Maria Maggiore, "La Stampa" 1/3/2004, 1 marzo 2004
Dopo otto anni d’istruttoria, due mesi di commissione parlamentare trasmessa in diretta televisiva, accuse, smentite, testimonianze, controtestimonianze, schiere di avvocati, dibattiti televisivi e libri da riempire un’intero scaffale, comincia oggi a Arlon, nel sud del Belgio, il processo a Dutroux e compagni
Dopo otto anni d’istruttoria, due mesi di commissione parlamentare trasmessa in diretta televisiva, accuse, smentite, testimonianze, controtestimonianze, schiere di avvocati, dibattiti televisivi e libri da riempire un’intero scaffale, comincia oggi a Arlon, nel sud del Belgio, il processo a Dutroux e compagni. Si riapre così il dramma del pedofilo assassino che nel ’96 sconvolse il Belgio rivelando una sequela di orrendi crimini commessi su bambine e resi possibili anche per la negligenza e l’incompetenza delle forze dell’ordine. Da oggi un’intera nazione ripiomba nella domanda angosciante che dal ’96 lacera il Paese. Esiste in Belgio una rete di pedofilia, con a capo uomini d’alto livello del mondo politico, cattolico e imprenditoriale o il «mostro di Marcinelle», ha agito da solo compiendo rapimenti, stupri e omicidi fino a lasciar morire di fame le sue vittime? Il «processo del secolo» come è stato ribattezzato dai media locali che da un mese martellano con il «ritorno dell’affaire Dutroux», dovrebbe far chiarezza su una storia drammatica dai contorni ancora incerti. Ma molti pensano che la condanna di Dutroux, ormai scontata, servirà invece a seppellire il lato nascosto dell’iceberg, cioè i possibili coinvolgimenti esterni, che l’istruttoria condotta dal giudice Jacques Langlois non ha tenuto in conto nei lunghi anni d’indagini. Intanto la preparazione del processo in Corte d’Assise, con una zona rossa intorno al Tribunale, 300 militari incaricati della sicurezza e 1300 giornalisti accreditati da tutti i media del mondo, lascia presagire che nei prossimi tre mesi (questo il tempo previsto) assisteremo a un grande circo mediatico. Il governo belga ha cercato di ridurre l’amplificazione del processo, organizzandolo nella piccola cittadina di Arlon, ai confini con il Lussemburgo, a duecento chilometri da Bruxelles. Ma niente da fare, il caso e i numeri costituiscono un evento unico per il piccolo regno. Oggi verrà costituita la giuria popolare, domani si passerà alla lettura dei capi d’accusa su un dossier di 440 mila pagine. Da mercoledì comincerà la sfilata dei 450 testimoni interpellati tra i quali Sabine Dardenne, una delle bambine salvate, ormai ventenne. Alla sbarra quattro persone: Marc Dutroux, l’elettricista di 48 anni, già condannato per furti d’auto e stupri, accusato di aver rapito e violentato sei bambine tra il ’95 e il ’96 e averne ucciso quattro, due delle quali lasciate morire di fame al buio di un nascondiglio ricavato nella cantina di casa. Accanto a Dutroux sul banco degli imputati l’ex compagna Michelle Martin, il complice tossicomane, Michel Lelièvre, e l’imprenditore bruxellese Michel Nihoul. Proprio il rinvio a giudizio di Nihoul, un losco uomo d’affari di 62 anni, implicato in giri di droga, orge e traffici di donne, potrebbe portare qualche rivelazione sui legami con ambienti esterni a Dutroux. La storia, per quanto con molte lacune, è ormai arciconosciuta dai belgi. Tutto comincia il 24 giugno 1995 quando due bambine di otto anni, Julie Lejeune e Melissa Russo (di origini italiane) vengono rapite durante una passeggiata vicino a casa, nella campagna intorno a Liegi. Il 23 agosto, dall’altra parte del paese, è la volta di due adolescenti fiamminghe, An Marchal e Eefje Lambrecks, 17 e 19 anni, scomparse a Ostenda durante una vacanza con amici. Iniziano le ricerche con scarsi risultati e presto la rassegnazione comincia a prevalere anche tra le forze di polizia. I genitori di Julie e Melissa cominciano allora una campagna mediatica, con annunci ai rapitori e dibattiti televisivi, per sensibilizzare il Paese sulla sorte delle bambine. Devono passare quattordici mesi e il rapimento di altre due bambine, Sabine e Laetitia, 12 e 14 anni, perché si arrivi al nome di Marc Dutroux e scatti l’arresto. Fin qui un fatto di cronaca grave. Poi arriva il trauma collettivo, la rabbia e nasce l’affaire. Dopo un lungo interrogatorio Dutroux promette di consegnare due ragazze. Sono Sabine e Laetizia, ritrovate vive il 15 agosto ’96 nella cella costruita dal mostro dietro un muro della cantina della casa di Marcinelle. E’ sollievo e gioia per tutti. Ma dura poco. Due giorni dopo, nel giardino di un’altra proprietà vengono esumati i corpi di Julie e Melissa, di un presunto complice, Bernard Weistein - nel frattempo fatto fuori dallo stesso Dutroux - e di An e Eefje. E’ lo sgomento generale che si traduce in rabbia quando si scopre che la gendarmeria sospettava di Dutroux già dal ’95. Su segnalazioni di un confidente, era stata lanciata l’operazione «Otello» per pedinare il ladro di auto sospettato di costruire una cella nella propria casa dove nascondere bambine destinate a una rete di prostituzione. Dutroux, già condannato a 13 anni per stupro, era il sospetto numero uno fin dal giugno ’95. Ma non fu organizzato nessun interrogatorio nè fu mai informata la magistratura inquirente che lavorava sui vari rapimenti. All’inizio del ’96 Dutroux finisce in carcere a Charleroi per furto d’auto e la polizia ne approfitta per perquisire la sua casa. Il gendarme Michaux, responsabile di «Otello» sente delle voci di bambini, dei mormorii, ma quando ordina ai colleghi di fare silenzio non sente più nulla. I gendarmi lasciano così la casa degli orrori. E intanto Julie e Melissa, abbandonate per tre mesi nella cella, muoiono di fame. I traumi non si fermano. Il giudice Jean-Marc Connerotte, a cui si deve l’arresto di Dutroux stava incominciando a indagare sui possibili mandanti del mostro quando, nell’ottobre ’96, viene destituito per aver partecipato a una «cena spaghetti» con i parenti delle vittime, che volevano ringraziarlo per aver salvato Sabine e Laetitia. E’ troppo. La gente comincia a presidiare il Palazzo di Giustizia di Bruxelles. Il 20 ottobre 300 mila persone vestite di bianco, il colore dell’innocenza, sfilano per le vie di Bruxelles in una lunga, silenziosa marcia per dire basta a uno Stato assente che non ha saputo salvare i più indifesi e sembra non voler cercare la verità. La classe politica dirigente è investita dall’«elettrochoc Dutroux». Il primo ministro democristiano Jean-Luc Dehaene promette riforme immediate della polizia e della gendarmeria. Infine nel ’98 l’ultimo colpo di scena: l’evasione di Dutroux, ritrovato dopo quattro ore con le conseguenti dimissioni, questa volta, dei ministri della Giustizia e degli Interni. Da una parte le negligenze dello Stato, dall’altra il dubbio su possibili coperture all’orco di Marcinelle. Il Belgio che si prepara a seguire il processo di Arlon oscilla tra la tesi della «rete» e quella del «predatore isolato», privilegiata dal giudice istruttore. «Perché ogni volta che è stata aperta una pista, subito è stata richiusa?» si chiede Gino Russo, il padre di Melissa in contrasto con gli inquirenti fin dall’inizio delle indagini. Le domande senza risposta sono molte: a chi appartengono i 24 dna diversi rintracciati nei 4.000 capelli e nello sperma trovati nel nascondiglio delle bambine? Come hanno resistito Julie e Melissa tre mesi senza mangiare (mentre Dutroux era in carcere), quando ogni nutrizionista ripete che è impossibile, specie per bambine di otto anni? E ancora: chi ha rapito le bambine, chi parcheggiava davanti casa di Dutroux auto di lusso (secondo le testimonianze dei vicini)? E infine: che motivo aveva Dutroux di sequestrare quattro, poi sei bambine quasi contemporaneamente, se era solo per soddisfare il proprio piacere? I genitori di Julie e Melissa, per protesta contro un’inchesta che non ha voluto cercare la verità, hanno rinunciato a un avvocato e non parteciperanno al processo. Da settimane i Russo hanno staccato la spina. Per loro, che in questi anni hanno seguito con grande dignità ogni singolo elemento dell’indagine, raccogliendo centinaia di fascicoli nel salotto di casa, il processo di Arlon è «fasullo». Marc Dutroux finirà probabilmente i suoi giorni in carcere, ma forse non si saprà mai a quale torbido piano servivano le loro bambine.