Giancarlo Sturloni, Macchina del Tempo, marzo 2004 (n.3), 28 febbraio 2004
Secondo Honoré de Balzac, la gelosia non è altro che «l’alter ego dell’amore», una «deliziosa passione»
Secondo Honoré de Balzac, la gelosia non è altro che «l’alter ego dell’amore», una «deliziosa passione». Per William Shakespeare, invece, è un «mostro dagli occhi verdi». Comunque sia, è un sentimento universale, capace di attraversare tutte le culture tingendosi allo stesso tempo di sfumature molto diverse, fino a sfuggire alle definizioni. Psicologia, psichiatria, antropologia, sociologia, neuroscienze: le discipline scientifiche che hanno indagato le diverse sfaccettature della gelosia si moltiplicano e tutte, sebbene con approcci diversi, cercano in fondo una risposta alla stessa domanda: quali sono le origini della gelosia? E come è possibile che la deliziosa passione di Balzac si possa trasformare in una creatura mostruosa, fino a spingere qualcuno a uccidere la persona che più ama? Secondo lo psicologo Gary Brase, dell’Università di Sunderland, in Gran Bretagna, gli uomini più gelosi del mondo vivono in Brasile. Brase ha studiato la gelosia di uomini e donne in diverse nazioni e culture del mondo per scoprire (o riscoprire) che questo sentimento universale è vissuto dai due sessi in modo davvero molto diverso. Da tempo gli psicologi cercano di spiegare perché gli uomini tendano a manifestare la gelosia sotto forma di preoccupazione che la propria compagna possa accoppiarsi con un altro maschio, mentre le donne temono di più la possibilità che il compagno si innamori di una rivale. Alcuni psicologi pensano che l’origine di queste differenze sia culturale, e si siano quindi affermate in tempi relativamente recenti nella storia dell’umanità. La maggioranza dei ricercatori sostiene invece che la gelosia affonda le proprie radici nell’evoluzione umana e sia comparsa circa un milione di anni fa nelle sterminate savane africane. Lo psicologo Willy Pasini, autore del saggio ”Gelosia, l’altra faccia dell’amore” appena pubblicato da Arnoldo Mondadori Editore, appartiene a questa seconda corrente di pensiero: «Il mito dell’assenza di gelosia nei popoli primitivi, sostenuto soprattutto dalla famosa antropologa americana Margaret Mead nei suoi primi lavori, è stato in seguito abbandonato e smentito da studi successivi. Probabilmente la gelosia è sempre esistita ed è nata insieme all’uomo per tutelare il maschio dal rischio di allevare figli illegittimi e per assicurare alla donna un compagno fedele che garantisca cibo e sicurezza per sé e per la prole». In altre parole, le differenze comportamentali tra i due sessi avrebbero origine nel fatto che i maschi devono e vogliono essere assolutamente certi di non nutrire e proteggere figli che non siano i propri. Per questo temono soprattutto che la compagna possa avere rapporti sessuali con altri. Una motivazione che sembrerebbe essere non del tutto infondata, se si pensa che anche oggi la percentuale di figli illegittimi sembra essere compresa fra il 3 e il 6 per cento. Le donne, invece, sono preoccupate dalla possibilità che il compagno le abbandoni per qualcun’altra, finendo così per trovarsi costrette ad allevare i figli senza alcun aiuto. Ma non si creda che la gelosia sia così semplice. Attraverso le opere liriche, dall’’Aida” alla ”Cavalleria rusticana” e alla ”Lucia di Lammermoor” Pasini ne identifica almeno otto tipi diversi (vedi il box a piè di pagina). Anche gli studi di Brase sembrano confermare questa ipotesi evolutiva. Lo psicologo inglese ha infatti trovato che le maggiori differenze di atteggiamento tra uomini e donne nei confronti della gelosia si riscontrano in Brasile, le minori in Giappone. Brase ha quindi messo in evidenza che le nazioni in cui le differenze sembrano essere più marcate sono anche quelle caratterizzate da un più basso tasso di fecondità (il numero di figli nati per donna). In altre parole, in Paesi come il Brasile, caratterizzati da un alto tasso di fecondità, gli uomini sono più gelosi perché più spaventati dalla possibilità di allevare un figlio illegittimo. Esattamente il contrario accadrebbe in Giappone, un Paese con un basso tasso di fecondità. Questa ”mappa della gelosia” è però piena di buchi. Nelle culture poligame, per esempio, le cose sono radicalmente diverse. In questo caso la gelosia si confonde con l’invidia, perché l’attenzione si sposta dalla sessualità ad alcuni tipi di privilegi, per esempio i regali. Altri studi, come ad esempio quello condotto su un campione di studenti americani e cinesi dallo psicologo David Geary all’Università di Missouri-Columbia, negli Stati Uniti, hanno mostrato che la reazione alla gelosia può essere fortemente influenzata dalla sessualità che caratterizza una certa cultura. La gelosia così come la intendiamo noi, insomma, è in buona parte un prodotto della società in cui viviamo, e si basa essenzialmente su una visione dell’amore romantico che ha profonde radici nella cultura occidentale e che può essere fatta risalire almeno ai tempi di Platone, secondo il quale ciascuno di noi è come una metà di un’arancia alla ricerca della metà esattamente complementare. A livello dell’individuo, invece, le origini psicologiche della gelosia devono essere fatte risalire a due momenti molto importanti nello sviluppo psicosessuale del bambino. «Uno è collocato nella prima infanzia, quando la paura di essere abbandonati è un incubo ricorrente del bambino; può essere sperimentata in diverse situazioni, per esempio quando i genitori sono troppo assenti, oppure con l’arrivo di un fratellino» spiega Pasini. un timore che talvolta ricompare come un fantasma nella mente degli adulti gelosi. «E poi c’è la gelosia edipica che si manifesta intorno ai 4-6 anni, durante la quale il bambino sviluppa una forma di rivalità con il genitore dello stesso sesso, un sentimento di gelosia che talvolta torna rinforzato nell’adolescenza» continua Pasini. Dunque, la gelosia non nasce da un sospetto, né da un tradimento. «La biologia ci fa nascere gelosi» conferma la neuropsichiatra Donatella Marazziti dell’Università di Pisa «ma la cultura plasma limiti, regole ed espressioni di questo sentimento comune. La nostra società, per esempio, svilisce il comportamento geloso, e la gelosia oggi viene il più delle volte negata o, nella migliore delle ipotesi, sminuita, come se fosse qualcosa di cui vergognarsi». Eppure, anche se tanti non sono disposti ad ammetterlo, la gelosia è un sentimento molto diffuso. Un sondaggio Abacus del 2002, per esempio, rivela che il 61 per cento degli italiani si ritiene poco o per nulla geloso, ma quasi la metà ammette poi di diventare ”molto geloso” se il partner decide di uscire da solo con un amico dell’altro sesso. Dopo aver osservato le analogie fra il disturbo ossessivo-compulsivo e altre situazioni psicologiche legate all’innamoramento, Donatella Marazziti ha analizzato le origini biologiche della gelosia studiando la sua relazione con i livelli di serotonina nell’organismo umano. La serotonina è un neurotrasmettitore scoperto nel 1938 dal farmacologo italiano Vittorio Erspamer. A partire dagli anni Ottanta, in tutto il mondo si sono moltiplicati gli studi che mettono in relazione la biochimica della serotonina con alcune delle nostre funzioni fisiologiche (come la termoregolazione del corpo o la secrezione ormonale) e con alcune delle nostre sensazioni più intense (la gelosia, ma anche la fame, il dolore, la gioia o la depressione). Sono stati così messi a punto farmaci capaci di alterare il livello di serotonina nell’organismo e quindi regolare alcuni processi psico-fisiologici. Il più noto è il Prozac, un antidepressivo capace di disattivare l’enzima che frena la produzione di serotonina. Tra le droghe, anche l’ecstasy ha come bersaglio i recettori della serotonina: in questo caso però l’effetto è la morte delle cellule che la producono. Una prima indagine condotta dalla Marazziti su un campione di 400 persone di età compresa fra i 25 e i 30 anni dimostrerebbe che un giovane su dieci presenta una forma di gelosia ossessiva, sintomo di altri disturbi psicologici più che malattia di per se stessa. Le analisi del sangue hanno quindi rivelato che i gelosi ossessivi avevano un numero inferiore di proteine trasportatrici della serotonina. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista ”Neuropsychobiology” e potranno servire come punto di partenza su cui costruire un modello teorico più generale. Nel frattempo, l’équipe di psicologi guidata dallo psicologo americano David Geary ha mostrato che anche un alto tasso di estrogeni può condizionare la gelosia femminile, il che spiegherebbe anche perché durante la sindrome premestruale, il periodo del ciclo in cui il livello di estrogeni è più elevato, una donna su dieci manifesta attacchi di rabbia possessiva. Insomma, nuovi studi scientifici stanno aprendo anche una pista biologica al tentativo di comprendere le origini e le diverse manifestazioni della gelosia. «Le neuroscienze cominciano a occuparsi di sentimenti per riportare un po’ di cuore negli studi sul cervello» scherza (ma non troppo) Marazziti. «Il problema è però molto complesso: sarà necessario estendere gli studi compiuti sulla serotonina anche agli altri neurotrasmettitori importanti, che sono almeno una trentina. E poi capire come questi neurotrasmettitori interagiscono fra di loro». L’obiettivo, naturalmente, è comprendere meglio il funzionamento della mente umana, ma anche mettere a punto nuovi farmaci, capaci di contrastare con maggiore efficacia le forme più gravi di gelosia, in cui la passione sfugge al controllo dell’individuo e assume le sembianze di un delirio paranoico. Con la speranza, però, che non si finisca per trasformare tutto in malattia, ricorrendo ai farmaci non solo per le forme di gelosia più gravi ma anche per nascondere un sentimento in fondo normale, che tutti noi, almeno una volta, abbiamo provato nella vita. Nel frattempo, anche le manifestazioni della gelosia si evolvono, e fra moglie e marito ormai si sono prepotentemente intromesse anche le nuove tecnologie. Pare infatti che il tradimento oggi si scopra soprattutto spulciando le bollette del telefono, spiando l’elenco delle ultime chiamate del cellulare, sbirciando gli sms, violando la posta elettronica. La scorsa estate una serie di inchieste giornalistiche hanno portato alla ribalta quello che è stato subito ribattezzato lo ”psicodramma tecno-esistenziale” del momento, un’epidemia di tradimenti svelati da un sms fedifrago letto di nascosto. Niente di sorprendente: se una tecnologia offre nuovi modi per amare, non può che offrire anche nuovi modi per essere gelosi, dando ancora una volta ragione a Balzac quando scriveva che la gelosia, in fondo, altro non è che l’alter ego dell’amore. Giancarlo Sturloni