a Harvard per fondare ”The Monthly Review”, diventando l’intellettuale di punta per i marxisti d’America durante gli anni della Guerra Fredda. La sua parabola [...] è una finestra sulla storia, le idee e le contraddizioni di una sinistra radicale americana che credeva in Marx ma non amava Stalin, prevedeva il collasso del capitalismo ma ne viveva i successi. ”Se fossi stato obbligato a lavorare per vivere probabilmente sarei stato più assai più conformista” diceva di sé, tracciando una linea di continuità fra l’eredità ricevuta dal padre, vicepresidente della First National Bank, e la possibilità di condurre senza grattacapi le battaglie marxiste iniziate a seguito di una riflessione sull’impatto avuto dalla Grande Depressione sulla società americana. Fra la fine degli anni 30 e l’inizio dei 40 avere a fianco un mentore come Schumpeter produce un vivace laboratorio di idee: se Schumpeter è determinato paladino del governo minimo in economia, Sweezy è sulle posizioni opposte ritenendo necessario l’intervento pubblico per fare fronte ai disastri causati dal capitalismo. I dissensi sono la genesi di un’amicizia e un’intesa che potrebbe portare Sweezy a centrare l’obiettivo di avere una propria cattedra se non fosse per l’eredità paterna che gli consente di dedicarsi senza remore a ciò in cui più crede. Nasce così nel 1949 la rivista ”The Monthly Review” che nel primo numero ospita un articolo di Albert Einstein intitolato ”Perché il socialismo?” e che avrà fra i suoi collaboratori firme come quelle di Jean-Paul Sartre, Che Guevara e Joan Robinson. Pur con una tiratura limitata - all’apice negli anni 70 vende 12 mila copie, oggi ridotte ad appena settemila - il mensile si trasforma in una palestra del marxismo americano, ferocemente ostile a un capitalismo selvaggio al quale imputa la responsabilità di consentire a poche aziende olipopoliste di governare l’intero mercato. Autore di un centinaio di articoli e oltre venti libri (in Italia sono stati tradotti tra l’altro, da Einaudi, Il marxismo e il futuro, La teoria dello sviluppo capitalistico, Il presente come storia e, con Leo Huberman, Cuba. Anatomia di una rivoluzione e La controrivoluzione globale) Sweezy difende le proprie idee su sviluppo e guerra in Vietnam, pur riconoscendo i suoi eventuali errori, come avviene quando spiega che il collasso del sistema americano negli anni 60 non è avvenuto a causa della crescita delle spese militari e della forte ripresa dei consumi dovuta alla costruzione delle autostrade, che consentono anche a chi vive nei sobborghi di dedicarsi allo shopping cittadino. Fra gli economisti Sweezy si è fatto conoscere per due concetti: l’analisi della competizione monopolista e l’aggiornamento del pensiero marxista nell’economia ”neo-marxiana”. Convinto della validità della ricetta socialista per far progredire le collettività umane, durante la seconda guerra mondiale per quattro anni al servizio della Oss (l’agenzia di intelligence che è poi diventata la Cia), negli anni della Guerra Fredda si posiziona in prima fila nel duello con McCarthy - che accusa di essere un "inquisitore" - e finisce in cima alla lista dei sospetti di collaborazione con il nemico sovietico. Negli anni 50 la pressione degli ”inquisitori” lo porta addirittura a dover rispondere in tribunale del rifiuto opposto al procuratore generale del New Hampshire che gli impone di consegnare gli appunti di una lezione svolta all’Università dello Stato. Ma lui non cede e arriva fino di fronte alla Corte Suprema degli Stati Uniti, che gli darà ragione" (Maurizio Molinari, ”La Stampa” 3/3/2004).